A Lille, nel Nord della Francia, ci sono due fraternità in quartieri popolari.
Marc, che vive a Lille-Sud con Régis e Filip, ci parla dei suoi impegni
e di tutto ciò che riceve dagli incontri della vita quotidiana.
I documenti per la preparazione del Capitolo ci invitano a fare il punto su quello che viviamo, sulle situazioni che ci coinvolgono, sui modi in cui i nostri impegni e il nostro “essere presenti” ci fanno vivere. Li ricevo come un invito a dare delle notizie: è da tanto tempo infatti che dalla fraternità di Lille-Sud non scriviamo.
Con Régis, siamo giunti in questo quartiere di Lille-Sud a gennaio 1983: trentasei anni fa! Sono stato assente per più di 15 anni, senza tuttavia tagliare i legami con i vicini e gli amici, e adesso sono quasi 10 anni che sono ritornato. Inutile dire che molti legami si sono creati con il quartiere e con qualche famiglia, in particolare, che ci ha accolto come «fossimo della famiglia» (mi permetto di scrivere questo perché l’ho sentito dire mentre ne parlavano tra di loro…). Ne condividiamo la vita con le sue grandi difficoltà e le sue gioie, con le sue miserie e i suoi limiti, e con qualche successo! Io do una mano a parecchie persone soprattutto per delle pratiche amministrative: incredibile la quantità di documenti da compilare e incredibile quanto, a volte, siano complicati! E, come se non bastasse, molte procedure sono informatizzate e la stragrande maggioranza dei nostri amici non ha accesso a queste tecniche moderne!
Ho l’impressione però che ciò di cui la gente ha maggiormente bisogno, non è questo genere di servizi, ma è piuttosto l’attenzione e l’amicizia. Ciascuno si aspetta un po’ di ascolto, di fiducia, di non sentirsi giudicato; di sentirsi amato e rispettato senza condizioni. Tutto questo a volte è molto esigente, bisognerebbe essere disponibili 24 ore su 24, tuttavia è commovente percepire come la fiducia stia crescendo. E ciò che mi colpisce ancora di più sono i frutti di questa fiducia e, in particolare, il comportamento sincero. Dicendo questo, penso ad un giovane nostro amico: “l’abbiamo visto nascere” 34 anni fa, era il figlio dei nostri vicini. Due anni fa l’abbiamo accompagnato, sostenuto e visitato, mentre faceva una cura di disintossicazione dall’alcool. Qualche mese più tardi l’ho incontrato per strada con altri due amici. Dopo una breve chiacchierata insieme, lui dice agli altri: «Andate; io mi fermo, devo parlare con Marc!». Rimasti soli mi dice: «Sai, ho ricominciato a bere…». Ero profondamente toccato da questo suo desiderio di essere vero, questo coraggio di mostrarsi all’altro tal quale si è, senza nascondere o camuffare i propri limiti. Lasciava intendere una specie di paura: che l’altro lo giudicasse migliore di quello che lui era! (l’esatto opposto della paura abituale…). Non voleva che venissi a conoscenza della sua ricaduta tramite altri, e sapeva bene che, se me la confidava, ciò non avrebbe rovinato né l’amicizia né la fiducia e che gli sarei rimasto a fianco. Mi ha dato una bella lezione: com’è la mia fiducia dentro di me? Io che non ho nessuna voglia che gli altri scoprano i miei limiti, le mie miserie e che faccio di tutto per nasconderle…
Abbiamo la fortuna di stare in una Chiesa locale molto marcata dalla missione operaia. Abbiamo dei legami – soprattutto i fratelli dell’altra fraternità – con diversi gruppi e comunità cristiane i cui membri, molto impegnati, sono veramente gente dei nostri quartieri popolari: ne hanno lo stile, il linguaggio ed anche le ricchezze. Tuttavia, in un contesto segnato da una forte “scristianizzazione” e da una presenza rilevante di credenti musulmani, è una chiesa di minoranza e molto piccola. Da qui la difficoltà ad addossarsi un certo numero di servizi vitali, e la necessità di fare appello a tutte le “buone volontà”. È in questo contesto che, qualche anno fa, ci è stato chiesto, a motivo della nostra “conoscenza dell’ambiente”, di partecipare all’accompagnamento dei catecumeni: ne abbiamo parlato tra di noi ed ho accettato di far parte di una equipe. Una volta al mese, con Myriam, madre di famiglia, incontriamo due o tre adulti che si preparano al battesimo. È un cammino che dura circa due anni. Non conoscevo nulla di questo tipo di accompagnamento e ho avuto la fortuna di seguire un corso di formazione organizzato dal servizio del catecumenato. Le persone finora accompagnate sono soprattutto donne, tra i venti e i cinquant’anni, spesso con una storia personale difficile. Sono sempre stupito dalla freschezza della loro scoperta e da quella specie di “sete” e di fiducia viva che le anima.
Utilizziamo delle schede di lavoro che si intitolano: «Incontri con Gesù, il Cristo», strutturate su dei brani del vangelo dove delle persone incontrano Gesù; scopriamo insieme lo «stile» di Gesù, il suo modo di essere e di agire ed il volto di Dio che egli ci propone. È anche un’occasione per scoprire che essere cristiani non significa “ingoiare” un insieme di dottrine, ma prima di tutto significa incontrare una persona vivente, accettando di lasciarsi scomodare e cambiare da questo incontro.
Ciò che forse mi ha impressionato di più durante questi anni, è di toccare con mano quanto, per molti, la questione del perdono sia centrale. Mi ricordo di una giovane donna che ci diceva, dopo la riflessione su questo tema: «Credo che la mia strada verso il battesimo, per i mesi che restano, debba essere un cammino di perdono, da dare e da ricevere; sarà difficile ma non posso passargli accanto!”.
Mi ricordo anche di una nuova battezzata, camerunese, che improvvisò in chiesa una danza entusiasta, al termine della veglia pasquale, per esprimere la sua gioia con tutte le fibre del suo essere, coinvolgendo con lei anche la sua famiglia ed i suoi amici e, poco a poco, buona parte dell’assemblea.
In parrocchia ho anche accettato un altro servizio, quello del «giornale parrocchiale»: parola altisonante per un giornalino di 16 pagine che esce tre volte all’anno. È un giornale gratuito distribuito da un battaglione de volontari in più di 6500 cassette postali del quartiere. Nello Statuto c’è una frase che mi piace molto (e che cito in tutte le riunioni di lavoro del “gruppo di redazione”!): «Vogliamo un giornale che offra agli abitanti di Lille-Sud uno sguardo cristiano sul mondo (…e non unicamente uno sguardo sul mondo cristiano)». E questo Statuto spiega anche come fare: parlando delle ricchezze del quartiere (il lavoro delle Associazioni, gli atti di solidarietà, i progetti comuni, il “vivere insieme” ecc.); con delle interviste, per dare la parola a coloro a cui spesso è negata; cercando di lasciar scoprire che la vita non è “banale” ma piena di senso. Un bel programma, direte, ma io credo di poter dire, modestamente, che lo svolgiamo abbastanza bene! Per me, ad ogni modo, anche se mi impegna molto nelle settimane che precedono la pubblicazione, è prima di tutto una vera occasione di incontri.
Il nostro quartiere ha una brutta reputazione, eppure si tratta di un quartiere pieno di vita dove il tessuto associativo è molto denso. C’è ogni sorta di associazione: i club sportivi naturalmente, il doposcuola, la promozione della donna, e delle cose inaspettate ma altrettanto geniali come La cravatta solidale, un’associazione che aiuta le persone a prepararsi ai colloqui di lavoro: simulazione del colloquio e consigli, scelta di vestiti gratuiti ( concessi da alcuni negozi) per essere dignitosi e presentarsi bene, foto d’identità per il CV, … c’è tutto, perfino un accompagnamento delle persone, con le quali i volontari mantengono i contatti per alcuni mesi.
Grazie al giornale, ho avuto l’occasione di incontrare delle persone molto impegnate nel servizio sociale del quartiere. Che ricchezza! Con alcuni abbiamo l’occasione di rivederci, durante le feste o alle riunioni di quartiere, ed è sempre una grande gioia. Penso, tra tanti, ad un animatore del quartiere che avevo intervistato a proposito di due film straordinari che aveva realizzato. Ci piace ritrovarci ed il dialogo continua, come può testimoniarlo lo scritto che mi ha inviato per augurarmi buon anno: «I tempi sono sempre stati duri in questo mondo, ma, nella nostra epoca, mancano delle persone competenti che usino delle parole vere, cariche di significato…»: è ciò che lui cerca di vivere nelle sue attività con i giovani.
