Da anziano, riflessioni sulla nostra storia
René Voillaume
Il venerdì 22 settembre 1933, verso le cinque di sera, fratel Marcel, fratel André e io arrivavamo al bordj di El Abiodh provenienti da Géryville. Appollaiato sul carico della camionetta, don Le Cordier, che veniva dal Marocco, aveva tenuto ad accompagnarci per qualche giorno.
Lo avevo conosciuto al seminario di Issy les Moulineaux, era stato ordinato due anni prima di me. Sarebbe divenuto più tardi il primo vescovo della diocesi di Saint Denis, a nord di Parigi. Fummo accolti da un forte vento di sabbia che ci accompagnò lungo tutta la pista. La prima notte nella nostra fraternità fu per noi un avvenimento. Era come un sogno che diventava realtà! Dopo tanti anni di attesa e di preparazione, eravamo finalmente nel deserto e in terra d’islam per fondarvi la fraternità tanto sospirata da fr. Charles. II 6 ottobre, festa di san Bruno, il grande solitario fondatore della Certosa, fu considerato il primo giorno della fondazione. Celebrammo la prima messa. Nel pomeriggio prendemmo il tè da un nostro vicino, Si Bù Amama dalla barba colorata con l’henné, diventerà uno dei nostri amici più stretti e più fedeli.
Arrivavamo a El Abiodh per condurre una vita religiosa di silenzio, di solitudine e di preghiera. Concepivamo tuttavia questa vita comune e claustrale come inserita nel mondo dell’islam. La volevamo tale per un adattamento il più approfondito possibile alla mentalità religiosa musulmana e ai costumi della popolazione. Al seguito di padre de Foucauld, non era nel deserto che noi andavamo innanzitutto, ma all’incontro con una popolazione che avremmo accolto nella nostra vita, tramite la nostra testimonianza e nella nostra intercessione. Avevamo un vivo desiderio di farci adottare dalle tribù degli Ouled Sidi Cheikh.
Proprio cinquanta anni fa, il periodo che va dal febbraio al maggio del 1947, ha visto lo svolgimento di alcuni avvenimenti che avrebbero marcato profondamente l’orientamento e lo sviluppo della Fraternità dei Piccoli Fratelli di Gesù, e per loro tramite l’insieme degli altri gruppi e istituti che trovarono la loro radice e la loro spiritualità appunto a seguito di questi fatti. Da molti punti di vista quell’anno 1947 fu di una importanza fondamentale per l’avvenire delle fraternità. Le piccole sorelle di Gesù continuavano le loro esperienze di lavoro in fabbrica mentre i fratelli stabilirono la loro prima fraternità operaia ad Aix-en-Provence; la spiritualità della fraternità si precisava e si esprimeva in diversi documenti. La vocazione e la missione delle fraternità operaie erano definite in un insieme di “conferenze” fatte ai novizi o di lettere indirizzate ai fratelli e che saranno pubblicate tre anni dopo con il titolo “Au Coeur de Masses“. [“Come loro” ed. italiana]
Questo insieme di documenti era stato sottoposto all’esame dei vescovi responsabili delle fraternità che li avevano approvati, come anche piccola sorella Magdeleine. La fondazione di Aix era stata fatta in profonda unione con lei. Comunque, l’esperienza di tali fondazioni era tutta da fare ed il nostro entusiasmo non era allora totalmente privo di illusioni.
Dopo oltre dodici anni di vita claustrale nel deserto, ci trovavamo improvvisamente incorporati nel grande movimento missionario da poco nato nella Chiesa di Francia.
Sempre di più l’uomo non sarà convinto
che dai fatti concreti, viventi.
Mai il mondo ha avuto tanto bisogno di segni esteriori della Chiesa. I valori più soprannaturali, i più divini, la Chiesa deve esprimerli esteriormente. Il realismo dello spirito contemporaneo, il tedio che provoca la diffusione, tramite la stampa e la radio, di discorsi e ideologie fanno sì che sempre di più l’uomo non sarà convinto che dai fatti concreti, viventi. Ma quali segni il mondo aspetta soprattutto dalla Chiesa?
