Con Cristo offerto, una vita offerta
René Voillaume
Dobbiamo conoscere le opposizioni che la nostra vocazione contemplativa incontrerà nel mondo e le complicità che queste opposizioni troveranno in noi stessi, a volte arrivando fino a scuotere le nostre convinzioni, a smussare il nostro desiderio di preghiera, a farci dubitare del valore di una vita d’intimità con il Signore.
Ci sono giorni in cui saremo tentati di dare ragione a quelli che pretendono che sia vano voler incontrare Gesù altrove che negli uomini. Se Dio non fosse il supremo Reale, se non fosse personale al punto che possa stabilirsi tra Lui e una sua creatura fatta a sua immagine una relazione di conoscenza e di amore, allora sarebbe vero che non vi può essere contemplazione. Come potremmo contemplare qualcuno che non esiste o che non può attirarci a Lui, né parlare al nostro cuore, né svelare qualcosa del suo volto nel più profondo di noi stessi, lì dove solo Lui può arrivare?
Di certo possiamo farlo solo nell’oscuro presentimento di una presenza, ma questo presentimento basta per ravvivare il nostro amore e il desiderio, la speranza di un incontro definitivo e totale. Se così non fosse, la contemplazione sarebbe solo un universo concettuale o immaginario che ci saremmo forgiati; la ricerca della contemplazione, come ogni preghiera sarebbe sprovvista di senso e fondamento. Se l’uomo non ha un fine personale in Dio, al di là della morte, la preghiera non ha senso, non sarebbe altro che un grido nel vuoto, una chiamata senza risposta, una sete di amore disperato che non incontrerebbe altro che l’eco deludente di quello che gli uomini possono offrirci. L’esperienza contemplativa certifica a noi stessi che Dio è vivente, che Dio è Spirito, che Dio ci attira a Lui, che siamo amati personalmente da Lui e che si opera una salvezza personale tra Lui e noi e tramite Lui.
È importante, per ognuno di noi, situare esattamente nella nostra vita il posto che questi lunghi momenti passati a tu per tu con l’Eucarestia devono avere. Essi sono essenziali, lo sentiamo, non solo per il fervore della nostra vita di fede, ma anche per la realizzazione della nostra vocazione nella Chiesa…. La vita cristiana è per ognuno la storia di un mirabile scambio di vita e di amore reciproco, con il quale il Cristo ci salva ci trasforma e ci attira a sé come Dio… Questi scambi di amicizia divina, che costituiscono l’essenziale della nostra vita presente possono stabilirsi con il Signore nei suoi diversi stati. Mi sembra infatti che la nostra vita con Lui non sarebbe completa se non ricercasse Gesù contemporaneamente come fu negli anni della sua vita sulla terra, come è attualmente nella sua Chiesa e nella sua Eucarestia, e infine come lo raggiungeremo un giorno nella gloria.
L’Eucaristia è il Cristo stesso, sacrificato, offerto per la redenzione e consegnato per noi e per tutti gli uomini. Le apparenze sacramentali ci danno realmente il Cristo, non in una condizione qualsiasi, sono infinitamente e sempre vere nel senso che ricoprono realmente tutta la realtà della quale sono segno: il Cristo presente, senza dubbio, ma soprattutto e in primo luogo il Cristo offerto.
Vivere una vita eucaristica, non è solo credere a questo mistero e adorarlo, con le effusioni di una devozione interiore o di un culto pubblico; è l’essere configurati al Cristo a forza di amore, e attirati da una grazia particolare così come ci è presentato nel Sacramento, in questo duplice stato di oblazione a suo Padre, e di offerta agli uomini come alimento.
Non si tratta solo per i Piccoli Fratelli di assicurare un culto esteriore di adorazione del Santo Sacramento, ma molto più profondamente di vivere una vita eucaristica intensa. Le loro vite come fossero consegnate al Sacramento, debbono riprodurne le caratteristiche. Offerta totale del loro essere e della loro vita al Cristo, in unione al divino Sacrificio e per la salvezza delle anime. Questo ministero contemplativo è l’essenziale della loro vita, la loro attività più feconda, e anche la più nascosta… Come l’Eucaristia, che è anche alimento, i Piccoli Fratelli debbono essere offerti ai loro fratelli, a tutti gli uomini in una totale carità, essendo divenuti a causa della loro contemplazione eucaristica qualcosa di “utilmente divorabile”.
Andare verso il Signore così come lui ci si offre …
René Voillaume
… Sapete cosa aggiunge il Vangelo: “Sollevando gli occhi non videro più nessuno, se non Gesù solo” (Mt.17,8). E che cosa vuol dire “Gesù solo”?
Vuol dire Gesù così come era prima della Trasfigurazione, suscettibile di essere rinnegato dal popolo, condannato a morte e crocifisso; vuol dire Gesù così come era stato durante 30 anni in mezzo agli uomini, senza che nessuno potesse riconoscerlo come il Figlio unico venuto da vicino al Padre. Sul Tabor una nube luminosa aveva preso gli apostoli sotto la sua ombra, mentre una voce che usciva dalla nube diceva: “Questo è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo.” (Mt.17,5). Ma scendendo dalla montagna gli disse: “Non parlate a nessuno di questa visione finché il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti.” (Mt. 17.9). Quello che ci meraviglia è che gli apostoli quando il momento della passione sarà arrivato non abbiano neppure fatto l’accostamento!
C’è veramente qualcosa in noi poveri uomini che si rifiuta di accettare “i punti di vista di Dio” che non vanno nel senso che vorremmo (Mt.16,23), anche quando ci vogliamo offerti integralmente alla volontà divina. L’intelligenza umana si ribella ad entrare nel mistero della croce. E non si deve credere che questo sia più facile per noi che per gli apostoli perché conosciamo venti secoli di storia della Chiesa, con tutta la ricchezza della sua riflessione sul mistero della Redenzione, l’esperienza e l’esempio dei santi che hanno capito quello che era la croce. Bisogna dirci che non riusciamo mai a comprendere come si deve quello che Dio aspetta realmente da noi nella nostra vita, perché cerchiamo continuamente di fuggire dalla realtà della Redenzione, cioè dalla maniera con la quale Dio vuole che sia realizzato il suo piano di salvezza, dalla maniera con la quale Dio vuole essere presente e all’opera nel cuore di ogni uomo, nei nostri cuori.
Una delle lezioni della Trasfigurazione, è quella di imparare a vivere con “Gesù solo”, cioè nello svolgersi ordinario della nostra vita nella quale i momenti di trasfigurazione sono rari. Dobbiamo imparare a vivere le grandi realtà soprannaturali — la risurrezione di Gesù, la speranza che essa ci dà, l’attesa del possesso totale di Dio — dobbiamo imparare a vivere queste grandi realtà soprannaturali subito e nella mediocrità apparente delle nostre giornate. Non aspettate altro dalla vostra vita. È perché non andiamo verso il Signore così come lui ci si offre che ci stanchiamo e ci scoraggiamo. Fate attenzione: il Signore aspetta che anche le nostre debolezze siano per noi altrettante occasioni di semplificazione interiore, di umiltà, occasioni per pentirsi, questa cosa che solo il peccatore può dare a Dio, ma che è di sicuro, quello che il Signore aspetta da noi.
Per la piena realizzazione della nostra vocazione…
René Voillaume
Perché avviene che io mi senta più portato a pregare qui dove nessun segno mi ricorda il Cristo, piuttosto che in un altro luogo della cristianità, e persino, debbo confessarlo, in certi centri di pellegrinaggio o di raduno cristiano?
Mi sforzo di capire ciò che si verifica nella mia anima, e mi pare di intravedere la ragione di ciò che provo così fortemente ogni volta che mi ritrovo a Benares. Qui il mistero della vita, quello della sofferenza e della morte del l’uomo è percepito in tutta la sua nudità….Ci si trova là immersi nell’intimo del mistero della vita umana e delle sue miserie, e niente viene a velare i gesti della sua speranza. Tutto il mistero dell’uomo si mostra qui in pieno giorno.
È allora che io mi sento vicinissimo al mio destino personale e, come posto di fronte alla mia propria vita, percepisco con occhi muovi il mistero del Cristo Salvatore….Condizione assoluta per la piena realizzazione della nostra vocazione di Piccolo Fratello è il restare vicini al mistero della vita umana nella sua grandezza e debolezza, in mezzo alle nostre città disumanizzate dove la tecnica cancella a poco a poco ogni segno della presenza e dell’azione del Creatore della Vita.
È, nello stesso tempo, farci ricordare che, al di là della realizzazione di una forma di vita i cui elementi costitutivi sono la povertà, il lavoro salariato, i rapporti sociali e l’assiduità nella preghiera, l’essenziale per ognuno resterà sempre il lavorare senza stancarci e fino alla morte a cambiarci il cuore in modo che le sue reazioni finiscano per divenire, il più abitualmente possibile, conformi all’insegnamento delle beatitudini.
Gli incontri con padre Voillaume lasciavano sempre un ricordo prezioso; penso alle varie volte in cui ho concelebrato con lui a Roma presso la comunità delle Piccole sorelle alle Tre Fontane, quando ormai quasi cieco faceva brevi commenti al Vangelo con una precisione di linguaggio e una profondità spirituale di rara intensità; o lo scorso anno, quando poté ancora partecipare presso la comunità di Bose alle giornate dedicate a Charles de Foucauld, come un patriarca biblico che con la sola presenza arricchisce ogni momento di dialogo e di preghiera. Nella conclusione del suo volume autobiografico, ricorda i due grandi misteri che hanno dominato tutta la sua vita, il Santissimo Sacramento e Nazareth, la città biblica letta nei suoi due significati, quello di clausura, silenzio, preghiera, lavoro e povertà, e quello di inserimento in un ambiente povero, con la condivisione della vita e del lavoro di tutti.
In tempi in cui siamo travolti dal bisogno di fare, in cui spesso anche noi Chiesa siamo tentati dal bisogno di apparire e di contare, ben venga quel supplemento d’anima che la vita di fratel Charles e del suo più grande discepolo, René Voillaume, hanno ispirato al secolo XX.
Maurilio Guasco [Professore di Storia del Pensiero Politico Contemporaneo]
Vita pastorale – N. 8-9 agosto/settembre 2003
René Voillaume al Concilio Vaticano II: “La Chiesa e i poveri”
Ricordi di Georges Cottier
C’è un aspetto della vita di René Voillaume non molto conosciuto: la sua opera di teologo, l’influenza dei suoi scritti sui lavori del Concilio. Ne parla – sono semplici ricordi ‘a voce’ – il P Georges Cottier (1922-2016), domenicano svizzero, che alla fine degli anni ’50 era allo Studium Domenicano di Saint Maximin, in Provenza, dove conobbe i piccoli fratelli e divenne amico del P Voillaume. Fu ‘Teologo della Casa Pontificia’ (dic. 1989 – dic. 2005). Giovanni-Paolo II lo ha creato cardinale il 21 ottobre 2003.
“Questi ultimi anni ho incontrato il P. Voillaume alla fraternità delle piccole sorelle a Tre Fontane ogni volta che veniva a Roma. Ho conservato un ricordo molto vivo delle nostre conversazioni. Un argomento lo preoccupava molto: la perdita del senso dell’Eucaristia sacrificio della Messa e anche adorazione del Santo Sacramento e del sacerdozio ministeriale. Questa era una realtà al centro della sua vocazione personale come di quella dei Piccoli Fratelli. Il suo testamento permette di misurarne la profondità.