Mi piacerebbe terminare parlandovi di un’altra attività a cui partecipo insieme con Régis. Si tratta di un collettivo che si chiama: «Memoria-Fraternità» (Memoria per i defunti, Fraternità per i vivi!). In questo collettivo ci sono tante associazioni e tutte sono al servizio di persone che si trovano in situazioni precarie. C’è anche un gruppo, quello a cui apparteniamo, che assicura una presenza fraterna nei funerali di persone povere.
In Francia la legge obbliga i Comuni a farsi carico dei funerali di coloro che sono morti nel loro territorio e che non hanno – e neppure la loro famiglia – le risorse sufficienti per assicurare le spese della sepoltura. In passato, qui a Lille, questi funerali si facevano in gran fretta, al mattino presto e spesso senza alcun seguito e tali persone venivano sepolte in quell’area che si chiamava: «la fossa comune». Da quasi 25 anni un gruppo di persone ha deciso di mettere in piedi tale collettivo, che ha questo semplice obiettivo: «Non si seppellisce un essere umano come un cane». Sono stati fatti degli accordi con il Comune e con le agenzie di Pompe funebri, e così, ogni volta che una persona viene presa in carico da questo programma, noi veniamo informati; un piccolo gruppo, dipende dalla disponibilità di ciascuno, garantisce una presenza ed una semplice celebrazione di addio per colui o colei che ci lascia. Anche se la maggioranza dei partecipanti sono cristiani (cattolici e protestanti), la celebrazione che viene offerta è una celebrazione “laica”, di “fraternità repubblicana”, eccetto se ci sono parenti o vicini del defunto che chiedono una preghiera. I più “anziani” del collettivo hanno notato una certa evoluzione: in passato, si trattava soprattutto di persone sole e che spesso vivevano sulla strada. Oggi, sempre di più, si tratta di persone che hanno ancora dei legami con la famiglia o sono inserite nel proprio quartiere ma non dispongono delle risorse finanziarie per il funerale. Segno di un impoverimento della società? In questi ultimi anni, sono stati presi in carico da questo programma, una quarantina di funerali all’anno.
Faccio parte del piccolo gruppo che si occupa della celebrazione presso la tomba; si tratta di fare un breve “discorso” che dia qualche dettaglio sulla vita del defunto (qualora si sia potuto avere un contatto con la famiglia o con i servizi sociali che lo seguivano) e ricordi ai presenti il significato di quello che si sta facendo. Poi segue un momento di silenzio, si legge qualche testo e, infine, ciascuno dei partecipanti si inchina davanti alla tomba e vi deposita dei fiori. Sovente cito l’articolo della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: «Tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti… (…). Essi devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza!».
Confesso che mi commuovo sempre quando si accompagna qualcuno che è completamente solo; com’è possibile che uno muoia e che non ci sia nessuno che ne senta la mancanza? Ci è capitato di accompagnare qualcuno di cui si sapeva soltanto che si trattava di un uomo o di una donna: nessuna carta di identità su di loro e nessuno che ne dichiarasse la scomparsa. Veramente solo/a al mondo! Penso che ogni persona del nostro gruppo porti saldamente in sé questa certezza: che sia un dovere essere là presenti semplicemente per testimoniare la nostra comune umanità e la nostra fratellanza. Ammiro un anziano signore di 92 anni, che viene da un altro quartiere di Lille e che cammina con due bastoni e fa a piedi l’ultimo chilometro, solo per offrire questo gesto di fratellanza.
Voglio aggiungere che ci sono anche delle belle cose: mi ricordo per esempio del funerale di un uomo che abitava in una casa di accoglienza per gente di strada. Al suo funerale, c’erano degli operatori della casa insieme ad un caro amico del defunto. Al momento di inchinarsi davanti alla tomba, quell’amico ha preso la parola: “Perché mi hai lasciato? Sono io che avrei dovuto morire. Ma abbi pazienta: adesso non ho un soldo, ma quando mi daranno la RSA (pensione minima di solidarietà), verrò con una buona birra e la berrò alla tua salute”. Fa sorridere, ma aveva messo in quel messaggio, a modo suo, tutto il suo cuore e la sua amicizia per l’amico. Ci venne voglia di applaudire…
Un giorno ho scritto per il giornale della parrocchia un articolo dal titolo: «Sai una cosa? Penso che Dio abiti nel nostro quartiere!». Ecco, volevo semplicemente condividere con voi qualche contesto in cui questa mia convinzione si alimenta. E non mi stanco di dire grazie a quelli e a quelle che mi aiutano a scoprire la sua presenza…
Alla prossima! Marc
Posted: 4 Novembre 2019 by Redazione Leave a Comment
La Fraternità va costruita!
A Beirut, in Libano, nel quartiere popolare di Nabaa, esiste una fraternità da moltissimi anni. Con i cambiamenti e l’arrivo di nuovi fratelli, la vita fraterna è sempre da costruire.
Roger ce lo spiega.
Ho la fortuna di vivere con dei fratelli più giovani di me, che sono ancora in età lavorativa e che hanno moltissime relazioni con la gente. Due di loro, Bertrand e Pierre-Yves, parlano facilmente e alla sera ci raccontano ciò che hanno fatto nella giornata e i vari incontri avuti. Spesso è appassionante perché si vede che sono dei fratelli che si trovano a loro agio, dando il meglio di sé e contenti del loro lavoro. Per me, che non esco quasi più, è una vera fortuna; mi piace ascoltarli, tanto più che parlano ad alta voce ed io li sento bene.
Con il nostro terzo fratello al lavoro, le occasioni per parlare sono più rare. Lluis rientra tardi la sera, molto dopo la cena, e non ha tanta voglia di parlare! Quando però lo fa, ci trasporta nella sua fattoria in montagna parlando con passione degli ultimi nati della sua stalla. Gli piacerebbe che anche noi avessimo lo stesso interesse per i gatti ed i piccioni del quartiere, ma il nostro cuore è duro e senza pietà…!
Quando i tre sono a lavoro, anche noi due che siamo in pensione abbiamo il nostro da fare con le occupazioni domestiche o con altre attività. Quando Pascal non è in cucina o a lavare i panni, lo vedo a leggere e meditare con assiduità i salmi in arabo o dei testi della liturgia maronita, mentre io mi avventuro a leggere il Corano con l’aiuto dei libri di Michel Cuypers. Garantiamo anche una presenza per accogliere chi bussa alla porta della fraternità, persone in difficoltà che cercano la nostra amicizia o anche qualche moneta, un amico rifugiato siriano che viene a passare un momento con noi per ingannare l’attesa del visto che dovrà portarlo in Canada con la sua famiglia. Ci sono i vicini del 5° piano che depositano alcune cose da noi dato che il palazzo dove abitiamo non ha l’ascensore; la hajjé del piano di sopra (una vicina che ha fatto il pellegrinaggio alla Mecca) che ci porta dei “manaqich” al timo o delle olive dell’ultimo raccolto nel suo villaggio del Sud. C’è stata anche la visita-lampo di un prete della parrocchia che è venuto col suo aspersorio per benedire il nostro appartamento ed ha recitato due versetti del salmo 50. È un’usanza che si fa qui, subito dopo la festa del Battesimo di Gesù.
L’attuale fraternità avrà ben presto tre anni. Si è formata in diverse tappe. Bertrand e il sottoscritto vivevamo insieme da 24 anni quando Pascal è arrivato dal Pakistan. Lluis ci ha raggiunti quattro anni fa venendo da Taalabaya (l’altra fraternità del Libano dove era rimasto solo) e Pierre-Yves ha lasciato Damasco tre anni fa. Ora è una fraternità di cinque fratelli; per me è una grande sfida! Ho avuto un momento di dubbio e qualche apprensione, adesso però sento una profonda gioia in questo vivere-insieme che, tra l’altro, mi dà anche la sicurezza di cui ho bisogno.
È un’avventura dura e bella allo stesso tempo. Ci sono dei giorni in cui qualcosa stride, ma Dio ci sostiene mettendo nell’ingranaggio un po’ di quel olio che profumava la barba di Aronne. La nostra comune vocazione a seguire Gesù di Nazaret, non basta per fare di noi cinque una comunità. Il pane eucaristico che ci riunisce in un solo corpo non basta neppure lui. Dobbiamo anche condividere ciò che c’è di più umano in ciascuno di noi, il nostro lato “terroso”, ciò di cui siamo impastati. Quello che abbiamo vissuto nella nostra infanzia, condiziona il comportamento di tutta la vita. Non possiamo essere eguali se siamo cresciuti in una famiglia di 3, 4, 6 o di 14 figli; in un ambiente modesto o agiato, con dei genitori oppure orfani, sani o pieni di acciacchi di salute! Ognuno ha i suoi gusti e i suoi bisogni, le proprie abitudini, i suoi doni, le sue debolezze e le sue ferite. Capisco meglio, adesso, che dobbiamo costruire la nostra fraternità di Nabaa con le nostre differenze e divergenze e soprattutto con le nostre debolezze e ferite: è questo che la rende così umana e così bella, dolce come l’olio di Aronne, fresca come la rugiada dell’Hermon (Salmo 132).