È necessario che, visibilmente la Chiesa esprima tramite i religiosi, i battezzati, i militanti, i preti quel distacco e quella povertà segno che si preoccupa prima di tutto dei veri valori divini. Questa povertà deve essere l’attesa di un’altra cosa; non è solo interiore, deve apparire all’esterno e tradursi in un linguaggio accessibile agli uomini del nostro tempo, questo è un caso in cui cose materiali, di per sé indifferenti, acquisiscono una certa importanza. Immenso interrogativo posto alla Chiesa: non è triste constatare a volte quanto siano pochi coloro che lo risentono con angoscia?
Il secondo segno della Chiesa, ed è più grande del primo, è il segno del vero amore dell’uomo e del rispetto che gli si deve. Anche a questo proposito la Chiesa deve subire delle trasformazioni nelle maniere adottate fino ad ora, per manifestare questo segno. Certo, le opere di assistenza, di carità misericordiosa, di quella carità che è molto tenera con tutti quelli che soffrono, queste opere rimangono; ma non sono più sufficienti. Quello di cui ora il mondo ha sete, ovunque l’amore dell’uomo debba esprimersi, quello che il mondo aspetta dalla Chiesa, è un atteggiamento che possa realmente preparare, in maniera efficace, la pace tra gli uomini, è una condanna degli inverosimili mezzi di distruzione, attualmente forgiati, è di contribuire a sviluppare la giustizia sociale, è che ci sia nella cristianità una più grande attenzione, più diffusa nei confronti della condizione dei poveri ovunque essi siano.
Vi è infine un ultimo segno che ci si aspetta dalla Chiesa: è quello della trascendenza di Dio, il segno della preghiera, del sacro, il segno di Colui nel quale essa crede. Di fronte allo spirito materialista contemporaneo, abituato a un nuovo stile, marcato dall’uso delle tecniche, la Chiesa sembra un poco inadatta in alcuni suoi modi di espressione. Qui non si tratta solamente della liturgia, ma della vita di preghiera della Chiesa, nelle anime tanto quanto nei segni esteriori (paramenti liturgici, architettura delle chiese, ecc.). I valori trascendenti della vita divina della Chiesa, che si esprimono più profondamente nella sua vita contemplativa, debbono coesistere con una totale presenza agli uomini del nostro tempo e una vera comprensione dei loro bisogni. Ciò non è contraddittorio, perché la contrapposizione tra la trascendenza e la presenza della Chiesa a questo mondo si risolve in valori interiori. La soluzione si trova nelle parole del Cristo: “Voi non siete del mondo, ma vi lascio nel mondo…Voi siete nel mondo senza essere del mondo…”
Non credo di aver mai preso l’iniziativa.
Terminata la fondazione della Fraternità di El Abiodh, ero convinto che avrei passato tutta la vita in questo angolo di deserto tra gli Ouled Sidi Cheikh ai quali ero profonda mente legato e dove pensavo di morire un giorno.
La Provvidenza, come sapete, ha disposto altrimenti. Ma quello che, forse, non conoscete sono le condizioni nelle quali si è effettuata l’estensione delle fraternità fuori di El Abiodh poi dell’Africa del Nord, e in seguito la mia partecipazione alle differenti fondazioni degli altri gruppi o istituti secolari, fondazioni che si sono succedute, in particolare durante questi ultimi venti anni. Come ho già avuto occasione di dirvi non credo di aver mai preso l’iniziativa; sono stato ogni volta come sollecitato dalla Provvidenza e consigliato dalla gerarchia della Chiesa, in maniera tale che non potevo dubitare di dove fosse il mio dovere. A causa del mio temperamento — e, più profondamente, spero a causa della mia vocazione — desideravo vivere nella solitudine del deserto, solo con il Signore. Ebbene, è proprio questo desiderio di essere fedele alla mia vocazione che mi ha condotto, già da qualche tempo a farmi una domanda e a prendere oggi una decisione maturata da vari mesi. Credo sia arrivato il momento di dimettermi dall’incarico di priore per essere più completamente fedele alle mie responsabilità di fondatore e per il miglior bene della Fraternità dei Piccoli Fratelli di Gesù, supplicandovi di comprendere bene i motivi di questo passo e di astenervi dal domandarmi di ripensarci. Se spettava a me prendere l’iniziativa di questa decisione, spetta a tutti voi ratificarla in un clima di affezione fraterna e di reciproca fiducia. Vi ho parlato all’inizio di questa lettera della fedeltà che ognuno deve avere alla sua vocazione. Per me, questa fedeltà consiste nell’accettare, con tutte le sue conseguenze, il compito di fondare le Fraternità dei Piccoli Fratelli e delle Piccole Sorelle del Vangelo. Non potendo sottrarmi a questo compito, debbo, dunque, prendere i mezzi per consacrarmici come si deve.