Al Tubet, le piccole sorelle gli hanno potuto leggere l’enciclica Ecclesia de Eucharistia. Deve essere stato per lui un raggio di luce pacificante. Ma in queste poche linee di testimonianza, è di cose più lontane nel tempo che vorrei dire qualcosa: dei nostri incontri a Roma durante gli anni del Concilio. Il Padre non era un “esperto”, né ufficiale né privato, ma l’amicizia che lo legava a molti vescovi giustificava i suoi soggiorni. Fu sicuramente un consigliere ascoltato da molti. I vescovi, allora, viaggiavano meno di oggi, l’esercizio dell’ affectus collegialis aveva meno occasioni di esprimersi, anche se la Fidei Donum avesse già aperto nuove vie. Il Padre era di sicuro una delle persone che, nella Chiesa, conosceva meglio il mondo attuale con le sue aspirazioni e le sue miserie. Tramite le fraternità dei fratelli e delle sorelle che aveva visitato, si era potuto rendere conto personalmente delle condizioni di estrema miseria nelle quali vivevano milioni di esseri umani. Fu così che ebbe un ruolo decisivo nel risveglio della coscienza alle esigenze evangeliche della povertà nella Chiesa e dell’amore per “i piccoli ed i poveri” che gli è connesso. Certo non era il solo a mostrarsi sensibile ad un modo di vita che rispondesse meglio alla natura della Chiesa di Gesù. Era in comunione di pensiero con Mons. de Provenchères. Anche Mons. Ancel che faceva parte del “Prado” contribuì molto alla riflessione. È vero che, nell’inevitabile ribollire di idee che si sviluppava intorno al Concilio, alcuni parlassero della povertà con tono “profetico” e con una sorta di esaltazione romantica. Uno studio storico preciso potrebbe forse rivelare qui o là una tendenza a politicizzare il problema. Il “progressismo” esercitava su alcuni la sua seduzione. Ma non è questa la cosa più importante. Si formò un gruppo informale di riflessione, al quale si interessarono dei vescovi, e nel quale il Padre ebbe un ruolo determinante. Non è impossibile — ma su questo punto preciso la memoria non mi aiuta — che sia stato lui ad aver preso l’iniziativa di formare questo gruppo. Era molto ascoltato perché si era impressionati dal suo giudizio equilibrato e dal suo realismo. Il Concilio non pubblicò nessun testo sulla povertà. Ricordo che il P. Congar, convinto dell’importanza dell’argomento, avesse redatto dei “modi” da introdurre nella Costituzione sulla Chiesa, Lumen Gentium. Non ho potuto verificare se le sue proposte siano state accolte. È al Padre che dobbiamo l’idea e l’elaborazione dell’opera collettiva: “Eglise et pauvreté” , pubblicato nel 1965 nella collezione Unam Sanctam n°57. L’opera è introdotta da due prefazioni, una del Patriarca Maximos IV°, l’altra del Cardinal Lercaro. La scelta dei collaboratori, tra i quali troviamo i nomi del P. Congar, del P. Chenu, del P. Régamey, per non citare che questi, era in buona parte dovuta a lui. Con il P. Henry e con Jacques Loew si incaricò della terza parte, L’enquête sur la pauvreté dans l’Eglise, che analizzava le risposte ad un questionario inviato a vescovi e istituti religiosi di ogni parte del mondo. Perché ricordare queste cose? Mi sembrano significative di alcuni impulsi dati alla vita della Chiesa che senza emanare direttamente dalle direttive del Concilio Vaticano II° sono incomprensibili senza il suo impegno. Possiamo dire che l’esigenza evangelica di povertà ha marcato profondamente la coscienza del Popolo di Dio. Certo, come tutto ciò che è del Vangelo, essa si urta dentro di noi con le resistenze del peccato. Pensiamo a temi che ci sono divenuti familiari come quello della Chiesa “servitrice e povera”. Senza questo impulso spirituale, Paolo VI avrebbe avuto l’idea del gesto simbolico di spogliarsi della tiara? Avrebbe avuto l’intuizione di darci l’enciclica Populorum progressio? Si sa che un suo amico, il P. Lebret, ne fu uno dei principali artefici. L’attenzione ecclesiale ai “piccoli e ai poveri” non poteva non incontrarsi con il risveglio politico delle masse del terzo mondo. Il prestigio esercitato su alcuni teologi della liberazione da quella che chiamavano in maniera acritica “l’analisi marxista” ha condotto, di certo, a qualche scivolone. Ma questo non deve occultare quello che era stato percepito da molti come un dovere di solidarietà con i poveri. Giovanni Paolo II° parlerà in questo senso di “amore preferenziale per i poveri” o di “scelta preferenziale per i poveri”. Ma questa ci porta negli anni posteriori al Concilio. Mi ricordo che il Padre aveva il dono di captare i movimenti profondi della storia aveva sottoposto, a pochi di noi, alcune riflessioni ancora incerte sulla vita religiosa e l’impegno politico. Accettava le nostre osservazioni con una grande semplicità. Questi ricordi del tempo del Concilio ci per mettono, mi sembra, di comprendere come nella storia della Chiesa, certe intuizioni si aprono un cammino e poi lentamente maturano. La presa di coscienza delle esigenze della povertà evangelica come stile di vita della Chiesa e dell’attenzione ai poveri ne sono un’illustrazione. Con la sua testimonianza, con la sua saggezza, la sua lucidità il P. Voillaume ha portato un contributo di primo piano.
Si potrebbero proporre delle analoghe osservazioni sul tema della pace.”
José Maria Recondo ha scritto un libro eccellente
che è una buona introduzione per conoscere René Voillaume:
“Il cammino della preghiera in René Voillaume” Dehoniane Bologna – 2014
Charles de Foucauld
Dalle lettere e meditazioni
[Si consiglia di vedere prima “Generalità” di questa sezione]
[Il 1° gennaio 1916, mentre continua alacremente i lavori di lingua e tiene i contatti con gli amici, Charles inizia un nuovo taccuino in cui annota ogni giorno un breve pensiero sul Vangelo, uno su un passaggio dell’Imitazione di Cristo e uno sul santo del giorno secondo il calendario liturgico di Roma. L’11 giugno, Pentecoste, prosegue annotando qualche versetto del Vangelo di Luca. Interromperà gli appunti il 21 giugno, poco prima di lasciare la casetta dove vive, un po’ in disparte, da undici anni.]
Mio carissimo Balthasar, che gioia ricevere la sua lettera! Non le posso dire quanto mi renda felice. Mi auguro di tutto cuore che ora la nostra corrispondenza resti regolare, senza lunghe interruzioni; il tempo che mettono le lettere a percorrere la distanza che ci separa è un po’ scoraggiante, ma che importa! Ricevo la sua all’istante; non abbiamo corriere che ogni 18 giorni, ci porta delle lettere che, dopo il viaggio in ferrovia, hanno passato 30 giorni a dorso di cammello.
…Ecco undici anni e mezzo che sono qui, solo francese, solo cristiano, in un eremo a 400 o 500 metri da un raggruppamento tuareg circondato da qualche coltivazione, a 50 chilometri da Fort-Motylinski, capitale dell’Ahaggar, dove risiede un ufficiale francese (ordinariamente Tenente) con 2 o 3 sottufficiali o caporali francesi e una ventina di militari indigeni (arabi o tuareg).
Tre volte, in 16 anni, sono andato in Francia; 2 volte per qualche giorno soltanto, la terza abbastanza a lungo ma accompagnato da un tuareg al quale, per la sua istruzione, per la sua crescita intellettuale e morale, volevo far vedere la Francia. Se Dio mi presta vita, ci verrò dopo la vittoria e la pace, e farò di tutto per vederla; verrò a trovarla dove mi dirà di andare. Dove abita in tempi normali? A Castel Roc de St Pantaléon?
Come passo il tempo? A pregare il buon Dio; a creare legami[2] e far progredire moralmente, materialmente, intellettualmente, i miei vicini; a fare dei dizionari, delle grammatiche, delle raccolte di testi di lingua tuareg che permetteranno ai Francesi, missionari, militari, civili, laici d’intrattenere rapporti facili con la popolazione tuareg. Non faccio nessun discorso, nessuna predica, nessuna scuola; non parlo che a tu per tu[3]; consiglio a tu per tu, dando a ciascuno quello che credo sia capace di ricevere, ad alcuni senza consigliare niente e contentandomi di fare elemosine; non è la semina del Vangelo, è il dissodamento preparatorio.
I miei giorni passano in fretta, sono molto felice.
Mia sorella, suo marito, i suoi 6 figli (3 figli tutti ufficiali, di cui 2 ufficiali di marina, e 3 figlie) vanno bene; sono felici; i miei tre nipoti sono stati protetti fino ad oggi. I miei altri parenti prossimi non sono più molto numerosi; della generazione anteriore alla nostra, non ne restano più; quelli della nostra generazione cominciano a partire per la patria eterna.
Non ricevevo giornali prima della guerra, ma dall’inizio della guerra ricevo l’Echo de Paris e la Dépêche Algérienne; quando la Madre è in pericolo, bisogna prendere sue notizie; bisogna anche fare quel che si può per lei; io non posso che pregare, perché la Chiesa autorizza i preti a servire nell’Esercito quando sono chiamati dalle leggi nazionali, ma non permette loro di contrarre arruolamenti volontari[4]; ora i miei 57 anni ½ m’impediscono d’essere richiamato, dal momento che da 25 anni ho dato le dimissioni d’ufficiale di riserva. Avrei ancora la forza di servire; conservo buona salute, sotto l’apparenza di vecchiaia: né denti, né capelli, barba molto grigia, righe innumerevoli.
Grazie dell’Ave Maria quotidiana così fedele. Lei sa che la mia povera preghiera gli è fedele, anch’essa. I miei rispettosi omaggi alla Signora de Balthasar e a sua figlia.
Un ricordo molto affettuoso a suo figlio. La bacio sulle due guance e le voglio bene con tutto il cuore – Ch. de Foucauld[5].
[Quando Charles scrive questa lettera all’amico, rimpiangendo di non essere al fronte con gli altri, non sa ancora che anche il Sahara sta diventando, a suo modo, un campo di battaglia. Il 6 marzo trecento uomini armati di fucili e cannoni italiani assaltano il forte di Djanet, alla frontiera con la Libia, a Nord-Est di Tamanrasset, e lo conquistano dopo diciotto giorni d’assedio. Quando il 7 aprile arriva la notizia, si diffonde subito la paura tra i Tuareg e i militari dell’Hoggar, perché ormai sembra che i Senussiti abbiano “via libera”[6].
Dopo aver letto un articolo di René Bazin, famoso scrittore cattolico, apparso sull’Écho de Paris il 22 gennaio 1916, Foucauld gli scrive per congratularsi e ne nasce uno scambio di lettere sulla missione tra i musulmani.]
A René Bazin – 7 aprile 1916
…Ci sono molto pochi missionari isolati che facciano quest’ufficio di dissodatori; vorrei che ve ne fossero tanti; qualsiasi parroco d’Algeria, di Tunisia o del Marocco, qualsiasi cappellano militare, qualsiasi cattolico laico, lo potrebbe essere. Il Governo proibisce al clero secolare di fare propaganda antimusulmana, ma si tratta di propaganda aperta e più o meno chiassosa; le relazioni amichevoli con parecchi indigeni, che tendano a condurre lentamente, dolcemente, silenziosamente, i musulmani ad avvicinarsi ai cristiani, diventati loro amici, non possono essere proibiti a nessuno. Qualsiasi parroco delle nostre colonie si potrebbe sforzare di formare diversi suoi parrocchiani e parrocchiane ad essere dei Priscilla e degli Aquila. C’è tutta una propaganda tenera e discreta da fare presso degli indigeni infedeli, propaganda che esige anzitutto bontà, amore e prudenza, come quando vogliamo ricondurre a Dio un parente che ha perso la fede[7]…
Santo Alleluia, reverenda Madre, Santo alleluia nel tempo, in attesa dell’alleluia della Patria celeste. La mia giornata e la mia preghiera sono più che mai con lei e con le mie Sorelle in questo tempo santo. Dio vi doni la Sua pace, quella pace che il mondo non può dare ma che Dio dà a coloro che l’amano.
Ricevo la sua lettera del 15.1. molto toccato dalla sua preghiera, dai suoi e dai loro auguri. Grazie con tutto il cuore.
Le lettere, che mettono sempre tanto tempo a raggiungere i nostri deserti, mettono più tempo che mai in questo momento.
Dio sia benedetto della carità di cui siete circondate a Malta, l’isola di San Paolo; spero che partendo vi lasciate uno sciame di figlie di S. Chiara. Ho piena convinzione che rientrerete nella vostra cara Nazareth: quando? Non so, ma forse più presto di quanto si creda[8].
Io vado bene. Non mi manca niente. Mi mandano regolarmente delle ostie dalla Francia.
Grazie del bellissimo discorso di mons. Gibier e della pia clarissa in preghiera che mi è stato dolcissimo ricevere: preghi, preghi per me e per i poveri infedeli che mi circondano, abbiamo tutti bisogno di preghiere per rendere a Dio quel che è di Dio, il nostro amore, la nostra volontà, le nostre preghiere, le nostre parole e tutti gli atti della nostra vita.
…Santifichiamoci: santifichiamoci per GESÙ al quale lo dobbiamo; santifichiamo per fare più bene alle anime; si fa del bene agli altri nella misura della vita interiore che si possiede; e bisogna fare del bene alle anime: “amatevi gli uni gli altri; amatevi come io ho amato voi; da questo conosceranno che siete miei discepoli”[9]…
[Il 21 giugno Charles interrompe le brevi annotazioni sul Vangelo di Luca, perché si prepara a lasciare la sua casetta e stabilirsi a un chilometro di distanza, più vicino al villaggio, sulla riva destra dell’uadi Tamanrasset.
Nell’agosto dell’anno precedente, ha cominciato a costruire una casbah, sul modello di quelle scoperte e disegnate tanti anni prima in Marocco. Si tratta di residenze fortificate con un pozzo all’interno, che funzionano da abitazione, rifugio, magazzino. Gliene era venuta l’idea pensando ai più poveri del villaggio, quelli che, non avendo cammelli, non possono andare lontano e che, fin dal 1914, sono esposti a due minacce: i razziatori marocchini ad ovest e ad est i ribelli senussiti. Per farsi una sorta di alloggio all’interno del fortino, Charles non esita a smantellare il vecchio eremo per recuperarne anche travi, porte e finestre[10]. Ora è questo il suo eremo, simile ai “conventi fortificati e alle chiese fortificate del decimo secolo”[11] Vi si trasferisce il 23 giugno 1916, benché il fortino non sia terminato. E lì continua a copiare in bella copia le poesie tuareg: ne ha trascritte già 600 pagine.]