Roger
Last Updated: 13 Agosto 2019 by Redazione Leave a Comment
“Rispondere con gioia e fiducia”, i voti perpetui di Carlo.
Sabato 27 luglio ho pronunciato i voti perpetui nella Fraternità dei Piccoli Fratelli di Gesù.
Nel momento in cui offro la mia vita come un dono vedo tanti volti, tante vite donate nel silenzio, un popolo che cammina insieme, con le fatiche e le gioie che ciò comporta.
Provo un senso di gratitudine nei confronti dei piccoli fratelli, di tutte le persone che mi hanno accompagnato nella vita, per strade diverse, all’incontro con Gesù.
Attraverso gli incontri, il silenzio del cuore, ho fatto l’esperienza di essere amato. I gesti di affetto ricevuti, il lavoro e le speranze condivise, mi rimandano all’Amore infinito di Dio, manifestato in Gesù, il carpentiere di Nazaret.
Alla scuola dei piccoli desidero rispondere con gioia e fiducia a questo amore il mio: sì!
Per cercare con la gente, assieme ad essa colui che il mio cuore ama.
“Mi alzerò e farò il giro della città per le strade
e per le piazze; voglio cercare l’amore dell’anima mia.” (Ct 3,2)
Carlo
Last Updated: 17 Agosto 2019 by Redazione Leave a Comment
Ciò che imparo dai miei vicini.
A Lille, nel Nord della Francia, ci sono due fraternità in quartieri popolari.
Marc, che vive a Lille-Sud con Régis e Filip, ci parla dei suoi impegni
e di tutto ciò che riceve dagli incontri della vita quotidiana.
I documenti per la preparazione del Capitolo ci invitano a fare il punto su quello che viviamo, sulle situazioni che ci coinvolgono, sui modi in cui i nostri impegni e il nostro “essere presenti” ci fanno vivere. Li ricevo come un invito a dare delle notizie: è da tanto tempo infatti che dalla fraternità di Lille-Sud non scriviamo.
Con Régis, siamo giunti in questo quartiere di Lille-Sud a gennaio 1983: trentasei anni fa! Sono stato assente per più di 15 anni, senza tuttavia tagliare i legami con i vicini e gli amici, e adesso sono quasi 10 anni che sono ritornato. Inutile dire che molti legami si sono creati con il quartiere e con qualche famiglia, in particolare, che ci ha accolto come «fossimo della famiglia» (mi permetto di scrivere questo perché l’ho sentito dire mentre ne parlavano tra di loro…). Ne condividiamo la vita con le sue grandi difficoltà e le sue gioie, con le sue miserie e i suoi limiti, e con qualche successo! Io do una mano a parecchie persone soprattutto per delle pratiche amministrative: incredibile la quantità di documenti da compilare e incredibile quanto, a volte, siano complicati! E, come se non bastasse, molte procedure sono informatizzate e la stragrande maggioranza dei nostri amici non ha accesso a queste tecniche moderne!
Ho l’impressione però che ciò di cui la gente ha maggiormente bisogno, non è questo genere di servizi, ma è piuttosto l’attenzione e l’amicizia. Ciascuno si aspetta un po’ di ascolto, di fiducia, di non sentirsi giudicato; di sentirsi amato e rispettato senza condizioni. Tutto questo a volte è molto esigente, bisognerebbe essere disponibili 24 ore su 24, tuttavia è commovente percepire come la fiducia stia crescendo. E ciò che mi colpisce ancora di più sono i frutti di questa fiducia e, in particolare, il comportamento sincero. Dicendo questo, penso ad un giovane nostro amico: “l’abbiamo visto nascere” 34 anni fa, era il figlio dei nostri vicini. Due anni fa l’abbiamo accompagnato, sostenuto e visitato, mentre faceva una cura di disintossicazione dall’alcool. Qualche mese più tardi l’ho incontrato per strada con altri due amici. Dopo una breve chiacchierata insieme, lui dice agli altri: «Andate; io mi fermo, devo parlare con Marc!». Rimasti soli mi dice: «Sai, ho ricominciato a bere…». Ero profondamente toccato da questo suo desiderio di essere vero, questo coraggio di mostrarsi all’altro tal quale si è, senza nascondere o camuffare i propri limiti. Lasciava intendere una specie di paura: che l’altro lo giudicasse migliore di quello che lui era! (l’esatto opposto della paura abituale…). Non voleva che venissi a conoscenza della sua ricaduta tramite altri, e sapeva bene che, se me la confidava, ciò non avrebbe rovinato né l’amicizia né la fiducia e che gli sarei rimasto a fianco. Mi ha dato una bella lezione: com’è la mia fiducia dentro di me? Io che non ho nessuna voglia che gli altri scoprano i miei limiti, le mie miserie e che faccio di tutto per nasconderle…
Abbiamo la fortuna di stare in una Chiesa locale molto marcata dalla missione operaia. Abbiamo dei legami – soprattutto i fratelli dell’altra fraternità – con diversi gruppi e comunità cristiane i cui membri, molto impegnati, sono veramente gente dei nostri quartieri popolari: ne hanno lo stile, il linguaggio ed anche le ricchezze. Tuttavia, in un contesto segnato da una forte “scristianizzazione” e da una presenza rilevante di credenti musulmani, è una chiesa di minoranza e molto piccola. Da qui la difficoltà ad addossarsi un certo numero di servizi vitali, e la necessità di fare appello a tutte le “buone volontà”. È in questo contesto che, qualche anno fa, ci è stato chiesto, a motivo della nostra “conoscenza dell’ambiente”, di partecipare all’accompagnamento dei catecumeni: ne abbiamo parlato tra di noi ed ho accettato di far parte di una equipe. Una volta al mese, con Myriam, madre di famiglia, incontriamo due o tre adulti che si preparano al battesimo. È un cammino che dura circa due anni. Non conoscevo nulla di questo tipo di accompagnamento e ho avuto la fortuna di seguire un corso di formazione organizzato dal servizio del catecumenato. Le persone finora accompagnate sono soprattutto donne, tra i venti e i cinquant’anni, spesso con una storia personale difficile. Sono sempre stupito dalla freschezza della loro scoperta e da quella specie di “sete” e di fiducia viva che le anima.
Utilizziamo delle schede di lavoro che si intitolano: «Incontri con Gesù, il Cristo», strutturate su dei brani del vangelo dove delle persone incontrano Gesù; scopriamo insieme lo «stile» di Gesù, il suo modo di essere e di agire ed il volto di Dio che egli ci propone. È anche un’occasione per scoprire che essere cristiani non significa “ingoiare” un insieme di dottrine, ma prima di tutto significa incontrare una persona vivente, accettando di lasciarsi scomodare e cambiare da questo incontro.
Ciò che forse mi ha impressionato di più durante questi anni, è di toccare con mano quanto, per molti, la questione del perdono sia centrale. Mi ricordo di una giovane donna che ci diceva, dopo la riflessione su questo tema: «Credo che la mia strada verso il battesimo, per i mesi che restano, debba essere un cammino di perdono, da dare e da ricevere; sarà difficile ma non posso passargli accanto!”.
Mi ricordo anche di una nuova battezzata, camerunese, che improvvisò in chiesa una danza entusiasta, al termine della veglia pasquale, per esprimere la sua gioia con tutte le fibre del suo essere, coinvolgendo con lei anche la sua famiglia ed i suoi amici e, poco a poco, buona parte dell’assemblea.
In parrocchia ho anche accettato un altro servizio, quello del «giornale parrocchiale»: parola altisonante per un giornalino di 16 pagine che esce tre volte all’anno. È un giornale gratuito distribuito da un battaglione de volontari in più di 6500 cassette postali del quartiere. Nello Statuto c’è una frase che mi piace molto (e che cito in tutte le riunioni di lavoro del “gruppo di redazione”!): «Vogliamo un giornale che offra agli abitanti di Lille-Sud uno sguardo cristiano sul mondo (…e non unicamente uno sguardo sul mondo cristiano)». E questo Statuto spiega anche come fare: parlando delle ricchezze del quartiere (il lavoro delle Associazioni, gli atti di solidarietà, i progetti comuni, il “vivere insieme” ecc.); con delle interviste, per dare la parola a coloro a cui spesso è negata; cercando di lasciar scoprire che la vita non è “banale” ma piena di senso. Un bel programma, direte, ma io credo di poter dire, modestamente, che lo svolgiamo abbastanza bene! Per me, ad ogni modo, anche se mi impegna molto nelle settimane che precedono la pubblicazione, è prima di tutto una vera occasione di incontri.