Nel momento in cui i Piccoli Fratelli e le Piccole Sorelle di Gesù riflettono sui trenta o vent’anni di esperienza della loro vita religiosa e prendono più chiara coscienza di ciò che è la loro propria forma di vita contemplativa al seguito di Gesù a Nazareth, nel momento in cui le Fraternità del Vangelo scoprono a loro volta la loro vita apostolica ‘al seguito dell’operaio evangelico’, è indispensabile non dimenticare che queste forme di vita per fratel Carlo erano in primo luogo semplicemente la conseguenza esterna di un amore immenso, appassionato, senza compromessi per la persona di Gesù….Oserò dire che non dobbiamo cercare nella vita di fratel Charles nient’altro che questa lezione e questa sorgente di amore per Gesù? Per il resto, per quanto riguarda questo o quel modo di realizzare la vita di Nazareth o di seguire Gesù nella sua vita di operaio evangelico, non credo che fr. Charles abbia una missione ben definita. Tutto non è forse rimasto nella sua vita solitaria allo stadio di intuizione incompiuta, di desideri successivi e di realizzazioni incerte? Questo non mette forse in rilievo il vigore instancabile e la purezza del suo amore per Gesù che avanza e cresce senza mai potersi riposare in una determinata realizzazione? Voler cercare nella vita di fr. Charles qualcos’altro dall’amore di Gesù e dalla fedeltà ad alcune grandi intuizioni è, forse esporsi a delle discussioni inutili e distrarsi dall’essenziale del suo messaggio. Che il Signore ci illumini!
Nelle vostre lettere [ricevute in occasione dell’80° compleanno N.d.R.] avete voluto esprimermi dei sentimenti di gratitudine e di ringraziamento per quello che è stata la mia vita al servizio delle Fraternità. Quanto a me non posso che ringraziare il Signore di avermi chiamato, come molti fra di voi a costruire nella Chiesa questo edificio spirituale che costituisce l’insieme delle diverse Fraternità, edificio che è basato su fratel Charles di Gesù sulla sua vita e la sua morte. Non sono niente in tutto questo e non posso far altro che provare una specie di meraviglia per il ruolo che la Provvidenza a voluto svolgessi, senza che potessi prevederlo. E in tutto questo io non conto niente. Ho ricevuto dall’opera di Dio molto di più di quanto gli abbia portato. Ho molti difetti e anche molte colpe ed errori di cui rimproverarmi: lo riconosco. Però non credo di aver avuto seriamente la tentazione di attribuirmi quello che ho potuto fare di utile nell’edificazione delle diverse fondazioni. Al contrario, spesso ho la coscienza acuta di ciò che non ho saputo fare bene. È una evidenza che si impone alla mia anima con una pacifica chiarezza. Pacifica, si, perché avendo fatto tutto quello che potevo, il Signore doveva aspettarselo avendo scelto me come strumento.
È molto difficile esprimere i sentimenti che si provano in occasione di una tale partenza, quella dell’ultimo superstite della prima comunità di El Abiodh nel 1933…Non provo mai meraviglia per la morte di un fratello, perché è proprio in vista di quella Ora che siamo entrati in Fraternità. Alla mia età questa verità diviene ogni anno più evidente. È alla luce di questa ora, nevvero, che dobbiamo valutare gli avvenimenti di questo mondo temporale ed imparare a rispettare in ogni essere umano quel germe di eternità che dobbiamo venerare come un irraggiamento della Gloria del Verbo Incarnato e di contribuire a rendere presente alla coscienza di quelli che il Signore ci confida, in una maniera o l’altra, affinché sia per questi uomini sorgente di forza, di cose della vita presente e delle sue prove, di dimenticare che Gesù è venuto per questo: “Dio, in effetti, ha tanto amato il mondo che ha donato suo Figlio, il suo Unico, perché ogni uomo che crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna.”