Carissimo fratello in GESÙ, grazie della sua lettera del 23 maggio arrivata questa mattina. GESÙ la guardi e la Santa Vergine e San Giuseppe la portino, nelle loro braccia, lei suo figlio, “ecce mater tua”[12], come hanno portato GESÙ bambino… L’amore consiste, non a sentire che si ama[13] ma a voler amare: quando di vuole amare, si ama; quando si vuole amare al di sopra di tutto, si ama al di sopra di tutto… Se capita di soccombere a una tentazione, è perché l’amore è troppo debole, non che non esista: bisogna piangere, come San Pietro, pentirsi, come San Pietro, umiliarsi come lui, ma anche come lui dire per tre volte “ti amo, ti amo, tu sai che, nonostante le mie debolezze e i miei peccati, ti amo” … Quanto all’amore che GESÙ ha per noi, ce l’ha provato a sufficienza perché crediamo senza sentirlo: sentire che L’amiamo e che Lui ci ama, sarebbe il cielo: il cielo non è, salvo rari momenti e rare eccezioni, per quaggiù… Raccontiamoci spesso la doppia storia delle grazie che Dio ci ha fatto personalmente dalla nostra nascita e quella delle nostre infedeltà: vi troveremo, noi soprattutto che abbiamo vissuto a lungo lontano da Dio, le prove più certe e più toccanti del suo amore per noi, così come, purtroppo, le prove così numerose della nostra miseria: di che perderci in una fiducia senza limiti nel suo amore (Egli ci ama perché è buono, non perché noi siamo buoni – le madri non amano i loro figlioli traviati?), e di che sprofondarci nell’umiltà e nella diffidenza verso di noi… Cerchiamo a riscattare un po’ i nostri peccati con l’amore del prossimo, con il bene fatto al prossimo, alle anime: la carità verso il prossimo, gli sforzi fatti per fare del bene alle anime sono un eccellente rimedio da opporre alle tentazioni: è passare dalla semplice difesa al contrattacco[14]…
Carissimo fratello in GESÙ, ricevo le sue lettere del 2 e del 19 giugno. GESÙ la guardi e la Madonna del perpetuo Soccorso, nome così vero sotto il quale amo tanto invocarla[15], le porti tutta la sua vita fra le braccia. La mia preghiera e il mio pensiero sono con voi, vi sono uniti com’è il mio cuore. Pensi molto agli altri, preghi molto per gli altri. Dedicarsi alla salvezza del prossimo con i mezzi in suo potere, preghiera, bontà, esempio, ecc.…., è il miglior mezzo di provare allo Sposo divino che lo ama: “tutto quello che fate a uno di questi piccoli, è a me che lo fate”[16]… L’elemosina materiale che si fa a un povero, è al creatore dell’Universo che si fa, il bene che si fa all’anima di un peccatore, è alla purezza increata che si fa… Dio ha voluto che fosse così per dare a questa carità verso il prossimo di cui ha fatto il 2° dovere “simile al primo”[17] un’autentica similitudine con questo primo dell’amore di Dio… Non c’è, io credo, parola del Vangelo che abbia fatto su di me una più profonda impressione e trasformato di più la mia vita di questa: “Tutto quello che fate a uno di questi piccoli, è a me che lo fate”. Se si considera che queste parole sono quelle della Verità increata, quelle della bocca che ha detto “questo è il mio corpo… questo è il mio sangue”, con quale forza si è portati a cercare e ad amare GESÙ in “questi piccoli”, questi peccatori, questi poveri, indirizzando tutti i mezzi spirituali verso la salvezza delle anime e tutti i mezzi materiali verso il sollievo delle miserie temporali…
È forse in questo uscire da sé stesso per andare con tutte le proprie forze a GESÙ nel prossimo che Dio ha messo il miglior rimedio contro le sue tentazioni, tentazioni permesse da Dio per darle quell’umiltà, quella diffidenza di sé, quella coscienza della nostra profonda miseria, quell’indulgenza, quella pietà verso il prossimo di cui abbiamo tutti così gran bisogno.
Il divino Sposo delle nostre anime la guardi, carissimo fratello, protegga la Francia, figlia maggiore della Chiesa sempre e nonostante tutto, dove vivono più che altrove lo spirito di carità, lo spirito apostolico che sono il suo spirito e di cui, dopo la santa Chiesa, ha fatto nostra madre quaggiù.
Suo fratello che l’ama con tutto il cuore nel CUORE dell’amatissimo GESÙ – Ch. de Foucauld[18].
[Il 9 agosto arriva a Tamanrasset la notizia della disfatta dei Francesi alla frontiera libica e che i Senussiti marciano verso l’Hoggar. Fino a metà settembre si susseguono allarmi e notizie contraddittorie. La casbah viene dotata di nuove fortificazioni in modo da servire di rifugio, in caso di attacco e di evacuazione del forte Motylinski, anche ai soldati (i lavori finiscono la sera del 15 novembre). In quest’occasione gli vengono affidate “14 carabine e 2 casse di cartucce”. Ciò che grava sulla gente, oltre alle minacce armate, è l’angoscia della fame.]
Alla cugina Marie de Bondy – Tamanrasset, 30 ottobre 1916
Credo che non saremo attaccati dai Senussiti prima di un certo periodo di tempo e solo in seguito a nuovi avvenimenti poco probabili. Ringrazio però il buon Dio per aver trasformato il mio eremo in un luogo di rifugio: ci è stato utile al momento del falso allarme di quaranta giorni fa… Temo una gran fame per prossimo inverno, e quello che mi ha mandato mi permette di fare le necessarie provviste affinché qui e nei dintorni non ci sia gente che muoia (nel senso vero, e non figurato, del termine) di fame. Qui si fanno due raccolti l’anno, uno di grano e uno di miglio: il primo è stato scarso, il secondo nullo. E ciò accade dopo quattro raccolti andati quasi a vuoto e dopo undici anni di siccità: il paese non ne può più…
… Le donne di qui che hanno imparato a lavorare all’uncinetto mi hanno incaricato di chiederle tre modelli: scarpette all’uncinetto per bambini di un anno, calze per bambini della stessa età, vestitini all’uncinetto. Passo a lei la richiesta molto volentieri, lieto che queste donne comprendano l’utilità dell’uncinetto e del lavoro a maglia, e quella di vestire i loro figli, che spesso vanno in giro fino a dieci anni vestiti nel modo più sommario[19]…
Alla cugina Marie de Bondy – Tamanrasset,16 novembre 1916
…Com’è buono il Buon Dio a nasconderci l’avvenire! Che supplizio sarebbe la vita se ci fosse meno ignota! E com’è buono di farci conoscere così chiaramente quest’avvenire dal cielo che seguirà la prova terrestre![20]…
[Il 28 novembre 1916 Charles termina la copia delle poesie tuareg: gli restano da copiare per la pubblicazione i testi in prosa e la grammatica. Ben presto, spera, avrà più tempo di uscire per vedere la gente… Lo stesso giorno scrive alcune lettere che partiranno con il corriere del 2 dicembre. Vennero ritrovate, insieme alle lettere del 1° dicembre, tutte affrancate e pronte per la posta, il 21 dicembre, venti giorni dopo la morte di Foucauld, durante la prima ricognizione del fortino saccheggiato, da parte del capitano de la Roche[21].]
Reverendissima Madre, quanto mi devo scusare di risponderle soltanto oggi alla sua lettera del 12 gennaio. La sua carità mi perdonerà. Lei sa almeno che la mia povera preghiera le è fedele; da tanti anni prego ogni giorno per lei; ho messo le sue intenzioni ai piedi del buon Dio, le anime che le sono care, il progetto di fondazione a Malta che sembra così desiderabile.
Il mio lungo silenzio è motivato dalla gran quantità di lavoro. Non sono stato malato, non ho viaggiato; ma anche qui, nel mio eremo, il lavoro è stato più pesante del solito. La guerra ha causato questo sovrappiù d’attività.
Viviamo dei giorni in cui l’anima sente fortemente il bisogno di preghiera. Nella tempesta che infuria sull’Europa, si sente il nulla della creatura e ci si volge verso il Creatore. Nella barca sballottata dai flutti, ci si volge verso il divino Maestro, e si supplica Colui che con una parola può dare la vittoria e fare rinascere per lungo tempo una grande calma. Si tendono le braccia verso il cielo come Mosè durante il combattimento dei suoi, e là dove l’uomo può così poco si prega Colui che può tutto.
Lei benedice Dio più che mai, ne sono certo, della sua santa vocazione che la mette così spesso ai Suoi piedi, che la tiene in un così frequente tête-à-tête con Lui. Davanti al Santissimo Sacramento ci si sente così bene in presenza dell’Essere, mentre tutto il creato sembra con tanta evidenza toccare il nulla.
La Santa Famiglia ai piedi della quale viveva a Nazareth non l’ha abbandonata; l’ha accompagnata a Malta, conducendola per mano in quella terra ospitale. La benedico per questo. È in buone mani; la Santa Famiglia la porterà durante tutto il pellegrinaggio terrestre come la proteggerà all’ora della partenza dalla terra e come la accoglierà nella Patria.
Preghi tanto, Reverendissima madre, per i poveri infedeli che mi circondano e per il loro poverissimo missionario. Insieme a lei prego perla Francia.
Il suo umile e rispettoso servo religiosamente devoto nel CUORE di GESÙ – Charles de F.[22]
Carissimo fratello in GESÙ, ricevo stamattina le sue lettere del 3 e 9 ottobre, commosso al pensiero dei pericoli più grandi che forse correrà, che probabilmente corre già. Ha fatto benissimo a chiedere di passare nella truppa. Non bisogna mai esitare a chiedere i posti in cui il pericolo, il sacrificio, la dedizione, sono più grandi: l’onore, lasciamolo a chi lo vorrà, ma il pericolo, la pena, reclamiamoli sempre. Cristiani, dobbiamo dare l’esempio del sacrificio e della dedizione. È un principio al quale bisogna essere fedeli tutta la vita, in semplicità, senza chiedere se non entri un po’ d’orgoglio in questa condotta: è il dovere, facciamolo e chiediamo all’amatissimo Sposo della nostra anima di farlo in tutta umiltà, in totale amore di Dio e del prossimo… Ha fatto bene. Cammini in questa via in semplicità e in pace, certo che è GESÙ che l’ha ispirato a seguirlo. Non sia inquieto per casa sua. Si affidi e l’affidi a Dio, e cammini in pace. Se Dio le conserva la vita, cosa che gli chiedo con tutto il cuore, il suo focolare sarà più benedetto perché, sacrificandosi di più, sarà più unito a GESÙ e avrà una vita più soprannaturale. Se morrà, Dio guarderà la Signora Massignon e suo figlio senza di lei come Egli li avrebbe guardati con lei. Offra la vita a Dio per le mani di Nostra Madre la Santissima Vergine in unione col Sacrificio di Nostro Signore GESÙ e a tutte le intenzioni del Suo Cuore, e cammini in pace. Abbia fiducia che Dio le darà la sorte migliore per la Sua Gloria, la migliore per la sua anima, la migliore per l’anima degli altri, poiché non gli chiede che questo, poiché tutto quello che Egli vuole, lei lo vuole, pienamente e senza riserve.
Il nostro angolo di Sahara è in pace. Vi prego per lei con tutto il cuore e insieme per la sua famiglia.
Questa le arriverà tra Natale e il 1° gennaio. Mi cerchi accanto a lei in questi due giorni. Buono e Santo Anno, numerosi e Santi anni se è la volontà divina, e il cielo. Dio la guardi e protegga la Francia! GESÙ, Maria e Giuseppe la guardino tra loro in tutta la sua vita terrestre, all’ora della morte e nell’eternità.
L’abbraccio di tutto cuore come l’amo nel CUORE di GESÙ. Ch. de Foucauld[23]
Grazie, mia carissima madre, per le sue lettere del 15, 20 e 26 ottobre, arrivate questa mattina insieme alla scatola di cacao: continua a viziare il suo vecchio figliolo!
Spero che quando le giungerà la presente – molto prima del 1° gennaio – Madeleine e Jean stiano bene in salute, e che lei non stia troppo male. Deve certo sentire il peso degli anni: per lei, da tanto tempo, contano più del doppio a causa delle prove. Deve sentirsi certo schiacciata dopo le angosce di questi due anni e mezzo di guerra e di preoccupazioni per la Francia e per Jean! … Le preoccupazioni, le sofferenze, vecchie e recenti, accettate con rassegnazione, offerte a Dio in unione alle intenzioni dei dolori di Gesù. rappresentano non soltanto la sola cosa, ma la più preziosa che il buon Dio le offre affinché possa arrivare dinanzi a Lui con le mani piene e io ne sono contento; ma ho la ferma speranza che il buon Dio non sarà del suo avviso. L’ha resa troppo partecipe del suo calice quaggiù, e l’ha bevuto troppo fedelmente perché Egli non la faccia largamente partecipe anche della sua gloria in cielo. Il nostro annientamento è il mezzo più potente che abbiamo per unirci a Gesù e per fare del bene alle anime: è quanto San Giovanni della Croce ripete continuamente. Quando si può soffrire ed amare si può molto, si può tutto ciò che è possibile a questo mondo: si sente che si soffre, ma non si sente sempre che si ama, ed è un’altra grande sofferenza! Ma si sa che si vorrebbe amare, e voler amare significa amare. Ci si accorge di non amare abbastanza, ed è vero, perché non si amerà mai abbastanza[24]; ma il buon Dio sa di che fango ci ha impastato, e poiché ci ama più di quanto una madre possa amare suo figlio, ci ha detto, Lui che non mente, che non respingerà chi va a Lui[25]…
[La sera stessa del 1° dicembre 1916 Charles de Foucauld veniva ucciso, nel corso di un assalto al fortino, da una banda isolata di Tuareg alleati a dei Senussiti libici. Era venerdì, il 1° venerdì del mese, e l’intenzione di preghiera per quel dicembre era la conversione dei musulmani. Poco dopo di lui, venivano uccisi successivamente tre cammellieri arabi[26].
Nel taccuino di pensieri quotidiani, iniziato il 1° gennaio 1916, il 18 gennaio aveva scritto:]
18 gennaio. Vite dei santi – Catene di San Pietro a Roma – Dio costruisce sul nulla. È con la sua morte che Gesù ha salvato il mondo; è con il niente degli apostoli che ha fondato la Chiesa; è con la santità e nel nulla dei mezzi umani che si conquista il cielo e che la fede viene propagata[27].