Il nostro quartiere ha una brutta reputazione, eppure si tratta di un quartiere pieno di vita dove il tessuto associativo è molto denso. C’è ogni sorta di associazione: i club sportivi naturalmente, il doposcuola, la promozione della donna, e delle cose inaspettate ma altrettanto geniali come La cravatta solidale, un’associazione che aiuta le persone a prepararsi ai colloqui di lavoro: simulazione del colloquio e consigli, scelta di vestiti gratuiti ( concessi da alcuni negozi) per essere dignitosi e presentarsi bene, foto d’identità per il CV, … c’è tutto, perfino un accompagnamento delle persone, con le quali i volontari mantengono i contatti per alcuni mesi.
Grazie al giornale, ho avuto l’occasione di incontrare delle persone molto impegnate nel servizio sociale del quartiere. Che ricchezza! Con alcuni abbiamo l’occasione di rivederci, durante le feste o alle riunioni di quartiere, ed è sempre una grande gioia. Penso, tra tanti, ad un animatore del quartiere che avevo intervistato a proposito di due film straordinari che aveva realizzato. Ci piace ritrovarci ed il dialogo continua, come può testimoniarlo lo scritto che mi ha inviato per augurarmi buon anno: «I tempi sono sempre stati duri in questo mondo, ma, nella nostra epoca, mancano delle persone competenti che usino delle parole vere, cariche di significato…»: è ciò che lui cerca di vivere nelle sue attività con i giovani.
Mi piacerebbe terminare parlandovi di un’altra attività a cui partecipo insieme con Régis. Si tratta di un collettivo che si chiama: «Memoria-Fraternità» (Memoria per i defunti, Fraternità per i vivi!). In questo collettivo ci sono tante associazioni e tutte sono al servizio di persone che si trovano in situazioni precarie. C’è anche un gruppo, quello a cui apparteniamo, che assicura una presenza fraterna nei funerali di persone povere.
In Francia la legge obbliga i Comuni a farsi carico dei funerali di coloro che sono morti nel loro territorio e che non hanno – e neppure la loro famiglia – le risorse sufficienti per assicurare le spese della sepoltura. In passato, qui a Lille, questi funerali si facevano in gran fretta, al mattino presto e spesso senza alcun seguito e tali persone venivano sepolte in quell’area che si chiamava: «la fossa comune». Da quasi 25 anni un gruppo di persone ha deciso di mettere in piedi tale collettivo, che ha questo semplice obiettivo: «Non si seppellisce un essere umano come un cane». Sono stati fatti degli accordi con il Comune e con le agenzie di Pompe funebri, e così, ogni volta che una persona viene presa in carico da questo programma, noi veniamo informati; un piccolo gruppo, dipende dalla disponibilità di ciascuno, garantisce una presenza ed una semplice celebrazione di addio per colui o colei che ci lascia. Anche se la maggioranza dei partecipanti sono cristiani (cattolici e protestanti), la celebrazione che viene offerta è una celebrazione “laica”, di “fraternità repubblicana”, eccetto se ci sono parenti o vicini del defunto che chiedono una preghiera. I più “anziani” del collettivo hanno notato una certa evoluzione: in passato, si trattava soprattutto di persone sole e che spesso vivevano sulla strada. Oggi, sempre di più, si tratta di persone che hanno ancora dei legami con la famiglia o sono inserite nel proprio quartiere ma non dispongono delle risorse finanziarie per il funerale. Segno di un impoverimento della società? In questi ultimi anni, sono stati presi in carico da questo programma, una quarantina di funerali all’anno.
Faccio parte del piccolo gruppo che si occupa della celebrazione presso la tomba; si tratta di fare un breve “discorso” che dia qualche dettaglio sulla vita del defunto (qualora si sia potuto avere un contatto con la famiglia o con i servizi sociali che lo seguivano) e ricordi ai presenti il significato di quello che si sta facendo. Poi segue un momento di silenzio, si legge qualche testo e, infine, ciascuno dei partecipanti si inchina davanti alla tomba e vi deposita dei fiori. Sovente cito l’articolo della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: «Tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti… (…). Essi devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza!».
Confesso che mi commuovo sempre quando si accompagna qualcuno che è completamente solo; com’è possibile che uno muoia e che non ci sia nessuno che ne senta la mancanza? Ci è capitato di accompagnare qualcuno di cui si sapeva soltanto che si trattava di un uomo o di una donna: nessuna carta di identità su di loro e nessuno che ne dichiarasse la scomparsa. Veramente solo/a al mondo! Penso che ogni persona del nostro gruppo porti saldamente in sé questa certezza: che sia un dovere essere là presenti semplicemente per testimoniare la nostra comune umanità e la nostra fratellanza. Ammiro un anziano signore di 92 anni, che viene da un altro quartiere di Lille e che cammina con due bastoni e fa a piedi l’ultimo chilometro, solo per offrire questo gesto di fratellanza.
Voglio aggiungere che ci sono anche delle belle cose: mi ricordo per esempio del funerale di un uomo che abitava in una casa di accoglienza per gente di strada. Al suo funerale, c’erano degli operatori della casa insieme ad un caro amico del defunto. Al momento di inchinarsi davanti alla tomba, quell’amico ha preso la parola: “Perché mi hai lasciato? Sono io che avrei dovuto morire. Ma abbi pazienta: adesso non ho un soldo, ma quando mi daranno la RSA (pensione minima di solidarietà), verrò con una buona birra e la berrò alla tua salute”. Fa sorridere, ma aveva messo in quel messaggio, a modo suo, tutto il suo cuore e la sua amicizia per l’amico. Ci venne voglia di applaudire…
Un giorno ho scritto per il giornale della parrocchia un articolo dal titolo: «Sai una cosa? Penso che Dio abiti nel nostro quartiere!». Ecco, volevo semplicemente condividere con voi qualche contesto in cui questa mia convinzione si alimenta. E non mi stanco di dire grazie a quelli e a quelle che mi aiutano a scoprire la sua presenza…
Alla prossima! Marc
Posted: 14 Giugno 2019 by Redazione Leave a Comment
POVERI E CAPITALE
L’otto maggio, il sociologo Paolo Sorbi ha presentato a Roma il suo ultimo libro “Poveri e Capitale – La povertà nella politica“, nel quale s’interroga e analizza la vita dei poveri nella loro storia (già con Spartaco), le loro lotte – dalle rivolte alle rivoluzioni – i loro successi e fallimenti, le loro speranze … di fronte al capitalismo di ieri e di oggi.
Cliccando su questo link, si può leggere che cosa il giornalista Antonio Gaspari (Frammenti di pace) riporta dell’intervento di un piccolo fratello di Gesù, partecipante alla presentazione del libro.
http://www.frammentidipace.it/Pages/Articoli/10877/Gesù_e_i_poveri_missione_della_Chiesa_cattolica
Posted: 3 Giugno 2019 by Redazione Leave a Comment
Perché amo la Chiesa d’Algeria
Ventura vive in Algeria da parecchi anni. In occasione della beatificazione dei diciannove martiri, l’8 dicembre 2018, ritorna a parlare del suo affetto per la Chiesa di quel paese: una Chiesa dalle mani libere, che cammina con un popolo, nello spirito della “Visitazione” con gli “emarginati” della società.
Come ogni anno, mi piace farvi visita a Natale e parlarvi di un tema che riguarda tutti noi che viviamo in Algeria. Quest’anno voglio rendervi partecipi della mia passione più grande, che altro non è che di sapermi membro attivo della Chiesa d’ Algeria.
Sovente, dopo la celebrazione dell’Eucarestia al mio paese natio, in Catalogna, la gente mi dice più o meno delle cose di questo genere: «Ma che cosa fai in Algeria? non ci sono cristiani e non puoi neppure annunciare Gesù apertamente! Saresti più utile qui che laggiù!». Senza entrare in questa discussione voglio dire subito che tale questione risponde più alla logica del mercato, dell’efficienza e del risultato… che non alla logica evangelica della gratuità, della presenza e dell’amicizia che la minuscola Chiesa algerina tenta di vivere. L’8 dicembre 2018, essa ha vissuto un momento indimenticabile con la beatificazione di 19 dei suoi membri; ebbi la fortuna di incontrare alcuni di loro e di essere stato loro amico…
Per rispondere alla domanda: «Perché mi aggrappo tanto all’ Algeria?», mi servo dell’esempio di tre uomini che, per caso, hanno tutti e tre il medesimo nome: Mohamed.
In ordine cronologico, il primo, Mohamed Benmechay, lo troviamo nel 1959.
Il futuro priore del monastero di Tibhirine – Christian de Chergé – è un giovane seminarista e fa il servizio militare in Algeria, che si trova a due anni dalla indipendenza. Fa parte di un settore che tenta di ridurre l’enorme fossato che separa gli algerini dal colonizzatore francese. Christian percorre i villaggi di montagna in compagnia di una guardia campestre che si chiama Mohamed, padre di 10 figli, uomo profondamente religioso.