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Last Updated: 28 Novembre 2018 by Redazione
Da anziano riflessioni sulla nostra storia
Da anziano, riflessioni sulla nostra storia
René Voillaume
Il venerdì 22 settembre 1933, verso le cinque di sera, fratel Marcel, fratel André e io arrivavamo al bordj di El Abiodh provenienti da Géryville. Appollaiato sul carico della camionetta, don Le Cordier, che veniva dal Marocco, aveva tenuto ad accompagnarci per qualche giorno.
Lo avevo conosciuto al seminario di Issy les Moulineaux, era stato ordinato due anni prima di me. Sarebbe divenuto più tardi il primo vescovo della diocesi di Saint Denis, a nord di Parigi. Fummo accolti da un forte vento di sabbia che ci accompagnò lungo tutta la pista. La prima notte nella nostra fraternità fu per noi un avvenimento. Era come un sogno che diventava realtà! Dopo tanti anni di attesa e di preparazione, eravamo finalmente nel deserto e in terra d’islam per fondarvi la fraternità tanto sospirata da fr. Charles. II 6 ottobre, festa di san Bruno, il grande solitario fondatore della Certosa, fu considerato il primo giorno della fondazione. Celebrammo la prima messa. Nel pomeriggio prendemmo il tè da un nostro vicino, Si Bù Amama dalla barba colorata con l’henné, diventerà uno dei nostri amici più stretti e più fedeli.
Arrivavamo a El Abiodh per condurre una vita religiosa di silenzio, di solitudine e di preghiera. Concepivamo tuttavia questa vita comune e claustrale come inserita nel mondo dell’islam. La volevamo tale per un adattamento il più approfondito possibile alla mentalità religiosa musulmana e ai costumi della popolazione. Al seguito di padre de Foucauld, non era nel deserto che noi andavamo innanzitutto, ma all’incontro con una popolazione che avremmo accolto nella nostra vita, tramite la nostra testimonianza e nella nostra intercessione. Avevamo un vivo desiderio di farci adottare dalle tribù degli Ouled Sidi Cheikh.
Proprio cinquanta anni fa, il periodo che va dal febbraio al maggio del 1947, ha visto lo svolgimento di alcuni avvenimenti che avrebbero marcato profondamente l’orientamento e lo sviluppo della Fraternità dei Piccoli Fratelli di Gesù, e per loro tramite l’insieme degli altri gruppi e istituti che trovarono la loro radice e la loro spiritualità appunto a seguito di questi fatti. Da molti punti di vista quell’anno 1947 fu di una importanza fondamentale per l’avvenire delle fraternità. Le piccole sorelle di Gesù continuavano le loro esperienze di lavoro in fabbrica mentre i fratelli stabilirono la loro prima fraternità operaia ad Aix-en-Provence; la spiritualità della fraternità si precisava e si esprimeva in diversi documenti. La vocazione e la missione delle fraternità operaie erano definite in un insieme di “conferenze” fatte ai novizi o di lettere indirizzate ai fratelli e che saranno pubblicate tre anni dopo con il titolo “Au Coeur de Masses“. [“Come loro” ed. italiana]
Questo insieme di documenti era stato sottoposto all’esame dei vescovi responsabili delle fraternità che li avevano approvati, come anche piccola sorella Magdeleine. La fondazione di Aix era stata fatta in profonda unione con lei. Comunque, l’esperienza di tali fondazioni era tutta da fare ed il nostro entusiasmo non era allora totalmente privo di illusioni.
Dopo oltre dodici anni di vita claustrale nel deserto, ci trovavamo improvvisamente incorporati nel grande movimento missionario da poco nato nella Chiesa di Francia.
Sempre di più l’uomo non sarà convinto
che dai fatti concreti, viventi.
Mai il mondo ha avuto tanto bisogno di segni esteriori della Chiesa. I valori più soprannaturali, i più divini, la Chiesa deve esprimerli esteriormente. Il realismo dello spirito contemporaneo, il tedio che provoca la diffusione, tramite la stampa e la radio, di discorsi e ideologie fanno sì che sempre di più l’uomo non sarà convinto che dai fatti concreti, viventi. Ma quali segni il mondo aspetta soprattutto dalla Chiesa?