[In questi ultimi scritti spirituali insisteva sull’unica cosa che conta, sull’unica cosa che dà senso alla vita, qualunque cosa facciamo: il comandamento dell’amore. Scriveva il 18 giugno, meditando Lc 2, 21:]
…” Gli fu messo nome Gesù”, vale a dire “Salvatore”. Ha voluto che il suo nome esprimesse la sua opera…
…Amare il prossimo, cioè tutti gli esseri umani come noi stessi, è fare della salvezza degli altri e nostra, l’opera della nostra vita; amarci gli uni gli altri come Gesù ci ha amato, è fare della salvezza di tutte le anime l’opera della nostra esistenza, dando, se occorre, il nostro sangue per lui, come ha fatto Gesù[28].
Il 21 giugno scriveva la sua ultima meditazione su Lc 2, 51-52 “Cresceva in sapienza, età e grazia”: A misura che avanzava in età, la sapienza e l’abbondanza delle grazie divine che erano in lui si manifestavano sempre più, apparivano sempre più agli occhi, coi suoi atti esterni… Lo stesso sia per noi: a misura che cresciamo negli anni, la grazia ricevuta al battesimo, quella che riversano in noi i sacramenti, quella di cui Dio fa dono con abbondanza crescente all’anima fedele dovrebbero apparire sempre più nelle nostre opere: ogni giorno della nostra vita segni un progresso in sapienza e in grazia… Piangiamo,: umiliamoci se accade diversamente, soprattutto se per disgrazia indietreggiamo; ma non scoraggiamoci; il nostro star fermi o indietreggiare ci renda più umili, più diffidenti di noi, più vigilanti, più indulgenti, più pieni di bontà per gli altri, più miti, più umili, più rispettosi, più fraterni col nostro prossimo, pentiti, penetrati della nostra miseria e della nostra ingratitudine, ma sempre infinitamente fiduciosi in Dio, sempre sicuri del suo amore, amandolo con amore tanto più tenero e riconoscente, in quanto egli ci ama nonostante le nostre miserie, dicendogli dopo ogni caduta, come San Pietro: “Signore, tu lo sai che ti amo”[29]
[1] Con quest’ufficiale medico, un poco più anziano, aveva legato amicizia durante la spedizione sugli altipiani del Sud-Oranese nel 1881, dopo la reintegrazione nell’esercito. L’ultima lettera che gli aveva scritto prima di questa risaliva, sembra, a 11 anni prima, ma non aveva mai dimenticato l’amico: l’onomastico di Balthasar, insieme ad altre date significative sue e di membri della sua famiglia, si trova nella raccolta di date da ricordare in VN, p. 185-186 e nelle annotazioni successive è indicata la promessa di recitare ogni giorno quattro Ave per lui e per la moglie (VN, p. 190). Si ricordi anche la confidenza sulla devozione alla Madonna del Perpetuo Soccorso, fatta all’amico nel 1891.
[2] Il termine, già visto, è “apprivoiser”.
[3] Cf. lettera del 15.01.1908 a p. Guérin. L’espressione usata è “en tête à tête”.
[4] Per questo desiderio di servire come cappellano o barelliere, cf. anche AAD, p. 172.
[5] Lettera riprodotta per la prima volta nel bollettino Amitiés Charles de Foucauld n. 94, Avril 1989.
[6] Così scrive Charles alla cugina dandole la “grave notizia” e raccontando i fatti di Djanet in una lettera dell’11 aprile (LMB, p. 205).
[7] AAD, p. 202-203. Si ricordi che Massignon, nel 1917, nel corso della licenza presa appena saputa la notizia della morte dell’amico del deserto, “requisì” Bazin per scriverne la biografia e lo scelse proprio per la stima che aveva di lui fr. Charles. Si può notare il riferimento implicito alla conversione personale favorita dall’esempio della cugina. Un’altra lettera a Bazin, del 16 luglio 1916, è riportata nella biografia (B, p. 377-378).
[8] Ci rientrarono il 14 giugno 1919. Cf. “Famiglia Charles de Foucauld. Jesus Caritas”, cit., p. 76.
[9] Cf. Gv 13, 34-35.
[10] Cf. lettera a Laperrine, del 1° luglio 1916, in cui spiega i motivi e i modi della costruzione, lettera riportata nel libro di Piccola Sorella Annie di Gesù, Charles de Foucauld, Qiqajon, Magnano 1998, p. 122-124. Cf. LMCF, p. 79-80 (questo libro di Antoine Chatelard, piccolo fratello di Gesù di Tamanrasset, analizza, con rigore scientifico, gli ultimi due anni di vita e riporta tutta la documentazione relativa alle circostanze della morte di Charles de Foucauld).
[11] B, p. 380.
[12] Gv 19,27.
[13] Il curatore della raccolta di lettere a Massignon, Jean-François Six (suo discepolo e responsabile della Sodalité iniziata da Massignon) ricorda come Charles de Foucauld ha vissuto tutta la sua vita di convertito nell’aridità, come quando a Nazareth, il 6 giugno 1897, scriveva nei suoi appunti: “Aridità e tenebre; tutto mi è penoso: Santa Comunione, preghiere, orazione, tutto, tutto, anche di dire a Gesù che l’amo. Mi devo aggrappare alla vita di fede. Se almeno sentissi che Gesù mi ama! Ma non me lo dice mai”. Cf. AAD, p. 205.
[14] AAD, p. 205-206. Questa e le lettere seguenti a Massignon, presenti in altre antologie, non le omettiamo, essendo troppo importanti per cogliere in profondità il pensiero di Charles de Foucauld, perciò le tralasciamo, sempre a partire dall’edizione integrale.
[15] Come si è visto, aveva da tempo una particolare devozione per Maria invocata sotto questo titolo e, durante i mesi di studi a Roma come Trappista, tra il 1896 e il 1897, amava frequentare la chiesa di S. Alfonso in via Merulana, dove si venera quest’immagine.
[16] Mt 25,40.
[17] Mt 22,39.
[18] AAD, p. 209-210.
[19] LMB, p. 211. Era stato Uksem a imparare uncinetto e ferri nel suo soggiorno in Francia…Per la siccità, cf. anche LMCF, p. 84-91
[20] B, 383; cf. LMCF, p. 101.
[21] Cf. LMCF, p. 81, 101 e 188.
[22] Da una copia del manoscritto della lettera in possesso delle Clarisse di Nazareth. Nella busta Charles aggiunge cinque biglietti personali per altrettante Clarisse, tra le quali Sr. St. Jean e Sr. St. Raphaël, oltre a uno più lungo per madre St. Michel (riprodotta a p. 34 del n.61 della rivista “Famiglia spirituale Charles de Foucauld…”, cit.).
[23] AAD, p. 214-215.
[24] “Amabo nunquam satis” (“Non amerò mai abbastanza”) erano le ultime parole pronunciate prima di morire, nel 1910, da don Henri Huvelin, direttore spirituale di entrambi, testimone della conversione di Charles a Saint Augustin nell’ottobre 1886.
[25] LMB, p. 210-211.
[26] Per la prima volta Antoine Chatelard ha pubblicato l’insieme dei documenti, anche inediti, relativi alla morte di Charles de Foucauld, e per un’informazione oggettiva su queste circostanze, a volte romanzate, rimandiamo al suo libro, LMCF.
[27] VN, p. 215.
[28] VN, p. 228.
[29] VN, p. 229-230. L’ultima citazione è da Gv 21, 16.
Charles de Foucauld
Dalle lettere e meditazioni
[Si consiglia di vedere prima “Generalità” di questa sezione]
Reverendissima Madre, ho ricevuto, a brevissimo intervallo, le ostie e la notizia della partenza per la Patria di Suor St. Gabriel de l’Annonciation.
…Grazie con tutto il cuore delle ostie e delle immagini pie. Penso di averle già scritto che ho ricevuto la vita di Suor Teresa del Bambino Gesù2; non so dirle quanto le sono riconoscente.
Rispondo alle sue domande. Non sono ammalato, ma estremamente occupato; inoltre i corrieri sono rari. I Tuareg che mi circondano sono sempre più affettuosi e fiduciosi, ma sono sempre solo. Non ho bisogno di niente; le ostie che avete la grande carità di mandarmi mi sono di grande aiuto, ma a parte questo non ho bisogno di niente. Il mio nuovo prefetto apostolico (che comincia ad essere vecchio: 4 anni) è estremamente buono.
…Abbiamo appena avuto la notizia della guerra3: non ne sappiamo che un’eco…, è che dall’inizio d’agosto esiste la guerra tra la Francia, l’Inghilterra, la Russia, il Belgio, la Serbia e il Montenegro da una parte e la Germania e l’Austria dall’altra. Lei sente come la mia preghiera è al fronte. Quante anime appaiono bruscamente davanti a Dio e forse così poco preparate! Da questa guerra, da cui l’Europa uscirà indipendente o assoggettata ai Tedeschi, la Francia può uscirne sollevata o ridotta per dei secoli a un profondo abbassamento. Dio protegga la Francia! Abbia pietà di tante anime. Faccia venire il bene da un così grande male.
So che lei, le mie venerate Suore ed io, siamo uniti in una stessa preghiera per la Francia, per le anime e per l’avvento del Regno di GESÙ. Si degni credermi sempre il suo umilissimo e riconoscente servo religiosamente devoto nel CUORE dell’amatissimo GESÙ – Fr. Ch. di Gesù 4.
[Il 24 ottobre 1914 Charles aggiunge un foglietto al suo Testamento, ripetendo: “Voglio essere seppellito nel luogo dove morrò; sepoltura molto semplice, senza cassa; tomba molto semplice, senza monumento, sormontata da una croce di legno”5. Le sue volontà non verranno, in realtà, rispettate.]
Alla cugina Marie de Bondy – Tamanrasset, 24 novembre 1914
In un elenco di morti sul campo dall’Echo de Paris conto fino a questo momento dieci amici, per la maggior parte africani6, alcuni dei quali mi erano molto cari. Qui il paese è calmissimo… Credo che non uscirà da questa calma profonda, tanto più che le occupazioni non mancano. Oltre al lavoro abituale, bisogna difendersi – e non senza fatica – dalla fame. Sono cinque anni che non piove! Sono morti i quattro quinti delle capre e delle pecore, e la metà dei cammelli. Le capre rimaste sono senza latte, e i cammelli sono così magri e deboli che non sono tanto in grado di andare in carovana. In settembre o ottobre si sono avuti quattro a cinque passaggi di cavallette, che hanno distrutto il raccolto autunnale, e le poche piante che rimanevano.
…Ho scritto a Laperrine – che sta in prima linea e vede le cose da vicino, che è saggio e dà buoni consigli – per chiedergli se, nel caso in cui l’Ahaggar e l’Algeria restassero nella perfetta calma, non farei meglio ad andare in Francia per cercare di servire, fino alla pace, come cappellano portaferiti o altro 7…
Mio buon Gabriel, quanto perso a te dopo l’inizio della guerra! Quanto ho pensato a te quando ho saputo dei combattimenti a Saint-Dié8, la conquista, la riconquista della città. Sono preoccupato per te, preoccupato per tuo fratello, preoccupato per tuo nipote che è probabilmente in prima linea.
Per favore, dammi tue notizie… basta una riga… il resto ce lo diremo, quando ci vedremo, dopo la vittoria… Se, come spero fermamente, saremo vincitori, andremo insieme, non è vero, a rivedere Strasburgo ridivenuta francese? Conto su di te per questo pellegrinaggio9.
Resto qui fino a nuovo ordine, credendo di esservi più utile che altrove. Se la pace si farà questa primavera, verrò probabilmente in Francia quest’estate. Se la guerra si prolungherà, non so; cercherò di fare del mio meglio secondo le circostanze.
Buon Natale, buon anno, numerosi buoni anni e il cielo! Sarò con te la notte di Natale e il 1° gennaio. Trasmetti i miei auguri di buon anno a Joseph e a tua sorella. Ti abbraccio con tutto il cuore come ti amo: fr. Ch. de Foucauld 10.
…Ecco molti dei nostri soggetti, dei nostri musulmani in Francia. Molti versano il loro sangue con noi e per noi. Preghiamo per loro, facciamo tutto quello che può essere utile alle loro anime: siamo buoni per loro, facciamoci amare da loro… Lo stesso per gli Indiani… Mentre sono da noi, facciamo per loro tutto quello che è possibile: le loro anime approfittino del loro passaggio in mezzo a noi.
Siamo fedeli al dovere quotidiano e Dio ci farà fare per lui del lavoro sempre più fruttuoso. Conto davvero su di lei per aiutarmi, fatta la pace, a portare le anime, in Francia e in Belgio, ad occuparsi della conversione dei nostri soggetti che donano il sangue per noi e delle anime di cui Dio ci fa carico.
Penso di restare qui fino alla pace perché vi sono più utile che altrove e dopo la pace di venire a passare diversi mesi, quanti saranno necessari, in Francia per stabilirvi definitivamente la nostra unione, con grandi semplificazioni nell’organizzazione – niente di cambiato in fondo – e come le ho scritto un bollettino che sarà il collegamento tra i fratelli e le sorelle.
Mi dia spesso notizie. Basta un rigo. E mi dia sempre il suo indirizzo. Spero che in Francia e in Belgio, tutti i suoi vadano bene.
Prego per tutti i suoi amici uccisi, feriti, prigionieri, per quelli che combattono e per quelli che sono a casa nell’angoscia.
I miei sono tutti salvi, così come i miei amici molto intimi, ma quanti altri anche molto amati, sono fra gli uccisi. Temo che abbiamo perduto per questa terra uno dei più santi tra i fratelli del S. Cuore di Gesù11, il Capitano P. Leroy, del 13° Reggimento d’Artiglieria. Sono senza notizie di lui dalla fine di settembre e un nome simile al suo, ma senza indicazione di Reggimento né d’arma è fra gli uccisi12; sono molto inquieto per lui; l’amo teneramente; è un’anima ammirevole. Preghi per lui.