Un giorno, durante un diverbio con i suoi che l’accusavano di tradire il proprio popolo, egli ha preso le difese dell’amico straniero contro quelli che lo volevano uccidere… Il giorno dopo, è lui, l’amico algerino, che è stato trovato morto accanto ad un pozzo. Qualche anno più tardi Christian scriverà: « Nel sangue di quell’amico, assassinato per non aver voluto scendere a patti con l’odio, ho saputo che la mia chiamata a seguire Cristo si doveva vivere, presto o tardi, nel paese stesso dove avevo ricevuto la prova dell’amore più grande (…) Conosco almeno un carissimo fratello, musulmano convinto, che ha donato la sua vita per amore del prossimo, concretamente, con il suo sangue… Quell’amico che ha vissuto, fino a pagare con la morte, il comandamento unico…».
Il secondo Mohamed lo troviamo nel 1993. In verità non si conosce il suo nome, ma mi piace pensare che avrebbe potuto chiamarsi Mohamed. Negli anni 90, l’Algeria si radicalizza e c’è una forte avanzata degli “islamisti”. Il 30 ottobre 1993, il Gruppo Islamista Armato (GIA) dichiara guerra agli stranieri che vivono nel Paese: «avete un mese per lasciare l’Algeria. Chiunque va oltre questa data è responsabile della sua propria morte». L’ultimato scade il 1° dicembre, data in cui Christian comincia il suo “Testamento”. Il 14 dicembre, dodici lavoratori croati vengono assassinati nel villaggio di Tamesguida, nella piana al di sotto del monastero; avrebbero potuto essere di più se il nostro Mohamed non fosse intervenuto. Gli assassini escono dalla prima baracca lasciandosi dietro 12 cristiani croati sgozzati; quando entrano nella seconda baracca, un musulmano – il nostro secondo Mohamed – blocca il gruppo terrorista dicendo: «io sono Bosniaco e musulmano». Gli dicono di pronunciare la professione di fede musulmana (la ‘shâhâda), cosa che fa subito e aggiunge: «Qui, siamo tutti musulmani!», e così ha salvato i cristiani che si trovavano nella baracca.
Il terzo Mohamed, Mohamed Bouchikhi, lo troviamo nel 1996: è l’autista del vescovo di Orano, Pierre Claverie. Il sangue dei due si è mescolato nell’attentato della notte del 1° agosto 1966.
Mohamed sapeva di essere minacciato: «Pierre, la settimana scorsa, mi ha detto che la cosa si è fatta troppo pericolosa, che avrei dovuto tornarmene a casa… Gli ho detto che ero conscio del pericolo, ma era fuori discussione che lo potessi lasciare… Non c’è gioia nel morire a ventun anni… Ma sarebbe troppo triste che Pierre, che tanto ama l’amicizia, non avesse un amico al suo fianco nell’ora della morte, per accompagnarlo …» (da: “Pierre e Mohamed” ed. EMI). Qualche giorno prima di morire, il vescovo di Orano aveva confidato ad un amico prete: «Vedi, fosse anche per un solo ragazzo come Mohamed, vale la pena di rimanere in questo paese, anche a rischio della propria vita».
Con questi esempi di vite donate, credo che possiate facilmente capire il perché noi siamo così legati all’Algeria e non abbiamo nessuna intenzione di partire! La mia presenza in Algeria non ha nessun merito. Nella vita, tutti cerchiamo la felicità ed è il motivo per cui tutti cerchiamo di vivere là dove ci sentiamo amati ed accolti. Nel nostro caso, noi conosciamo dei musulmani disposti a dare la vita per gli amici, senza distinzione di razza, di cultura o di religione… e non esitano a sacrificare tutto per coloro che amano; proprio come fareste voi per i vostri figli se sapeste che sono in pericolo… Per questo la nostra risposta non può essere diversa da quel detto popolare: «L’amore si paga con l’amore!».
Ecco, tutto questo mi porta a parlarvi di una delle mie convinzioni più forti che porto dentro e che è questa: «Un’altra Chiesa è possibile!».
Penso che la Chiesa algerina possa aiutare a intravedere i cambiamenti di cui la Chiesa universale ha bisogno. Sì, ciò che vive la nostra piccola e povera Chiesa algerina può essere indice di riferimento e ci può aiutare a uscire dalle nostre abitudini che ci uccidono e ci discreditano di fronte ai nostri contemporanei.
Bisogna dire che, prima della beatificazione, la nostra Chiesa ha avuto molte esitazioni: era la prima volta che un tale evento accadeva in un paese musulmano e si ponevano molte interrogazioni: «Cosa sono 19 martiri in confronto ai 150.000 – 200.000 morti della crisi algerina? Cosa sono i nostri 19, in confronto ai 114 imam morti a causa del loro rifiuto a usare il nome di Dio per giustificare la violenza? Gli Algerini non potrebbero prendere questa beatificazione come una provocazione?» … Una cosa era molto chiara: «Non volevamo una beatificazione fra cristiani, poiché questi fratelli e queste sorelle sono morti fra decine e decine di migliaia di Algerini» musulmani, ha ricordato l’arcivescovo di Algeri. E questo era chiaro fin dall’inizio. La veglia di preghiera è stata del tutto interreligiosa, intercalando canti cristiani e canti sufi. Il giorno dopo, nella Grande Moschea, si è reso omaggio alle centinaia di migliaia di vittime e, in modo speciale, ai 114 imam che, ugualmente, sono morti per combattere la violenza. E, se potevano ancora esserci dei dubbi, all’inizio della Eucarestia della Beatificazione, tutta l’assemblea si è alzata per «fare un minuto di silenzio in memoria della migliaia di intellettuali, di militari, di artisti, di genitori e di bambini anonimi…» e, subito dopo, il vescovo di Orano ha letto il “Testamento spirituale” di Mohamed Bouchikhi… La lettura del Vangelo, cantato in arabo, non lasciava più dubbi: l’Algeria era al centro della celebrazione e non noi, i cristiani di Algeria!
La prima e, forse, la più visibile caratteristica di questa Chiesa algerina, è che essa cammina insieme ad un popolo. Tutti quanti i 19, con frasi differenti, continuavano a ripetere: «Essere con il popolo»; «Vivere con il popolo»; «Vivere mescolati con le famiglie». «Non possiamo abbandonare i nostri vicini» è la risposta che tutti avevano dato quando tutte le comunità erano state invitate a fare un discernimento: «Rimanere o partire?». Nonostante i rischi che c’erano e di cui erano coscienti, è il fattore «popolo» che faceva pendere la bilancia dalla parte del rimanere: «per fedeltà al Maestro!». Sta di fatto che i diversi giornali locali e internazionali che parlano dei 19 usano i seguenti termini: «martiri della speranza» oppure «martiri della solidarietà» o anche «martiri della carità».
Un’ altra grande caratteristica di questa Chiesa è la sua piccolezza e la sua mancanza di potere: non ha nulla da insegnare e nulla da difendere… Con le mani libere, è un riflesso del Vangelo. Molti di coloro che hanno potuto seguire in televisione i diversi momenti della celebrazione mi hanno fatto notare dei gesti molto semplici ma eloquenti come quello di vedere il vescovo di Orano seduto per terra insieme alla corale sub-sahariana; di vedere il vescovo di Algeri che, ignorando ogni protocollo, al momento della pace scende dall’altare per raggiungere e abbracciare gli Imam presenti in mezzo all’assemblea; il “yuyu” (grido di allegria) delle donne arabe che interrompe spesso la cerimonia, ecc.… Abbiamo vissuto la “Gioia del Vangelo” nella sua forma più pura!
Si avvicina il Natale però la situazione del paese che ci accoglie, di confessione musulmana, ha fatto che la nostra Chiesa dia la preferenza al « mistero della Visitazione » e, questa, è la terza caratteristica della nostra Chiesa che è in Algeria… Maria corre verso la montagna per aiutare la cugina Elisabetta…: portare Gesù agli altri senza parlare, senza che essi lo sappiano, unicamente con la nostra semplice presenza; mettersi in cammino per incontrare gli emarginati della nostra società (migranti, malati di AIDS, carcerati, disabili, ammalati, ecc.…): «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me!» (Mt. 25,40).