È necessario che, visibilmente la Chiesa esprima tramite i religiosi, i battezzati, i militanti, i preti quel distacco e quella povertà segno che si preoccupa prima di tutto dei veri valori divini. Questa povertà deve essere l’attesa di un’altra cosa; non è solo interiore, deve apparire all’esterno e tradursi in un linguaggio accessibile agli uomini del nostro tempo, questo è un caso in cui cose materiali, di per sé indifferenti, acquisiscono una certa importanza. Immenso interrogativo posto alla Chiesa: non è triste constatare a volte quanto siano pochi coloro che lo risentono con angoscia?
Il secondo segno della Chiesa, ed è più grande del primo, è il segno del vero amore dell’uomo e del rispetto che gli si deve. Anche a questo proposito la Chiesa deve subire delle trasformazioni nelle maniere adottate fino ad ora, per manifestare questo segno. Certo, le opere di assistenza, di carità misericordiosa, di quella carità che è molto tenera con tutti quelli che soffrono, queste opere rimangono; ma non sono più sufficienti. Quello di cui ora il mondo ha sete, ovunque l’amore dell’uomo debba esprimersi, quello che il mondo aspetta dalla Chiesa, è un atteggiamento che possa realmente preparare, in maniera efficace, la pace tra gli uomini, è una condanna degli inverosimili mezzi di distruzione, attualmente forgiati, è di contribuire a sviluppare la giustizia sociale, è che ci sia nella cristianità una più grande attenzione, più diffusa nei confronti della condizione dei poveri ovunque essi siano.
Vi è infine un ultimo segno che ci si aspetta dalla Chiesa: è quello della trascendenza di Dio, il segno della preghiera, del sacro, il segno di Colui nel quale essa crede. Di fronte allo spirito materialista contemporaneo, abituato a un nuovo stile, marcato dall’uso delle tecniche, la Chiesa sembra un poco inadatta in alcuni suoi modi di espressione. Qui non si tratta solamente della liturgia, ma della vita di preghiera della Chiesa, nelle anime tanto quanto nei segni esteriori (paramenti liturgici, architettura delle chiese, ecc.). I valori trascendenti della vita divina della Chiesa, che si esprimono più profondamente nella sua vita contemplativa, debbono coesistere con una totale presenza agli uomini del nostro tempo e una vera comprensione dei loro bisogni. Ciò non è contraddittorio, perché la contrapposizione tra la trascendenza e la presenza della Chiesa a questo mondo si risolve in valori interiori. La soluzione si trova nelle parole del Cristo: “Voi non siete del mondo, ma vi lascio nel mondo…Voi siete nel mondo senza essere del mondo…”
Non credo di aver mai preso l’iniziativa.
Terminata la fondazione della Fraternità di El Abiodh, ero convinto che avrei passato tutta la vita in questo angolo di deserto tra gli Ouled Sidi Cheikh ai quali ero profonda mente legato e dove pensavo di morire un giorno.
La Provvidenza, come sapete, ha disposto altrimenti. Ma quello che, forse, non conoscete sono le condizioni nelle quali si è effettuata l’estensione delle fraternità fuori di El Abiodh poi dell’Africa del Nord, e in seguito la mia partecipazione alle differenti fondazioni degli altri gruppi o istituti secolari, fondazioni che si sono succedute, in particolare durante questi ultimi venti anni. Come ho già avuto occasione di dirvi non credo di aver mai preso l’iniziativa; sono stato ogni volta come sollecitato dalla Provvidenza e consigliato dalla gerarchia della Chiesa, in maniera tale che non potevo dubitare di dove fosse il mio dovere. A causa del mio temperamento — e, più profondamente, spero a causa della mia vocazione — desideravo vivere nella solitudine del deserto, solo con il Signore. Ebbene, è proprio questo desiderio di essere fedele alla mia vocazione che mi ha condotto, già da qualche tempo a farmi una domanda e a prendere oggi una decisione maturata da vari mesi. Credo sia arrivato il momento di dimettermi dall’incarico di priore per essere più completamente fedele alle mie responsabilità di fondatore e per il miglior bene della Fraternità dei Piccoli Fratelli di Gesù, supplicandovi di comprendere bene i motivi di questo passo e di astenervi dal domandarmi di ripensarci. Se spettava a me prendere l’iniziativa di questa decisione, spetta a tutti voi ratificarla in un clima di affezione fraterna e di reciproca fiducia. Vi ho parlato all’inizio di questa lettera della fedeltà che ognuno deve avere alla sua vocazione. Per me, questa fedeltà consiste nell’accettare, con tutte le sue conseguenze, il compito di fondare le Fraternità dei Piccoli Fratelli e delle Piccole Sorelle del Vangelo. Non potendo sottrarmi a questo compito, debbo, dunque, prendere i mezzi per consacrarmici come si deve.