L’amo con tutto il cuore nel CUORE di GESÙ. Rispettosi omaggi alla Signora Massignon. – Ch. de Foucauld13.
Carissimo fratello in GESÙ, grazie della sua lettera di Natale… GESÙ la guardi! Le faccia fare, in qualunque luogo permetta che vada, in qualunque ambiente permetta che la gettino, il bene che vuole da lei… Dappertutto e sempre, Egli le faccia santificare sé stesso e santificare gli altri, glorificare il Suo Nome, far venire il Suo Regno in lei e negli altri, fare la Sua Volontà e portare gli altri a farla… Il nostro fine è di amare Dio e servirLo, e con questo giungere in cielo: è là la nostra parte: noi possiamo e dobbiamo adempierla dappertutto: il resto appartiene a Dio: sta a Lui dirigere il fiocco di schiuma che siamo in cima a questa o a quell’onda, in alto o in basso… lasciamoci portare dalla Sua dolce Mano: anche nell’abisso del dolore, siamo nella mano dell’Amatissimo, dell’Amatissimo infinitamente amante e infinitamente perfetto “caritate perpetua dilexi te, miserans”14.
Prego per lei, per la Signora Massignon, per il bimbo atteso; prego perché lei e tutti gli esseri cari della sua famiglia glorifichino Dio il più possibile.
Resto qui fino alla pace. Alla pace, a Dio piacendo, andrò in Francia con l’ardente desiderio di preparare l’organizzazione della nostra confraternita e la redazione del bollettino in maniera tale da potere, quando le cose avranno più o meno ripreso in Francia il loro funzionamento normale, fare tutti gli sforzi per diffonderla – sforzi per la conversione dei 50 milioni di infedeli delle nostre colonie d’intensità pari allo scopo da raggiungere sono un dovere per i cattolici di Francia: se c’è qualcosa che poteva rendere questo dovere più pressante e metterlo più in luce, questo è il modo in cui i nostri soggetti non cristiani combattono al nostro fianco nella guerra presente.
Se vede il nostro carissimo amico colonnello de Castries, gli dica quanto il mio pensiero e la mia povera preghiera sono con lui. Il buon Dio la guardi, guardi tutti i suoi, guardi la Francia.
Il suo fratello che le è devoto e affezionato con tutto il cuore in CORDE JESU – Ch. de Foucauld15.
Carissimo fratello in GESÙ, grazie della sua lettera della vigilia di San Giuseppe. GESÙ la guardi! Sono felicissimo che sia in relazione col mio santo amico l’abbé Crozier16… Bisogna, come dice così spesso Santa Teresa, che quelli che amano Dio si aiutino gli uni gli altri per servirLo… Dio la guardi ai Dardanelli17, in Oriente, dovunque sarà in questa guerra, perfezioni sempre più la sua anima con il dovere quotidiano santamente compiuto, con la volontà sempre più unita alla Sua, le faccia fare del bene agli altri col buon esempio, la bontà: la sua bontà la distingua dagli altri e la faccia riconoscere come cristiano, come molto cristiano, così come il buon esempio continuo. La Santa Famiglia di Nazareth guardi la sua famiglia. Posa ritornarci e farvi a lungo del bene, un bene che si estenda più lontano.
…L’Ahaggar resta profondamente calmo, come tutta la nostra Africa del Nord.
Dio la guardi, carissimo fratello, protegga tutti i suoi, protegga la Francia, faccia servire questa guerra alla salvezza delle anime in Francia, nelle nostre colonie, tra i nostri alleati, in questo caro Oriente dove ava, in tutta questa valle d’esilio!
Suo fratello che le è devoto con tutto il cuore nel CUORE di GESÙ – Ch. de Foucauld18.
[Nel giugno 1915 delle truppe senussite (appartenenti a una setta religioso-politica di origine libica, che predica la guerra santa contro gli occidentali) occupano Ghat, nel Sud-Ovest del Sahara libico, alla frontiera col Sahara algerino, a Nord-Est di Tamanrasset, e cacciano via gli Italiani, che vi abbandonano armi e munizioni 19.]
Grazie, mio caro fratel Augustin, della sua buona lettera del 25 maggio che ho appena ricevuto. Grazie delle notizie che mi dà sui cari Padri e Fratelli di N.D. des Neiges. Il buon Dio ha voluto che alcuni tra di loro, fr. Anastase e fr. Ernest dessero l’esempio del sacrificio della loro vita per la Salvezza dei loro fratelli.
…Qui calma profonda, come in tutta l’Africa francese. La mia vita scorre, esternamente, in tutta tranquillità e regolarità. Ma lei sente come l’animo è inquieto, sospira alla certezza della vittoria, le lettere che ricevo dal fronte sono piene di fiducia: ma i telegrammi più recenti che ricevo hanno 30 giorni di data, le lettere più fresche e i giornali più freschi (perché ricevo dei giornali dall’inizio della guerra: l’Echo de Paris e la Dépêche algérienne) hanno 40 giorni: ricevendoli mi chiedo quel che è successo nel frattempo e a che punto sono le nostre cose al momento presente21…
Reverendissima Madre, come la ringrazio della sua lettera del 10 aprile e dei dettagli che mi dà. Sia benedetto GESÙ che vi ha condotte a Malta, dove, come San Paolo, avete trovato la calma dopo la tempesta. Dica alle mie Sorelle che la mia povera preghiera per loro è tanto più fedele in quanto la prova le colpisce di più. Capisco il suo dolore di lasciare Nazareth; come la Santa Famiglia, avete avuto la vostra fuga in Egitto.
Non si sbaglia pensando che mi sarebbe piaciuto seguire l’esercito come cappellano; ho consultato i miei superiori e dei vecchi amici militari22: unanimemente mi hanno detto di restare qui, dicendo che vi sono più utile; perciò sono rimasto.
Il Sahara è tranquillo come tutta l’Africa francese; non c’è la minima agitazione. A che punto dobbiamo benedire Dio della fedeltà che ha ispirato agli indigeni delle nostre colonie e delle colonie inglesi!
La guerra si prolunga: nelle tante lettere che ricevo dal fronte la nota è unica: fiducia universale e assoluta. Ma se tutte respirano la certezza della piena vittoria, nessuno osa azzardare una data… I miei parenti più prossimi vanno bene. Il buon Dio li ha preservati fino ad oggi. Fra i parenti meno prossimi e gli amici, ci sono tanti vuoti: non c’è Francese che non sia a questo punto. So quanto pregate per tutte le anime che hanno fatto il sacrificio supremo per noi, per salvarci da una sottomissione avvilente, dalle ultime crudeltà e dalle ultime violenze. Questa guerra è, per tutti gli alleati, una crociata23: crociata contro una barbarie pagana che vorrebbe ridurre in servitù il mondo e annientare la Chiesa.
Con tutto il cuore prego GESÙ di illuminarla e di farle vedere se domanda da voi una fondazione a Malta. Non ne sarei sorpreso. Non è senza disegno che Egli vi ci ha condotto. La terra sembra propizia. La grande, grande, sovrana questione per tutti noi è che il Nome di GESÙ sia glorificato il più possibile per tutta la terra. Sia santificato il Tuo Nome! Venga il Tuo Regno! Sia fatta la Tua Volontà sulla terra come in cielo!
La mia vita qui passa come al solito, più occupata che mai. Sono sempre solo. Immagina come, in questi giorni, si soffre della mancanza di notizie, con una posta così rara e lenta…
Reverendissima Madre, grazie della sua cartolina postale. Mi ha raggiunto qui, in buona salute. Finché durerà la guerra, a meno d’avvenimenti fuori di ogni previsione, non lascerò Tamanrasset. Mi assicurano che è meglio che ci resti. Non si stupisca della lentezza delle mie risposte: la posta, lenta in tutti i tempi, è più lenta che mai.
La nostra regione resta assolutamente calma, d’una calma strana in mezzo alla tempesta che scuote l’Europa. I corrieri ci portano ogni 18 giorni le notizie vecchie di 40 o 60 giorni, che non interessano che i Francesi e restano ignorate dagli indigeni – quando dico “i Francesi” come se fossimo numerosi, non sono del tutto esatto: dovrei dire “il Francese”, perché sono sempre il solo Francese qui. Ma ce n’è un altro, a volte anche 2 o 3, nel capoluogo del paese, a 50 chilometri da qui! Avendo da entrambe le parti i nostri lavori, ci vediamo raramente.
I miei parenti prossimi qui sono al fronte sono stati preservati fino ad ora dal buon Dio.
Questa le porti i miei migliori auguri di buon anno, così come a tutte le mie sorelle; vi dica che la mia povera preghiera sarà con voi la notte e il giorno di Natale e il 1° gennaio. È sempre con le e con le mie sorelle, lo sa, ma lo sarà più che mai in questi giorni.
Il buon Dio la guardi, guardi le mie sorelle, guardi tutti i suoi e tutti i loro che sono in Francia, soprattutto quelli che sono al fronte, protegga la Francia e i suoi alleati e doni loro una pace gloriosa che ripari il passato, garantisca l’avvenire, e sia l’inizio di una nuova era di virtù e di santità nel mondo. Il suo umile servo e fratello che le è religiosamente devoto con grande riconoscenza e grande rispetto nel CUORE dell’Amato GESÙ – Ch. de Foucauld.
1 Al momento della guerra del 1914, le monache, sia di Nazareth sia di Gerusalemme, furono costrette, in quanto francesi, a lasciare la Terrasanta, appartenente all’impero ottomano alleato ai tedeschi, e a rifugiarsi le une a Malta le altre ad Alessandria d’Egitto. Partendo bruciarono anche la maggior parte delle lettere. Il monastero di Nazareth venne occupato dallo Stato Maggiore tedesco-turco: la cappella divenne refettorio, le celle prigione… Cf. “Famiglia Charles de Foucauld – Jesus Caritas”, n. 61, gennaio 1996, p.75-76.
2 Tra i numerosi libri della biblioteca di Tamanrasset, venne effettivamente trovata anche La storia di un’anima, ma non sappiamo se Charles l’abbia letta: non ne accenna e, del resto, come scrive, era occupatissimo. Eppure, anche dai numerosi studi di Jean-François Six, sappiamo quanti aspetti avessero in comune.
3 Iniziata il 3 agosto 1914. Charles ne ebbe notizia un mese dopo.
4 Si firma col nome che aveva scelto a Nazareth.
5 VN, p. 207.
6 Si chiamavano così i militari stanziati in Africa.
7 LMB, p. 197.
8 Dove Gabriel Tourdes svolgeva la professione di magistrato.
9 Ripeterà più volte all’amico l’augurio di rivedere Strasburgo e l’Alsazia da dove erano stati cacciati dalla guerra del 1870 e dove si trovavano le tombe dei genitori, mai più visitate.
10 LAL, p. 106-107.
11 Membro n. 3 dal 1913 dell’Unione dei fratelli e sorelle del Sacro Cuore, in realtà sopravvisse alla guerra.
12 Foucauld riceveva dei giornali fin dall’inizio della guerra e, nonostante il ritardo della posta, riusciva a seguire gli avvenimenti.
13 AAD, p. 171-172.
14 Ger 31, 3, già citato.
15 AAD, p. 175-176.
16 Portò il suo libretto di meditazioni Excelsior al fronte ricavandone un gran bene.
17 Si imbarcherà l’8 agosto 1915 per i Dardanelli e verrà nominato interprete, per chiedere, poi, di essere trasferito tra le truppe di prima linea in trincea.
18 AAD, p. 186.
19 Sarà un’arma italiana di queste che ucciderà Charles de Foucauld, cf. LMCF, p. 70 e ss.
20 Antoine Augustin Juillet (1860-1942), ex sottufficiale in Algeria, era entrato alla Trappa di Notre Dame-des-Neiges il 2 gennaio 1900 e aveva conosciuto fr. Charles al suo arrivo per la preparazione all’ordinazione nell’agosto 1900. Diventato suo confidente, con aspetti simili di temperamento e di vocazione, avrebbe voluto seguirlo, ma l’abate contava troppo su di lui per lasciarlo partire. Rimangono 47 lettere interessanti di Charles de Foucauld a lui indirizzare (1902-1916), tutte riprodotte in CCDP.
21 CCDP, p. 396-97. È la prima volta che si dimostra inquieto.
22 In particolare Laperrine.
23 Un mese dopo, il 7 dicembre, scriveva al p. Paul Voillard, divenuto suo direttore spirituale dal 1911, dopo la morte di don Huvelin: “Spero che dopo i massacri d’Armenia, le vendite di popolazioni in schiavitù, le Armene inviate negli harem turchi… i popoli cristiani – gli alleati – avranno sufficiente onore per far sparire la Turchia in quanto Stato…” (CS, 342-43) … Si ricordi l’esperienza dei massacri vissuta nel 1894-96.
Charles de Foucauld
Dalle lettere e meditazioni
[Si consiglia di vedere prima “Generalità” di questa sezione]
… Penso molto ai Tuareg che meritano che ci si occupi molto particolarmente di loro, e perché sono delle nature ricche, intelligenti e vive, e perché molto poco islamizzati, sono più aperti degli altri e più facili da trasformare. Bisognerebbe istruirli e con l’istruzione, introdurre educazione e civilizzazione. Non è l’opera d’un giorno, ma più è difficile, più bisogna mettercisi in fretta e fare degli sforzi. Nello stesso tempo è tutto il Sahara al quale penso…
[Parla qui a lungo e dettagliatamente del progetto di una specie di terz’ordine di laici sotto il nome di “società” o “associazione” fatta di “Priscille dei due sessi”. Esprime successivamente l’esigenza per l’Hoggar di un uomo che vi consacri almeno quindici anni di studio della letteratura, sociologia, storia, archeologia tuareg; poi di insegnanti francesi e di una donna araba per fare imparare la tessitura; quindi di un commerciante francese onesto che venda senza fare usura; e anche di operai…].