Vi saluto con un testo scottante che, secondo me, riassume tutto quello che ho cercato di dirvi. Pierre Claverie, un mese prima di essere assassinato, scriveva:
«la Chiesa adempie la sua vocazione e la sua missione quando è presente nelle fratture dell’umanità… In Algeria siamo su una delle linee sismiche che attraversano il mondo: Islam/occidente, Nord/Sud, ricchi/poveri, ecc.… Qui siamo proprio al nostro posto… Siamo qui a causa di questo Messia crocifisso. Non abbiamo nessun interesse da salvare, nessuna influenza da mantenere… Non abbiamo nessun potere, ma siamo qui come al capezzale di un amico, di un fratello malato, in silenzio, stringendogli la mano, asciugandogli la fronte… Credo che la Chiesa di Gesù Cristo muore se non sta sufficientemente vicina alla Croce del suo Signore. La chiesa si sbaglia e inganna il mondo quando si pone come una potenza tra le potenze…. Potrà anche brillare, ma non brucerà del fuoco dell’amore di Dio, “forte come la morte” (Ct.8,6). Dare la propria vita… Una passione di cui Gesù ci ha dato il gusto e ha tracciato il cammino: “Non c’è amore più grande che dare la vita per coloro che si amano”».
Ventura
Posted: 16 Maggio 2019 by Redazione Leave a Comment
Saluti dal Camerun
Da Bamenda, nel Camerun anglofono, dove vivono tre fratelli camerunesi, Flaubert ci invia un normale saluto: gioie, preoccupazioni, lavoro, legami con la Chiesa locale, vita comunitaria: la vita ordinaria di una fraternità…
Buongiorno a tutti! È sempre un piacere per me condividere con voi quello che viviamo qui a Bamenda. Vorrei, molto semplicemente, parlarvi della nostra vita comunitaria, della nostra vita nella parrocchia e nel quartiere e, infine, della mia vita di lavoro.
La nostra vita comunitaria è molto movimentata, con delle visite regolari di giovani che desiderano conoscere la Fraternità. Attualmente tre di loro hanno deciso di entrare in fraternità. Noi preghiamo affinché con noi possano trovarsi al loro posto. Per questo motivo cerchiamo di prendere la vita comunitaria sul serio rispettando un ritmo di incontri comuni. Ci impegniamo per essere attenti l’uno all’altro. Attenti anche a quando si assenta la persona che si occupa di Isidoro, il nostro fratello più anziano, la cui salute è precaria. Di tanto in tanto organizziamo una pulizia generale attorno alla casa per far sì che l’ambiente circostante sia pulito. Siamo anche andati a coltivare il nuovo terreno, dove prevediamo di costruire la nuova fraternità, seminando del mais e dei fagioli. Desidero informarvi che ci sentiamo molto fortunati con questo terreno; abbiamo parecchie banane che raccogliamo quasi ogni settimana…
Le relazioni con la parrocchia sono ottime. Abbiamo un parroco che ci vuole molto bene. Viene a celebrare l’eucarestia da noi in fraternità una volta alla settimana, abitualmente ogni martedì o al mattino o alla sera; viene alternandosi con il suo viceparroco. Quando vengono di sera, sono ben felici di cenare con noi e di passare la serata insieme. Quando vengono al mattino, condividono con noi la colazione. Ogni tanto, come segno di solidarietà, ci mandano parte dei doni che ricevono dai fedeli. È una relazione veramente gradevole. Partecipiamo regolarmente al Consiglio parrocchiale per essere al corrente della vita della parrocchia…
Riguardo alla vita nel quartiere, anche qui le nostre relazioni sono buone, tuttavia stiamo progettando di lasciare questo quartiere a causa dei rumori dei vari locali notturni intorno a noi. La città infatti si è sviluppata molto in fretta nel nostro quartiere, delle agenzie di viaggio si sono installate proprio di fronte a noi come pure delle discoteche. Capite dunque la ragione per cui vorremmo partire da questo quartiere.
Partecipiamo regolarmente alla CEB (Comunità Ecclesiale di Base) del quartiere, ogni lunedì alle 17h. Durante questi incontri, si condivide il Vangelo della domenica successiva e condividiamo anche le gioie e le difficoltà degli uni e degli altri. Ogni anno la CEB organizza una Messa nella fraternità nel periodo natalizio, con l’intento di celebrare il Natale con noi…
Quanto al mio lavoro, è sempre lo stesso. Continuo a lavorare per la diocesi di Bamenda come supervisore dei cantieri diocesani.
Mi fermo qui per non scoraggiare chi non ama le lettere troppo lunghe.
Fraternamente Flaubert
Last Updated: 7 Marzo 2019 by Redazione Leave a Comment
Amore e fedeltà.
In occasione della beatificazione a Orano, l’8 dicembre 2018, dei 19 religiosi e religiose uccisi durante gli anni bui in Algeria, Armand, che ha vissuto là tutta la sua vita di piccolo fratello, rievoca per noi quegli anni di tensione e di sofferenza per tutto il popolo algerino, ma anche la gioia della fedeltà di coloro che hanno fatto la scelta di rimanere e di continuare a vivere là la loro vita di consacrati a Dio per quel popolo. Armand vive ad Annaba ormai da tanti anni; a causa dell’età e d’accordo con i fratelli, ha però lasciato il suo quartiere per stabilirsi in una casa di riposo per anziani, gestita dalle Piccole Sorelle dei Poveri, nelle vicinanze della città; ciò gli permette di mantenere i suoi legami con i vicini e amici che ha in città.
È da tanto tempo che non ho più scritto un diario. I recenti avvenimenti mi spingono a farmi vivo presso ciascuno di voi, fratelli sparsi nel mondo. Certamente avete saputo che i 19 martiri degli anni bui dell’Algeria, saranno presto beatificati, e la celebrazione avrà luogo proprio in Algeria. Siamo parecchi fratelli ad essere stati presenti in questo paese durante quegli anni, e il Signore, allora, aveva permesso che la vita dei nostri due fratelli di Bissa fosse risparmiata.
Questa notizia fa riaffiorare molti ricordi. Anni vissuti in una certa inquietudine, a volte nella paura, ma anche nella pace, nella fiducia e nella fedeltà al Signore. Eroi non di più dei nostri amici e vicini algerini e algerine. Ci sembrava normale infatti di continuare a vivere qui senza pensare di partire, nella fedeltà ad un popolo che ci aveva accolto da ormai tanti anni. L’Islam era come un involucro, un legame che ci stimolava a non “tirarci indietro”, per amore della verità con noi stessi e con il dono della nostra vita che avevamo fatto impegnandoci nella vita religiosa al seguito di Gesù.
In questi giorni sono spesso sollecitato, indirettamente, per quanto riguarda parecchi di coloro che furono allora vittime della violenza e che oggi sono sul punto di essere beatificati. Durante molti anni infatti, a partire dal 1996, sono stato responsabile del gruppo “Ribat es salam”, quel gruppo di dialogo nato a Tibhirine attorno a Christian de Chergé monaco e di Claude Rault dei Padri Bianchi.
Dopo il sequestro dei monaci e l’assassinio del vescovo Pierre Claverie, quel gruppo ha continuato a riunirsi regolarmente, cristiani e musulmani, due volte l’anno. In modo assiduo infatti abbiamo voluto continuare quello che si viveva attorno a Tibhirine, e condividerlo con degli scambi fraterni e regolari. Personalmente sono stato incaricato di mettere per iscritto in un bollettino periodico il contenuto di questi scambi. Un piccolo legame fraterno tra di noi, ma che è stato contagioso poiché qua e là sono nati altri gruppi con lo stesso spirito e con il desiderio di dialogo, di condivisione, specialmente con uomini e donne dell’Islam.
Che dire di più, oggi, che il paese si è ben rimesso economicamente ed è cambiato in meglio anche esteriormente, con quartieri nuovi e persino con nuove città, con la metropolitana di Algeri o le linee tranviarie di Algeri, Orano, Costantina, Sétif, Sidi bel Abbès o anche Ouargla. Annaba resta in coda. Il paese comunque non riesce a prendere una giusta velocità di crociera nella pace. Ci sono difficoltà economiche, malumore sociale, crisi culturale, islamismo rampante, assopimento politico. Il paese soffre per la mancanza di dirigenti giovani e dinamici…e per di più, alcuni sono pronti a sostenere un quinto mandato per un presidente che ormai è handicappato!
L’Algeria aspira a qualcosa di meglio! Ci sono tanti talenti che si lasciano assopiti invece di stimolarli e tante iniziative che non vengono incoraggiate. La sicurezza ormai è garantita, il paese è calmo (malgrado ci siano frequenti arresti di terroristi o…di altri trafficanti!). L’opposizione democratica sembra disorientata e fa fatica ad unificarsi… Tuttavia, non posso negare la mia gioia per essere rimasto qua e continuare a condividere una vita quotidiana spesso monotona a causa dell’età che limita le mie attività. Quando vado in Francia, dopo quindici giorni, ho la sensazione che mi manchi qualche cosa….