Nel momento in cui i Piccoli Fratelli e le Piccole Sorelle di Gesù riflettono sui trenta o vent’anni di esperienza della loro vita religiosa e prendono più chiara coscienza di ciò che è la loro propria forma di vita contemplativa al seguito di Gesù a Nazareth, nel momento in cui le Fraternità del Vangelo scoprono a loro volta la loro vita apostolica ‘al seguito dell’operaio evangelico’, è indispensabile non dimenticare che queste forme di vita per fratel Carlo erano in primo luogo semplicemente la conseguenza esterna di un amore immenso, appassionato, senza compromessi per la persona di Gesù….Oserò dire che non dobbiamo cercare nella vita di fratel Charles nient’altro che questa lezione e questa sorgente di amore per Gesù? Per il resto, per quanto riguarda questo o quel modo di realizzare la vita di Nazareth o di seguire Gesù nella sua vita di operaio evangelico, non credo che fr. Charles abbia una missione ben definita. Tutto non è forse rimasto nella sua vita solitaria allo stadio di intuizione incompiuta, di desideri successivi e di realizzazioni incerte? Questo non mette forse in rilievo il vigore instancabile e la purezza del suo amore per Gesù che avanza e cresce senza mai potersi riposare in una determinata realizzazione? Voler cercare nella vita di fr. Charles qualcos’altro dall’amore di Gesù e dalla fedeltà ad alcune grandi intuizioni è, forse esporsi a delle discussioni inutili e distrarsi dall’essenziale del suo messaggio. Che il Signore ci illumini!
Nelle vostre lettere [ricevute in occasione dell’80° compleanno N.d.R.] avete voluto esprimermi dei sentimenti di gratitudine e di ringraziamento per quello che è stata la mia vita al servizio delle Fraternità. Quanto a me non posso che ringraziare il Signore di avermi chiamato, come molti fra di voi a costruire nella Chiesa questo edificio spirituale che costituisce l’insieme delle diverse Fraternità, edificio che è basato su fratel Charles di Gesù sulla sua vita e la sua morte. Non sono niente in tutto questo e non posso far altro che provare una specie di meraviglia per il ruolo che la Provvidenza a voluto svolgessi, senza che potessi prevederlo. E in tutto questo io non conto niente. Ho ricevuto dall’opera di Dio molto di più di quanto gli abbia portato. Ho molti difetti e anche molte colpe ed errori di cui rimproverarmi: lo riconosco. Però non credo di aver avuto seriamente la tentazione di attribuirmi quello che ho potuto fare di utile nell’edificazione delle diverse fondazioni. Al contrario, spesso ho la coscienza acuta di ciò che non ho saputo fare bene. È una evidenza che si impone alla mia anima con una pacifica chiarezza. Pacifica, si, perché avendo fatto tutto quello che potevo, il Signore doveva aspettarselo avendo scelto me come strumento.
È molto difficile esprimere i sentimenti che si provano in occasione di una tale partenza, quella dell’ultimo superstite della prima comunità di El Abiodh nel 1933…Non provo mai meraviglia per la morte di un fratello, perché è proprio in vista di quella Ora che siamo entrati in Fraternità. Alla mia età questa verità diviene ogni anno più evidente. È alla luce di questa ora, nevvero, che dobbiamo valutare gli avvenimenti di questo mondo temporale ed imparare a rispettare in ogni essere umano quel germe di eternità che dobbiamo venerare come un irraggiamento della Gloria del Verbo Incarnato e di contribuire a rendere presente alla coscienza di quelli che il Signore ci confida, in una maniera o l’altra, affinché sia per questi uomini sorgente di forza, di cose della vita presente e delle sue prove, di dimenticare che Gesù è venuto per questo: “Dio, in effetti, ha tanto amato il mondo che ha donato suo Figlio, il suo Unico, perché ogni uomo che crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna.”
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