… Mi perdoni, amatissimo Padre, se mi immischio in quel che non mi riguarda, e se oso, io, vecchio peccatore e poverissimo piccolo prete, molto giovane d’ordinazione e rimasto peccatore e miserabile, io che non sono mai arrivato a niente, che non ho potuto neppure avere un compagno, che non ho avuto altro che desideri senza effetto, e i cui progetti di vita, costituzioni, regolamenti, non sono rimasti altro che carte inutili…, d’osare esporle i miei pensieri e di continuare a fare progetti… La mia scusa, sono queste anime che mi circondano, che si perdono, e che resteranno perpetuamente in questo stato, se non si cercano e non si prendono i mezzi d’agire efficacemente su di loro… Che occorra, in questo, agire in fretta – non con precipitazione imprudente – ma con attività e urgenza, dopo preghiera, riflessione, esame, consigli, è il semplice prezzo delle anime che valgono il sangue di GESÙ che è colato per loro.
C’è una frase della sacra Scrittura di cui dobbiamo, credo, ricordarci sempre, è che Gerusalemme è stata ricostruita nell’angoscia dei tempi (Daniele)1. Bisogna far conto di lavorare tutta la vita nell’angoscia dei tempi… Le difficoltà non sono uno stato passeggero da lasciar passare come una burrasca per metterci al lavoro quando il tempo sarà calmo; no, sono lo stato normale; bisogna far conto di stare tutta la vita, per tutte le cose buone che vogliamo fare, nell’angoscia dei tempi. C’è San Giovanni della Croce ad incoraggiarci e a dirci: “Non bisogna misurare i nostri lavori sulla nostra debolezza, ma i nostri sforzi ai nostri lavori”. E Santa Teresa aggiunge queste parole così consolanti, così vere, che si diceva a sé stessa, in una cosa intrapresa per la gloria di Dio e di successo incerto: “O Dio ne sarà glorificato, oppure io ne sarò disprezzata: nei due casi ci guadagno”. In effetti, se gli sforzi che facciamo per la salvezza delle anime restano senza successo per loro stesse, sono tanto più felici per colui che li fa, perché l’insuccesso lo rende più simile a GESÙ, così poco ascoltato, così poco seguito, così disprezzato, così disdegnato, così ingiuriato durante la sua vita.
A Dio, mio amatissimo e veneratissimo Padre2…
[Mirando principalmente all’associazione laica da mettere in piedi, fratel Charles compie un primo viaggio in Francia. Parte da Tamanrasset il giorno di Natale 1908 e attraversa il deserto, si ferma ad Algeri e sbarca a Marsiglia il 17 febbraio 1909, per la prima volta dopo il 1901. Arriva a Parigi il 18 e rivede la cugina Marie dopo diciannove anni. Incontra di persona Louis Massignon3, col quale ha cominciato un’importante corrispondenza, e tra il 20 e il 21 febbraio passa con lui una notte d’adorazione nella basilica di Montmartre. Presenta quindi la prima redazione dello statuto e regolamento dell’associazione al vescovo di Viviers mons. Bonnet, che lo approva verbalmente e il 7 marzo s’imbarca per Algeri.]
… Non è soltanto con doni materiali che dobbiamo lavorare alla conversione dei musulmani, è piuttosto provocando lo stabilirsi tra loro, a titolo di coltivatori, di coloni, di commercianti, d’artigiani, di proprietari terrieri, ecc., di eccellenti cristiani di tutte le condizioni, destinati ad essere dei preziosi appoggi dei missionari, ad attirare con l’esempio, la bontà, il contatto, i musulmani alla fede, e ad essere i nuclei ai quali possano aggregarsi, uno ad uno, i musulmani via via che si convertono. …Dei buoni cristiani che vivono nel mondo, la confraternita farà dei missionari laici, ne porterà ad espatriare per essere missionari laici in mezzo alle pecore più perdute, mostrando loro come convertirli è un dovere per i popoli cristiani, e quanto è bello consacrarvi la vita.
I doveri dei fratelli e delle sorelle che non sono né preti né religiosi, verso i musulmani, sono tanto più gravi in quanto possono spesso per loro più che i preti, religiosi e religiose. Più di loro, possono entrare in relazione, stringere amicizia, mescolarsi con loro, prendere contatto con loro. Visto che i musulmani hanno repulsione verso i cristiani, poiché hanno una religione che ispira loro una fede profonda, i preti, religiosi e religiose causano loro diffidenza, spesso i preti e i religiosi mancano di punti di contatto, di occasioni di mettersi in rapporto con i musulmani; inoltre la prudenza e le regole dei loro istituti impediscono loro talvolta di superare certi limiti d’intimità, di penetrare nel cuore delle famiglie, di entrare in relazioni strette. Chi vive nel mondo ha spesso, al contrario, grandi facilità per entrare in rapporti stretti con i musulmani. Le loro occupazioni: amministrazione, agricoltura, commercio, lavori di vario genere, li mettono, se vogliono, in continua relazione con loro. …Il ruolo dei fratelli e sorelle che non sono né preti né religiosi non è affatto d’istruire i musulmani sulla religione cristiana, di completare la loro conversione; ma di prepararla facendosi stimare da loro, facendo cadere i loro pregiudizi mostrando come vivono, facendo loro conoscere, attraverso gli atti più che per le parole, la morale cristiana; di disporveli guadagnando la loro fiducia, il loro affetto, la loro familiare amicizia; in modo tale che i missionari trovino un terreno preparato, anime ben disposte, che vadano da loro spontaneamente, o verso le quali possano andare senza ostacoli. È ai fedeli dei paesi cristiani che incombe il dovere di evangelizzare i non credenti…
…La patria è l’estensione della famiglia, Dio, mettendo le persone della nostra famiglia più vicino a noi degli altri nella vita, ci ha dato dei doveri particolari verso di loro; in modo più largo, è lo stesso dei compatrioti, e di conseguenza delle colonie, che fanno parte della grande famiglia nazionale.
…La conversione dei musulmani è spesso difficilissima. Lo è soprattutto quando il governo locale vi mette degli ostacoli ed è contrario alla religione cattolica. Ciò non deve scoraggiare per niente…, al contrario, deve far lavorare con più ardore, gli ostacoli mostrando che il successo richiede più sforzo… Chiunque siano i non cristiani, non sono più difficili da convertire che i Romani e i barbari dei primi secoli del cristianesimo; per quanto possa essere opposto alla Chiesa il governo dei loro paesi, non lo è più di Nerone e dei suoi successori. Che i fratelli e sorelle abbiano lo stesso zelo delle anime, le stesse virtù dei cristiani dei primi secoli, compiano le stesse opere. Faranno, come loro, nascosti, dissimulati, furtivamente, il bene che non possono fare altrimenti. L’amore farà trovar loro i mezzi, e Gesù renderà efficaci gli sforzi che Egli ispira. Ridiciamo: “Non bisogna misurare i nostri lavori sulla nostra debolezza, ma i nostri sforzi ai nostri lavori”5. Se le difficoltà sono grandi, tanto più affrettiamoci a metterci all’opera e tanto più moltiplichiamo i nostri sforzi6…
A Henry de Castries – Dalle gole di Takembaret (tra In-Salah e l’Hoggar), 29 maggio 1909
Vado a Tamanrasset, con l’intenzione di non tornare a Beni-Abbès che fra un anno e mezzo, nell’autunno 1910. Sono spaventato dai progetti a lunga scadenza; ma insomma inch Allah7. …Vado a riprendere il mio lavoro quotidiano: creare legami con i Tuareg, con gli indigeni di tutte le razze, cercando di dare loro per mezzo mio o di altri un inizio d’educazione intellettuale e morale, senza rivolgermi ai bambini ma alle persone grandi8, e lavorando pazientemente e lentamente a civilizzare materialmente, intellettualmente, moralmente… Tutto questo per condurre, Dio sa quando, forse fra secoli, al cristianesimo. Tutti gli spiriti sono fatti per la verità: ma per i Musulmani è un affare di lungo respiro. Bisogna fare di loro intellettualmente e moralmente i nostri uguali, è nostro dovere. Un popolo ha verso le sue colonie i doveri dei genitori verso i figli: rendergli con l’educazione e l’istruzione uguali o superiori a quello che sono loro stessi… L’opera è difficile e lunga: ci vorrebbero i grandi sforzi di un gran numero di persone per parecchi tempo: dove sono? Ma la difficoltà e l’isolamento non sono causa di scoraggiamento: al contrario, sono motivo per fare più sforzi. Ci sono due parole che ho sempre davanti agli occhi: è “in angustia temporum” (Daniele) che è stata ricostruita Gerusalemme; così noi non facciamo le cose che in mezzo agli ostacoli e alle insufficienze; l’altra frase è di San Giovanni della Croce: “Non misuriamo i nostri lavori alla nostra debolezza, ma i nostri sforzi ai nostri lavori”9 …
[Anche questa volta, le lunghe, monotone marce nel deserto sembrano non affaticare fr. Charles, che, nei tratti in cui non incontra accampamenti o villaggi, si fa sostenere da un “mistero tanto caro”, la fuga in Egitto, di cui fa il suo “modello nei viaggi e nella lontananza”. In quest’occasione, per vincere il senso di vuoto, occupa il tempo facendo un ritiro10. Dopo una buona sosta a Beni-Abbès, dove celebra la Pasqua, rientra a Tamanrasset l’11 giugno 1909.]
A padre Charles Guérin – Tamanrasset, 29 giugno 1909 – San Pietro e San Paolo
[Comunica al prefetto apostolico il rifiuto dell’abbé Caron di animare e del Vescovo di Viviers di approvare ufficialmente l’associazione. La potrebbe approvare p. Guérin, anche se non ha diocesani da mandare…].
Sono stato portato, chiacchierando con gli indigeni, esortandoli all’amore di Dio, consigliando loro la preghiera, a dar loro una formula di preghiera che è: il rosario, dicendo all’inizio l’atto di carità poi, a tutti i grani, “Mio Dio, ti amo” e, a tutti i grani grossi, “Mio Dio, ti amo con tutto il cuore”, in qualsiasi lingua, ognuno nella sua abituale.
…Oggi è la festa di San Pietro e di San Paolo. Mi è caro scriverle in questo giorno. Non spaventiamoci di nessuna difficoltà: loro ne hanno vinte ben altre e ci sono sempre. Pietro è sempre al timone della barca. Se i discepoli di GESÙ si potevano scoraggiare, quale motivo di scoraggiamento avrebbero avuto i cristiani di Roma, la sera del martirio di tutti e due: che tristezza, e come sarebbe sembrato oscurarsi tutto, se non ci fosse stata nei cuori la fede che c’era. Ci saranno sempre delle lotte e sempre il trionfo reale nella croce e nella sconfitta apparente. Nell’angoscia dei tempi è stata ricostruita Gerusalemme. Preghiamo e soffriamo, come hanno fatto gli apostoli, ed avremo, con le stesse croci, gli stessi successi. Come loro, faremo arrivare il Regno di GESÙ. Così sia!11 ….
Grazie, figliola mia, della sua lettera e delle sue preghiere. Sì, pregherò per suo nipote.
…Prego anche per lei e pregherò col cuore migliore che posso affinché sia e faccia ad ogni momento quello che vuole il CUORE del nostro Sposo. Un’anima cristiana può tanto, soprattutto un’anima religiosa! Unita a Gesù con dei legami così stretti, ricevendoLo così spesso nella Santa Eucarestia! È Gesù che perpetua la sua vita in questo mondo. Tutti i suoi atti, se è fedele, sono atti di GESÙ, che agisce in lei e per lei con la Sua grazia. La sua vita è tutta soprannaturale e divina; entra in possesso dell’onnipotenza del suo Sposo: “chiedete e vi sarà dato”13. Quanto può una tale anima per la salvezza del prossimo! E la salvezza del prossimo (mediante opere diverse, a seconda che viviamo nel mondo o fuori del mondo, da apostoli o da solitari) è l’opera di ogni cristiano come fu l’opera di GESÙ. Ogni anima deve lavorare al lavoro di GESÙ, cioè alla salvezza delle anime. Preghiamo l’uno per l’altra, figliola mia, affinché l’uno e l’altra siamo fedeli all’amore dello Sposo GESÙ – fr. Ch. di Gesù.
[Dal 31 agosto al 12 settembre Charles visita con Laperrine villaggi e accampamenti in un raggio di 120 chilometri e torna a Tamanrasset per la prima volta senza scorta. In settembre scopre l’Assekrem, un altopiano circondato da picchi e rocce di rara bellezza14. L’8 settembre scrive a Massignon per proporgli il lavoro linguistico, archeologico, sociologico, storico dei paesi tuareg, un lavoro che potrebbe durare trent’anni… e lo potrebbe fare come “prete in incognito”15. Intanto i suoi studi sulla lingua tuareg proseguono senza sosta: ha finito la traduzione delle poesie tuareg, ha in cantiere, oltre ai proverbi, testi in prosa e la grammatica, la composizione del lessico tuareg, poi verrà il dizionario tuareg-francese… Ora non rimpiange più il tempo che vi dedica, perché lo ritiene una componente indispensabile dell’evangelizzazione16.
Dal 1909 viene organizzato un servizio postale, che dal marzo 1910 diventa più o meno quindicinale.