Che fare allora, continuare a vivere da solo con la vicinanza di amici? No. È stato deciso, insieme ai miei fratelli, che io vada a vivere nella casa di riposo per anziani tenuta dalle Piccole sorelle dei Poveri ad Annaba, sulla collina di Ippona, di fianco alla basilica di Sant’Agostino. Vi andrò tra qualche giorno, ma siamo intesi che io manterrò le mie relazioni e le mie attività con gli amici di Annaba. In realtà è ben poca cosa… Nella nuova sede raggiungerò un prete di Pontigny che ha 96 anni! Dovrò assicurare la celebrazione eucaristica quotidiana. Tra i pensionati, ritroverò anche un uomo di Beni Abbès che per parecchi anni è stato di servizio nella casa diocesana di Algeri nello stesso periodo in cui vi era nostro fratello Yahia. Manterrò dei legami non solo con gli amici ma anche con dei “catecumeni” che accompagno da qualche tempo, su richiesta dei responsabili diocesani. Non è sempre facile… ma il loro impegno ed il loro entusiasmo per aver incontrato Gesù aiutano a mantenere la speranza ed il cuore giovane. Ed ecco che mentre sto terminando questo diario mi arriva un messaggio di André dal Giappone, pieno di gioia.
Abbiamo vissuto insieme ad El Abiodh tanto tempo fa ed abbiamo fatto la prima khaloua (marcia nel deserto) verso Beni Abbès, quando avevo 20 anni! Chiaramente André conserva la giovinezza del cuore. Il suo messaggio è stato per me un sorriso di incoraggiamento. Sì, continuare così, in semplicità, attendendo il giorno in cui bisognerà lasciarsi mettere la cintura ai fianchi e sperare di essere trovati fedeli. Che ciò avvenga sempre nella gioia al seguito di Gesù. Che io possa dire come Paolo: “…ho conservato la fede!”, l’amore a la gioia.
Armand
Last Updated: 31 Gennaio 2019 by Redazione Leave a Comment
La vita semplice di una fraternità in Vietnam
Trac, della fraternità di My Tho, ha appena terminato il suo ritiro nella montagna al centro del Vietnam in un eremo delle piccole sorelle di Gesù. Rientrato a My Tho ha ripreso il suo lavoro: la fabbricazione di ceri pasquali e la cura dell’orto, affiancato alla casa, dove ci sono molti alberi da frutta ed un allevamento di pesci. Al momento è solo in fraternità poiché Danh è a Saigon per il suo terzo anno di teologia.
Carissimi fratelli, oggi Danh riparte a Thu Duc dopo i tre mesi di vacanze qui a My Tho. Va a continuare gli studi di teologia ancora per un anno.
Io sono rientrato a My Tho dopo due settimane di ritiro nella fraternità delle Piccole Sorelle di Gesù a Dalat. My Tho si trova a circa 400 km. In auto ci vogliono 10 ore , perché per recarsi a Dalat, si attraversano delle gole e delle colline con dei passaggi pericolosi. Là però l’aria è pura e abbastanza fresca per non dire fredda, specie durante l’inverno e nei giorni in cui imperversa qualche tifone. Sul terreno delle Piccole Sorelle c’è una casetta disponibile per chi volesse prendersi un momento di ritiro in solitudine. All’interno c’è una piccola cappella con la presenza eucaristica, un letto, un cucinino ed un bagno. La fraternità delle Piccole Sorelle è ad appena 100 mt dalla cattedrale eppure è abbastanza calma. Se uno non se la sente di cucinare , le sorelle possono farlo per lui. All’ora giusta basta recarsi nella cucina, prendere il pasto preparato e portarlo all’eremo e lì consumarlo in silenzio.
E’ abitudine delle Sorelle preparare da mangiare senza farsi pagare per il disturbo (…soprattutto non insistete su questo punto!…). Finito il ritiro, sono rimasto un giorno intero per cucinare io un pasto per loro e festeggiare con gioia. Mi sembra giusto!!!
Ritorno quindi a My Tho per continuare il lavoro dei ceri pasquali. Ogni anno ne creo circa 100 per la diocesi di My Tho, di 4 kg. ciascuno. Faccio inoltre più di 200 kg. di ceri più piccoli, da 2 kg circa, per tre altri acquirenti. Il guadagno è sufficiente per due persone per tutto l’anno, ovviamente, con una vita sobria! In più curo gli alberi da frutta: 35 pompelmi, 10 longani (Litchi), 4 alberi di papaya, 3 palme da cocco, 2 alberi di giaco ed un albero di mela cannella. Quest’anno c’è stato un’ eccellente raccolta di frutta, da morirne…a mangiarla tutta! Fortunatamente Danh è venuto per le sue vacanze e ne ha ben approfittato.
Giaco, longano e mela cannella producono molti frutti in estate; il cocco ed il pompelmo invece producono durante tutto l’anno.
C’è anche una vasca per l’allevamento dei pesci e ci resta dello spazio per piantare legumi vari; ce n’è a sufficienza per la nostra necessità, senza doverne comprare.
Chiunque ama mangiare frutta a sazietà e ha paura del freddo, non ha che da venire a My Tho durante l’estate! Fa caldo e la frutta non manca, e…vi farò un buon prezzo! Arrivederci, Trac
Last Updated: 22 Dicembre 2018 by Redazione Leave a Comment
Auguri di Buon Natale, e felice anno nuovo.
Hervé Janson, il nostro priore, ci ha mandato questi auguri che, volentieri, condividiamo.
Novembre 2018
Quando riceverete questa lettera di fine anno, avremo già iniziato il cammino così bello dell’Avvento – un tempo di Speranza gioiosa che riprende tutta l’attesa di Israele attraverso la sua Storia [Troverete in fondo il “Grande Avvento” che la Qehila (la comunità ebraica cattolica) di Gerusalemme canta all’inizio della sua celebrazione eucaristica durante l’Avvento. Avendovi preso parte parecchie volte, questo canto mi ha toccato], che culminerà nella nascita di Gesù in una stalla nei dintorni di Betlemme, tra i piccoli, gli emarginati che sono i pastori dell’epoca!…
Isaia non smette di cantare questa speranza gioiosa che rianima i cuori feriti e le ginocchia vacillanti:
Signore, tu sei il mio Dio;
voglio esaltarti e lodare il tuo nome,
perché hai eseguito progetti meravigliosi…
Perché tu sei sostegno al misero,
sostegno al povero nella sua angoscia…
poiché lo sbuffo dei tiranni è come pioggia che rimbalza sul muro…
Preparerà il Signore degli eserciti
per tutti i popoli, su questo monte,
un banchetto di grasse vivande,
un banchetto di vini eccellenti,
di cibi succulenti, di vini raffinati.
Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto…
Questi è il Signore in cui abbiamo sperato;
rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza…
in quel giorno, liberati dall’oscurità e dalle tenebre,
gli occhi dei ciechi vedranno.
Gli umili si rallegreranno di nuovo nel Signore,
i più poveri gioiranno nel Santo d’Israele.
Perché il tiranno non sarà più, sparirà l’arrogante…
Eppure, il Signore aspetta con fiducia per farvi grazia,
per questo sorge per avere pietà di voi,
perché un Dio giusto è il Signore;
beati coloro che sperano in lui…
I tuoi occhi vedranno il tuo maestro,
i tuoi orecchi sentiranno questa parola dietro di te:
«Questa è la strada, percorretela». (Is.25,1 – 30,21).
Questo bimbo appena nato, disteso in una mangiatoia, ecco il Tesoro – il nostro Tesoro! – della Buona Novella della Salvezza con cui vogliamo nutrire la nostra vita e percorrerne la strada: è la nostra gioia profonda! Possa essa trasparire e irradiarsi nel nostro andare incontro agli altri, come lo è stato per Maria che esce e prende la strada per incontrare la cugina Elisabetta…
Ebbene è proprio ai poveri, ai piccoli, agli emarginati che la Buona Novella è annunciata per prima! Ecco perché i poveri sono il Tesoro della Chiesa, come diceva san Lorenzo presentando i poveri di Roma al Tribunale che gli chiedeva tutte le ricchezze della Chiesa!…
Toccati e sedotti da Gesù di Nazaret, noi abbiamo voluto mettere i nostri passi nei suoi passi!
Come viviamo, dietro a lui, la nostra convivenza con la gente qualsiasi, anonima, insignificante?