Il 1910 è un anno di vuoti. Muore di tifo e di sfinimento a trentasette anni padre Guérin, dopo essere (con le distanze e durezze del deserto) a prendersi cura della comunità di El Golea, disastrata dopo lunghi giorni di pioggia fine che ha fatto crollare diverse case. Costretto a tornare a Ghardaia, vi arriva il 3 marzo percorrendo i 220 km. di deserto in cinque giorni. Si mette a letto il 9 e spira all’alba del 19 marzo… Charles viene a sapere della morte del Prefetto Apostolico e amico il 14 aprile, lo stesso giorno in cui apprende la morte di un altro amico, Lacroix 17.]
Alla cugina Marie de Bondy – Lunedì di Pentecoste, 16 maggio 1910
È per me una grande perdita quella di p. Guérin; ma non bisogna essere egoisti; è giusto che i santi ricevano la loro ricompensa; era un’anima ammirevole, tutta carità e umiltà. Ciò mi procura certamente una grande pena e mi lascia un grande vuoto: su di lui potevo contare in pieno18. Lo stesso giorno ho appreso della sua morte e della morte di uno dei miei più vecchi amici, un compagno di scuola, il comandante Lacroix che mi aveva reso tanti servizi; era ad Algeri, a capo dei servizi degli uffici arabi, e potevo contare su di lui… Tutti questi vuoti lasciano davanti a me un avvenire che può presentare difficoltà di vario genere. Ma Colui che tutto può è sempre con noi, e non ci mancherà mai.
…Se il nostro Padre [Huvelin] se ne va prima di noi sarà una perdita irreparabile; quando nella vita si è avuto per una volta un Padre come lui, è un beneficio che non si può sperare di ricevere due volte, un beneficio senza uguali. Colui che tanto ci ha sostenuti, guidati, consolati per mezzo suo, ci darò ancora il necessario 20.
A padre Paul Voillard21 – Tamanrasset, 16 maggio 1910
Reverendissimo Padre, il buon Dio ci ha inflitto, a lei e a me, una prova. Lei ha perduto un buonissimo figlio ed io un buonissimo padre…, perduto in apparenza, perché è più che mai vicino a noi… ma non è più quaggiù. Non avrei mai immaginato che forse non mi sarebbe sopravvissuto e mi appoggiavo sulla sua amicizia, come se non mi dovesse mai mancare. Lei sente il vuoto che lascia la sua partenza. GESÙ resta. Sia benedetto in tutto! Sia benedetto d’aver chiamato alla ricompensa il nostro tanto caro padre Guérin! Sia benedetto anche di avercelo prestato durante qualche anno!
Questa partenza imprevista mi fa desiderare con più forza la compagnia di un prete che continui la piccolissima opera iniziata qui: c’è ben poco di fatto. Però il contatto è preso con molti indigeni, la fiducia stabilita, la conoscenza fatta… Chiedo a GESÙ un prete pio e devoto che si metta al corrente dell’opera e la possa continuare, facendo meglio di quel che ho fatto io. Potrebbe vivere accanto a me, vivendo la mia vita o senza viverla. Non chiedo di essere il suo superiore, ma il suo amico, pronto a lasciarlo solo appena sarà al corrente… [Parla della crescente islamizzazione della regione attraverso gli arabi che arrivano coi francesi come militari o interpreti, del tempo quasi interamente dedicato allo studio della lingua tuareg, del piccolo eremo che sta facendo costruire sull’Assekrem, nel cuore delle montagne dell’Ahaggar, dove gli accampamenti sono più numerosi e dove sarebbe più al centro della popolazione].
…Lei sa i miei desideri relativi all’istituzione di una confraternita per la pratica delle virtù evangeliche, la devozione ala Santissimo Sacramento e la conversione degli infedeli; su consiglio di mons. Bonnet, vescovo di Viviers, ho chiesto al Reverendo Padre Guérin di voler far presentare a Roma il progetto, prima di intraprenderne la realizzazione. È stato fatto niente? C’è qualche risposta? Lo ignoro del tutto Le sarei riconoscente di dirmelo.
…Le chiedo una preghiera per il mio direttore don Huvelin; è mio padre da ventiquattro anni; niente potrebbe esprimere cos’è per me, quel che gli devo. Le notizie che mi danno della sua salute sono pietose. Ad ogni posta, temo di apprendere che anche lui ha compiuto il suo tempo d’esilio22…
[ Don Huvelin muore il 10 luglio 1910. Alla notizia, che gli giunge il 15 agosto, fr. Charles dirà:” Ci si sente soli al mondo… come l’oliva rimasta sola in cima al ramo, dimenticata dopo la raccolta”23. Nel novembre successivo anche Laperrine, trasferito in Francia, lascia il Sahara e non tornerà prima della morte dell’amico24. Ed è un altro vuoto.]
Grazie, figliola mia, della sua lettera e delle sue fedeli preghiere; ci conto; mi sostengono; nella mia miseria, getto uno sguardo su Santa Chiara di Nazareth, e il pensiero delle preghiere che vi si fanno per me mi dà forza… Come dice, è una grande privazione il non godere mai non soltanto dell’esposizione del Santissimo Sacramento, ma persino della presenza della Santa Ostia nel Tabernacolo25; ma bisogna essere pronti a tutto per l’amore dello Sposo, anche ad essere privati della Sua presenza Sacramentale in questo mondo.
Le raccomando più che mai gli infedeli di questo Sahara. Ora che la loro conoscenza è un po’ fatta, che il loro avvicinamento ha fatto progressi, bisognerebbe essere in molti per approfittare dell’inizio di buone disposizioni e coltivare le anime. Preghi perché il buon Dio mandi degli operai nel suo campo. Desidererei tanto che si stabilisse una confraternita che avesse il triplo scopo della pratica delle virtù evangeliche, della devozione al Santissimo Sacramento e della conversione degli infedeli; le raccomando queste intenzioni… Le virtù evangeliche e il Santissimo Sacramento sono, in fondo, di ogni vita cristiana26, e la conversione degli infedeli, è un dovere che s’impone imperiosamente nel nostro tempo in cui, per la facilità delle comunicazioni e la presenza di colonie di popoli cristiani, li raggiungiamo in ogni punto del globo… Non ci possiamo mostrare tiepidi per la loro conversione senza mancare al dovere d’amare il prossimo come se stesso.
Il buon Dio la guardi, figliola mia, la Santa Vergine e San Giuseppe la tengano tra loro in questa vita e nell’altra. Lo chiedo con tutto il cuore al CUORE di GESÙ con una religiosa devozione. – Fr. Ch. di Gesù.
[Nel 1911 Charles de Foucauld intraprende un secondo viaggio in Francia, partendo da Tamanrasset il 2 gennaio e rientrandovi il 3 maggio. Nel mese passato in Francia, rivede i parenti, molti amici, fa visita a Notre-Dame des Neiges e si occupa soprattutto del suo progetto d’associazione. Durante il viaggio di ritorno, sostando in marzo ad Algeri, sceglie padre Voillard, assistente del superiore generale dei Padri Bianchi mons. Livinhac, come direttore spirituale al posto di don Huvelin.
All’arrivo a Tamanrasset il 3 maggio è commosso dall’accoglienza amichevole dei Tuareg.
A un Trappista interessato alla sua vita, scrive una lettera destinata ad essere letta da altri: sarà la lettera che ispirerà in modo particolare p. Albert Peyriguère negli anni ’20.]
A Padre Antonin27 – Tamanrasset, 13 maggio 1911
…Mi chiede qual è la mia vita: è una vita di monaco missionario fondata su questi tre principi: imitazione della vita nascosta di GESÙ a Nazareth, adorazione del Santissimo Sacramento esposto, insediamento tra i popoli infedeli più abbandonati facendo tutto quel che si può per la loro conversione.
Sono e sono stato sempre solo da dieci anni. Se il buon Dio mi dà dei fratelli, data l’immensa estensione dei paesi infedeli da convertire, è preferibile, per la salvezza delle anime, suddividersi in piccoli gruppi di tre o quattro, il più numerosi possibile, piuttosto che formare dei monasteri più popolati. Salvo rare eccezioni, che non si farebbero che in favore di soggetti eccezionalmente virtuosi, non vorrei altro che dei preti, dei preti eccellenti e d’età già matura.
La vita è una vita monastica …. Il lavoro apostolico, come l’ho fatto finora e come lo vedo oggi, consiste in conversazioni individuali con gli infedeli (e all’occasione con i cristiani); colui che ne ha la responsabilità qui e in questo momento, è come un benedettino incaricato contemporaneamente dei quattro uffici di “portinaio” – addetto agli ospiti – confessore degli stranieri – farmacista; ci potrebbero essere però dei compiti esterni, un inizio di ministero.
Vedo questi insediamenti, questi eremi di tre o quattro monaci missionari come delle avanguardie, fatte per preparare le vie e cedere il posto ad altri religiosi organizzati come clero secolare quando il terreno sarà dissodato.
Confrontando questa vita con quella della Trappa, troverà un’austerità uguale, ma molto più dura per la sua povertà più grande, più dura anche perché il clima è duro e stancante, e l’alimentazione è del tutto diversa da quella dell’Europa: non bisogna pensare d’introdurre qui l’alimentazione europea che sarebbe un lusso costoso, ma vivere di quello di cui si vive nel paese, frumento, datteri, latticini; come vestiario, come abitazione, non troverà altro che quel che c’è di più povero e di più rustico, niente che assomigli alle vesti curate e alle case di Francia; ma assomiglia a quello che potevano essere le vesti e la povera casa di GESÙ a Nazareth. Avrà una vita differente dalla Trappa, nel senso che benché si faccia ogni cosa alla sua ora e secondo una stretta obbedienza, non c’è nessuna di quelle piccole prescrizioni esteriori minuziose della Trappa, ma una vita di famiglia semplicissima. Avrà una vita diversa dalla Trappa nel senso che non c’è nessun ufficio cantato, né messa cantata, né preghiera vocale se non il breviario, ma molta adorazione, orazione, preghiera o lettura silenziosa ai piedi del Santissimo Sacramento. Avrà una vita diversa dalla Trappa nel senso che una parte del tempo consacrato al lavoro manuale povero, se il superiore lo stima utile, potrà essere impiegato dietro suo ordine al lavoro apostolico che vorrà.
Se il buon Dio desse un certo numero di fratelli, si chiederebbero a Roma i voti solenni secondo la Regola di Sant’Agostino, col nome di “piccoli fratelli del Sacro CUORE di GESÙ”.
All’ora presente, sono solo … – fr. Ch. di Gesù (Ch. de Foucauld).28
[Il 5 luglio 1911 Charles sale al nuovo eremo dell’Assekrem, nel cuore del massiccio dell’Hoggar, a 2700 metri, insieme a Ba Hamu, segretario di Musa Ag Amastane, come informatore-interprete, sia per lavorare più alacremente alla lingua, sia per entrare in relazione più profonda con i nomadi allevatori che sono andati a cercare pascoli sulla montagna, data l’estrema siccità. Si tratta di Tuareg di una tribù vassalla, “bravi come i più bravi contadini francesi”, che Charles stima perché laboriosi e buoni, al contrario dei nobili, dediti o alle razzie o all’ozio. Vi fa anche le prime rilevazioni altimetriche e meteorologiche29.]
A Louis Massignon – Assekrem, 3 Dicembre 1911 – Festa di San Francesco Saverio
Carissimo fratello in GESÙ. Ho ricevuto ieri la sua lettera del 26 Ottobre. Stamattina ho celebrato la messa all’intenzione che desidera. Che Francesco Saverio ottenga da GESÙ la grazia tanto desiderata.
Il suo direttore ha agito molto saggiamente costringendola a terminare la tesi e a prendere il titolo di dottore. In sé non è niente, ma a parte la consolazione che ne proverà suo padre, può aprirle – per il bene delle anime – delle porte che, senza quello, le resterebbero chiuse. …Senza dubbio GESÙ non ha bisogno di questi piccoli mezzi, ma non Gli piace d’agire sempre per miracolo; ha fatto bene a desiderare d’entrare fino in fondo nell’abiezione dello Sposo; il suo direttore fa bene a impedirle di respingere ciò che può essere utile alle anime. Se ho potuto fare un po’ di bene, se ho potuto stabilirmi nel Sahara, è, dopo GESÙ, perché sono stato ufficiale ed ho viaggiato in Marocco. Dio prepara le cose da lontano e fa servire alla salvezza i buoni, i cattivi e gli atti che si sono fatti pensando il meno possibile a Lui.
Mi parla del caro e benedetto San Francesco: conosce un librettino in 32°: “La leggenda dei tre compagni” (Vita di San Francesco scritta dai suoi compagni) con la prefazione di don Huvelin30? Il libro e la prefazione sono perfetti; amici di don Huvelin pubblicano, dai suoi appunti e da stenografie, una parte delle conferenze che ha fatto quasi trent’anni fa a Sant’Agostino: sembra di sentirlo, è un’ottima cosa. Non è in vendita…
GESÙ la guardi, le faccia fare la Sua Volontà: unum est necessarium31. Amarlo con tutto il cuore, con tutta la forza, con tutta l’anima, con tutto lo spirito. Per questo, Egli ha detto il mezzo: “chi mi ama, è colui che fa la mia volontà32”.
Prego molto per lei, la penso molto, venga quando vuole, ma il viaggio sia fatto nei limiti che le ho detto come stagione per evitare l’eccesso di caldo durante il viaggio.
Il suo umile servo in GESÙ – fr. Ch. de Foucauld33.
A Henry de Castries – Assekrem, 10 dicembre 1911
…Peccato che la transahariana non è fatta, e lei non può venire in qualche giorno nella bella solitudine dove sono, a dare un po’ di tempo al tu per tu con il Creatore che è il nostro destino eterno! Qui, il mio eremo è su una vetta che domina press’a poco tutto l’Ahaggar, tra montagne selvagge al di là delle quali l’orizzonte, che sembra illimitato, fa pensare all’infinito di Dio. È un bel luogo per adorare, meditare e chiedere grazia, Parce, Domine, parce populo tuo. Non arriva dall’esterno che un’eco lontana di quel che accade: so, senza dettagli, che le nostre truppe sono a Fez e che l’Italia è in guerra con la Turchia. Non ho bisogno di saperne di più, sapendo che bisogna amare tutti gli uomini, pregare per tutti, chiedere per tutti la salvezza.