Non dovremmo forse rispondere: come un’opportunità, una fortuna, un dono e un onore per essere accolti da loro, in mezzo a loro, dopo che abbiamo compreso con Gioia il nostro Tesoro: la presenza in essi di Gesù, che li ama con un amore prediletto!…
È questa la visione che ha affascinato Carlo de Foucauld e della quale ci ha condiviso la passione amorosa! …
Certo, a seconda dei contesti, culturali o d’altro tipo, differenti in base agli ambienti dove viviamo, questa passione si concretizza con dei percorsi diversi, che sono ogni volta da apprezzare e valutare …
Tuttavia, la comunione tra di noi è profondamente vissuta per questo medesimo appassionato sguardo per Gesù:
È là, in mezzo a loro, che noi, meravigliati come i pastori arrivati davanti a quel piccolo bimbo avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia, scopriamo la presenza di Gesù: è il nostro Tesoro e la nostra Gioia!… Questa comunione di sguardo, di condivisione della vita e di comunanza di destino, ecco la chiamata che abbiamo ricevuto insieme dal Signore, e che la Chiesa riconosce come nostra Missione propria. [ …] .
Sì, i cammini sono diversi, ma la direzione è la stessa, illuminata da quello sguardo contemplativo e misericordioso che Gesù ci dona e che ce Lo fa scoprire nel legare, come Lui, la nostra sorte con quella di tutte le persone semplici che sono alla ricerca di un po’ di dignità, di riconoscimento e di amore…
Papa Francesco invita tutti – perciò anche noi – ad essere una “Chiesa in uscita”. Questo ci interpella, noi che diciamo di voler vivere alle frontiere, alle periferie…Anche a noi Gesù racconta la parabola degli invitati al banchetto nuziale: davanti alle scuse di molti degli invitati al banchetto delle nozze del Figlio, il Padre ci dice: «andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze» (Mt. 22,9). Tutti sono invitati a condividere la gioia delle Nozze del Figlio; non ci è chiesto di fare la selezione poiché tutti sono invitati, ma piuttosto di irradiare e trasmettere la gioia di vivere insieme, fratelli e sorelle a vicenda!… É quello che ci dice papa Francesco con le sue parole così forti, concrete e pungenti, nella Evangelii Gaudium (n° 87):
«Oggi, quando le reti e gli strumenti della comunicazione umana hanno raggiunto sviluppi inauditi, sentiamo la sfida di scoprire e trasmettere la “mistica” di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio.» …camminando insieme verso il Banchetto del Regno!…
Come Maria e Giuseppe, come i pastori, come i Magi, siamo invitati a camminare nella gioia e nella fiducia, andando incontro all’altro, come dice papa Francesco nella stessa esortazione (EG n° 88):
«il Vangelo ci invita sempre a correre il rischio dell’incontro con il volto dell’altro, con la sua presenza fisica che interpella, col suo dolore e le sue richieste, con la sua gioia contagiosa in un costante corpo a corpo. L’autentica fede nel Figlio di Dio fatto carne è inseparabile dal dono di sé, dall’appartenenza alla comunità, dal servizio, dalla riconciliazione con la carne degli altri. Il Figlio di Dio, nella sua incarnazione, ci ha invitato alla rivoluzione della tenerezza».
Sta a noi di metterci in cammino per essere “Buona Novella” insieme, nella fiducia!…
Buon Natale a ciascuno di voi e un felice anno 2019!
Hervé
GRANDE AVVENTO
Chi racconterà le grandi opere del Signore e farà sentire la sua lode?
1. Creatore del cielo e della terra – e dell’uomo a sua immagine
– Sia benedetto il Signore, sia benedetto il suo Nome!
2. Fa alleanza con Noè e pone in cielo l’arcobaleno
– Sia benedetto il Signore, sia benedetto il suo Nome!
3. Mette alla prova Abramo suo servo, e moltiplica come sabbia la sua discendenza
– Sia benedetto il Signore, sia benedetto il suo Nome!
4. Salva Isacco legato per il suo Nome, lotta con Giacobbe suo servo
– Sia benedetto il Signore, sia benedetto il suo Nome!
5. Pone nel suo popolo delle donne coraggiose, per mezzo loro compie la sua volontà
– Sia benedetto il Signore, sia benedetto il suo Nome!
6. Guida Giuseppe sulla strada e nutre la folle per mezzo di lui
– Sia benedetto il Signore, sia benedetto il suo Nome!
7. Rivela a Mosè il suo Nome, e pone tra le sue mani la Torà
– Sia benedetto il Signore, sia benedetto il suo Nome!
8. Chiama Samuele e lo fa profeta del suo Nome
– Sia benedetto il Signore, sia benedetto il suo Nome!
9. Edifica la casa di Davide e fa di lui il pastore del suo popolo
– Sia benedetto il Signore, sia benedetto il suo Nome!
10. Dona al suo popolo dei profeti che vedono la venuta del suo Messia
– Sia benedetto il Signore, sia benedetto il suo Nome!
11. Ricolma Maria con il suo Spirito e fa abitare in lei la sua Parola.
– Sia benedetto il Signore, sia benedetto il suo Nome!
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Chi racconterà le grandi opere del Signore e farà sentire la sua lode?
Last Updated: 22 Dicembre 2018 by Redazione Leave a Comment
Nuova Biografia scritta da P. Sourisseau
Un nuovo libro interessante per approfondire la conoscenza di Charles de Foucauld:
“Charles de Foucauld, 1858-1916 – Biografia”.
da Pierre Sourisseau
[licenziato in teologia, referente esperto per la Famiglia spirituale di Charles de Foucauld.
Da più di trent’anni archivista della causa di canonizzazione, scrive articoli e tiene conferenze
sui molteplici aspetti della figura del beato Charles de Foucauld].
Dalla presentazione del libro:
Un ufficiale di cavalleria sempre pronto all’azione, un esploratore brillante, nonché scienziato, una vocazione ostinatamente ricercata, un’anima assetata di solitudine e di assoluto aperta all’universa-le, un eminente esperto del mondo tuareg, un prete dal sacerdozio atipico, desideroso di fraternità, ardente di fuoco missionario… Tanti aspetti si sovrappongono, si mescolano, si completano in Char-les de Foucauld. Questa biografia esaustiva, costruita a partire dai suoi scritti e dalle ricerche più recenti della causa di canonizzazione, restituisce gli avvenimenti di un’esistenza fuori dal comune. Ricca di dettagli inediti, fedele alle fonti, traccia un ritratto di questa personalità stupenda. L’autore, per la sua conoscenza intima e ineguagliata dei documenti originali, ci consegna un’opera per scoprire il vero Charles de Foucauld.
Ecco una breve presentazione scritta da don Luca Margaria per il giornale della sua diocesi.
“Pierre Sourisseau, Charles de Foucauld. 1858-1916. Biografia, Effatà 2018.
È stata pubblicata la traduzione della biografia di Charles de Foucauld scritta da Pierre Sourisseau da trent’anni archivista della causa di canonizzazione
102 anni fa, il primo dicembre del 1916, in piena Prima Guerra Mondiale, moriva, vittima di un agguato a Ta-manrasset (Algeria), Charles de Foucault, sacerdote della diocesi francese di Viviers. A lui, alla sua vita donata a Dio e ai fratelli più poveri, ai suoi scritti, si sono ispirate tante famiglie religiose fondate nel secolo scorso, ma an-che semplici persone che nel suo modo di vivere la radicalità del vangelo nella quotidianità e nel nascondimento, hanno trovato nutrimento e stimolo per un rinnovamento della loro vita cristiana.
Anche la Chiesa qualche anno fa ha riconosciuto l’esemplarità della sua vita evangelica riconoscendolo nel no-vero dei beati.
Grazie al lavoro preparatorio del processo di canonizzazione si è venuto a conoscenza di innumerevoli docu-menti inediti che hanno contribuito ad una ricostruzione fedele della vita di Charles de Foucault nei suoi sviluppi e nei suoi molteplici aspetti non solo di fede. Ne esce una figura singolare di uomo; dal bambino e studente al milita-re e civile; dal monaco trappista all’eremita domestico in un monastero della Palestina; dal sacerdote della diocesi di Viviers per il nord Africa a Fratel Charles di Gesù a Beni Abbès; dal nomade con i Tuareg alla permanenza a Ta-manrasset in Algeria.
Questo percorso rivela un cammino di maturazione umana e di fede di straordinaria profondità pur nelle con-traddizioni che accompagnano una vita e che la rendono sempre incompiuta.
I vari momenti vengono seguiti e presentati nel loro scorrere cronologico. I passaggi o momenti della sua vita sono arricchiti da riferimenti e da citazioni presi dagli innumerevoli scritti molti dei quali inediti. Tutto questo ri-dona un’immagine di Charles de Foucauld uomo in continua ricerca di Dio e di fraternità in modo particolare con gli ultimi e con quelli che lui considerava i suoi fratelli: i Tuareg mussulmani.
“I santi non hanno la vocazione di farci ritornare all’epoca in cui hanno vissuto, ma hanno la missione di illumi-nare la nostra strada e di accompagnarci prendendoci per mano, manifestando così la tenerezza di Dio per noi”. Nonostante la mole del libro, la lettura della biografia di Charles de Foucauld scritta da Sourisseau è un po’ tutto questo, una carezza di Dio. “
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