Le lettere arrivano comunque ogni tanto, e vedo i miei vicini tuareg: vicini nomadi; nei dirupi vicini, c’è qui una tenda, là due, là tre: si tengono dispersi, a causa dei grandi greggi di capre; questi imrad tuareg sono la gente più brava del mondo; si direbbero i migliori dei nostri contadini di Francia; con quasi nessuno spirito religioso né pratica religiosa (non hanno dell’islam che la fede, vaga, senza nessuna istruzione), vivono secondo i lumi naturali e certuni sono anime molto rette.
Sarà dato alle generazioni che ci seguiranno di vedere la massa di queste anime del Nord dell’Africa dire insieme “Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo Nome, venga il tuo Regno, sia fatta la tua volontà così in cielo come in terra”, rivolgendosi a Dio come al Padre comune di tutti gli umani fratelli in Lui, chiedendo insieme per loro e per tutti gli umani senza eccezione – amando il prossimo come loro stessi – , non chiedendo altro che beni spirituali, – sapendo che sono l’unico necessario e che il resto è dato in sovrappiù? – Non lo so, è il segreto di Dio: ma è dovere di impegnarvisi con tutte le forze: è la pratica del 2° comandamento, l’amore del prossimo come sé stesso, così simile al 1°, l’amore di Dio al di sopra di tutto34…
[Il 13 dicembre 1911, sul punto di lasciare l’Assekrem prima del previsto, essendo lui e il suo “informatore” Ba Hammu affaticati dopo cinque mesi di lavoro intenso e cibo scadente, Charles redige un nuovo testamento, indirizzato al cognato Raymond de Blic. In esso precisa: “Desidero essere seppellito nel luogo stesso dove morrò, e riposarvi fino alla resurrezione. Proibisco che si trasporti il mio corpo e che lo si tolga dal luogo dove il buon Dio mi avrà fatto terminare il mio pellegrinaggio”. Chiede di avvertire, in caso di morte, mons. Bonnet, vescovo di Viviers, e “due amici incomparabili”: Gabriel Tourdes, “amico d’infanzia” e Henri Laperrine 35.
Rientrato a Tamanrasset il 15 dicembre, constata le conseguenze della siccità: “… il latte e la carne mancano da 20 mesi… Molti si nutrono esclusivamente di radici selvatiche…”. Alla cugina, inquieta per le notizie della guerra Italo-Turca iniziata in ottobre per il possesso della Libia, risponde che la guerra santa predicata dai Turchi e diffusa tra gli Arabi della Tripolitania, non tocca i Tuareg “tiepidi musulmani”, che, del resto gli danno vere consolazioni e con alcuni dei quali ha “vere e serie relazioni d’amicizia”36.
Spera sempre che Massignon lo raggiunga…]
Carissimo fratello in GESÙ, grazie delle sue lettere dell’11 e dl 9 dicembre. Che GESÙ la guardi! Lo prego per lei; mi unisco a lei all’ora del Veni Creator37 per pregare lo Spirito Santo per tutti gli esseri umani; benedico Dio di averle, attraverso la bocca del suo direttore, accordato la comunione quotidiana38: che GESÙ al quale è unito ogni giorno intimamente viva in lei: non sia più lei che viva, ma Lui che viva in lei.
Troverà qui quello che desidera. Sono in questo momento a Tamanrasset in un insieme di 50 abitazioni di poveri coltivatori, in un eremo a qualche distanza dalle case. All’inizio della primavera, tornerò, per restarvi fino all’inverno, in un eremo solitario dell’Assekrem. Se GESÙ ce la conduce in primavera, la vita che vedo per lei durante l’estate, è una vista monastica e raccolta, di preghiera, d’adorazione e d’umile lavoro manuale, con un po’, molto poco, di lettura della Santa Scrittura, un capitolo al giorno, quanto basta per nutrire la meditazione, e, alla fine dei mesi passati in questa vita da Padre del deserto, un ritiro d’elezione di otto o dieci giorni.
Che Dio, se gli piace mostrarglielo ora, le dia luce su quello che vuole da lei: se non le mostra in anticipo il susseguirsi della sua vita e tutto quello che vorrà da lei in avvenire, le mostrerà per lo meno quello che vuole da lei nel tempo prossimo: basta seguirLo e conoscere in ogni momento la Sua Volontà, che bisogna sempre conoscere in tempo utile: Egli è fedele: “Dio non ci manca mai, siamo noi che gli manchiamo spesso”, dice Santa Teresa.
Sia il benvenuto sempre, a qualunque ora. Sia fatta la Volontà di Dio in lei ora e sempre, sia fatta in tutti gli umano. COR JESU adveniat Regnum tuum!
Preghi per il suo umile servo in GESÙ. – fr. Charles di Gesù39.
Carissimo fratello in GESÙ, grazie delle sue due lettere del 12 e del 23 gennaio. Mantenga sempre ogni speranza40. Non la fiducia in sé, ma la fiducia in Dio, e la speranza nell’amore di Colui che ci ama di un amore che il nostro povero spirito umano non può comprendere per niente. Caritate perpetua dilexi te, miserans 41. “Molto le sarà perdonato perché ha molto amato… Sarai con me in paradiso… Matteo il pubblicano…Zaccheo…”. La speranza è la fede nella bontà… speriamo sempre tutto… poiché il fondamento della nostra speranza è la bontà divina.
Ma non chieda consiglio per la sua anima che al suo solo direttore, cosa indispensabile per la buona direzione dell’anima e per la sua pace. Quando si confessa a un altro prete, gli dica i suoi peccati e riceva da lui l’assoluzione senza dirgli nient’altro, senza chiedergli nessun consiglio e facendo in fretta. Non chieda consiglio, non parli della sua anima che al suo direttore solo. È una regola assoluta e di sempre.
Lavori sodo alla tesi per finirla, age quod agis. Quando sarà conclusa, lo sposo divino delle anime le darà luci su quello che vuole da lei … mai Dio manca all’uomo.
…Mi chiede cosa penso di Suor Marie de la Croix (Mélanie de la Salette) – Mio carissimo fratello, non ne penso niente, e mi proibisco di pensarne qualcosa. Se Roma prende una decisione a questo riguardo, crederò quello che dirà Roma – Guarderei come una colpa – una colpa di cattivo uso del tempo, di tempo perduro – d’usare del tempo a esaminare questo: quando tante anime non conoscono GESÙ e che ne va della loro salvezza di conoscerLo, in che modo amerei il mio prossimo come me stesso se non usassi tutto il tempo a lavorare a farglielo conoscere?42…
[Il 30 marzo 1912 un accordo internazionale pone la maggior parte del Marocco sotto la protezione della Francia: il 30 aprile Lyautey sbarca a Casablanca.]
…Finché dura l’incertezza, è che Dio vuole lo statu quo; è che c’è un periodo di formazione da concludere; quando viene l’ora d’agire Dio dà la luce a tutti quelli che ne hanno bisogno, alla persona e al direttore… Lavori, preghi, soffra, faccia del bene attorno a sé, a quelli che le stanno più vicini… È amando gli uomini che s’impara ad amare Dio. Il mezzo di acquisire la carità verso Dio è di praticarla verso gli uomini. Io non so a cosa Dio la chiama in modo speciale: so benissimo ciò a cui chiama tutti i cristiani, uomini e donne, preti e laici, celibi e sposati43: a essere apostoli, apostoli con l’esempio, con la bontà, con un contatto che fa bene, con un affetto che esige ritorno e che porta a Dio, apostolo sia come San Paolo sia come Priscilla e Aquila, ma sempre apostolo, “facendosi tutto a tutti per donarli tutti a GESÙ”44… Pace, fiducia, speranza, non ricada su se stesso, le miserie della nostra anima sono un fango di cui bisogna umiliarsi spesso, ma su cui non bisogna sempre averci gli occhi fissi… Bisogna fissarli anche e di più sull’Amatissimo, sulla bellezza, sull’amore infinito e increato, che si degna di amarci… Quando si ama, si guarda ciò che si ama… Quando si ama, ci si dimentica di sé e si pensa a ciò che si ama… Non è amare pensare continuamente che siamo indegni d’amore…Chi ama non vuole pensare ad altro che all’amato e, per l’amato, a quel che ama l’essere amato.
GESÙ la guardi, carissimo fratello in GESÙ, venga il suo Regno, sia fatta la Sua volontà in lei e in tutti. – fr. Ch. de Foucauld45.
A Joseph Hours 46 – Tamanrasset, 3 maggio 1912
…Ogni cristiano deve essere apostolo, non è un consiglio, è un comandamento: il comandamento della carità.
Essere apostolo, con quali mezzi? Con quelli che Dio mette a loro disposizione: i preti hanno i superiori che dicono loro cosa devono fare. I laici devono essere apostoli con tutti coloro che possono raggiungere: i vicini e gli amici anzitutto, ma non soltanto loro, perché la carità non ha confini, abbraccia tutti quelli che abbraccia il Cuore di Gesù.
– Con quali mezzi? Con i migliori, secondo quelli ai quali si rivolgono: con tutti quelli con cui sono in rapporto, senza eccezione, con la bontà, la tenerezza, l’affetto fraterno, l’esempio della virtù, con l’umiltà e la dolcezza che sempre attraggono e sono così cristiane: con alcuni senza mai dir loro una parola su Dio e la religione, pazientando come pazienta Dio, essendo buoni com’è buono Dio, mostrandosi loro fratelli e pregando; con altri, parlando di Dio nella misura in cui sono in grado di accettarlo e, appena hanno in mente di ricercare la verità con lo studio della religione, mettendoli in contatto con un prete scelto molto bene e capace di far loro del bene… soprattutto, bisogna vedere in ogni essere umano un fratello – “Voi siete tutti fratelli, voi avete un solo padre che è nei cieli”47.
– Vedere in ogni essere umano un figlio di Dio, un’anima riscattata dal sangue di GESÙ, un’anima amata da GESÙ, un’anima che dobbiamo amare come noi stessi e per la cui salvezza dobbiamo lavorare. E bisogna bandire da noi lo spirito militante: “Io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi”48, dice GESÙ… Che distanza c’è tra la maniera di fare e parlare di Gesù e lo spirito militante di coloro che, cristiani o cattivi cristiani, vedono dei nemici da combattere invece di vedere dei fratelli malati che bisogna curare, dei feriti stesi per la strada con i quali essere buoni Samaritani.
Bisognerebbe che i genitori a casa, i preti al catechismo e nelle istruzioni, quanti hanno missione di formare i bambini e i giovani radichino nella mente fin dalla tenera età, tornando incessantemente su di esse, le seguenti verità.
Ecco il rimedio, secondo me. L’applicazione è difficile, perché coinvolge cose fondamentali, la realtà interiore dell’anima. Ma la difficoltà non ci deve fermare: più essa è grande, più dobbiamo metterci con sollecitudine all’opera e impegnarci in essa con tutte le forze. Dio aiuta sempre coloro che lo servono. Dio non manca mai all’uomo; è l’uomo che manca così spesso a Dio! Dovessimo pure non riuscire, non per questo dovremmo lavorare con meno ardore, perché lavorando così non si fa che obbedire a Dio e compiere la sua volontà ben nota50.
[Nel mese di ottobre Charles congeda il suo “informatore di Tuareg” Ba Hamu, avendo ormai concluso il lavoro di base e dovendo ormai solo correggere e copiare 51.]
Al duca Fitz-James52 – Tamanrasset, 11 dicembre 1912
… Che facciamo per l’evangelizzazione del nostro impero nord-ovest africano? Si può dire, niente.
… l’Algeria, la Tunisia e il Marocco (dove ci sono soltanto i cappellani dei consolati) sono interamente abbandonati… È una situazione alla quale sta ai cristiani di Francia di rimediare. È un’opera di lungo respiro, che chiede dedizione, virtù e costanza. Ci vorrebbero dei buoni preti, in numero sufficiente (non per predicare: li riceverebbero come si riceverebbe nei villaggi bretoni dei Turchi che vengano a predicare Maometto, con in più una certa barbarie), ma per prendere contatto, farsi amare, ispirare stima, fiducia, amicizia; ci vorrebbero poi dei buoni cristiani laici dei due sessi, per eseguire lo stesso ruolo, prendere un contatto più stretto ancora, entrare là dove il prete non può entrare affatto, soprattutto fra i musulmani, dare l’esempio delle virtù cristiane, mostrare la vita cristiana, la famiglia cristiana, lo spirito cristiano: ci vorrebbero poi delle buone religiose che curino i malati, e allevino i bambini, molto mischiate alla popolazione, sparpagliate per due o tre, là dove c’è un prete e qualche cristiano… Facendo così, le conversioni, in un termine variabile di tempo, venticinque anni, cinquant’anni, cento anni, verrebbero da sole, come maturano i frutti, a misura che si diffonderà l’istruzione… Ma se questi infelici musulmani non conoscono nessun prete, non vedono, come sedicenti cristiani, altro che degli sfruttatori ingiusti, tirannici, che danno l’esempio del vizio, come si convertiranno? Come non prenderanno in odio la nostra santa religione? Come non saranno sempre più nostri nemici? …
Dopo aver attirato la tua attenzione su questi due punti così gravi, aggiungerò una parola: è che, sia per ben amministrare e civilizzare il nostro impero d’Africa, sia per evangelizzarlo, è prima di tutto necessario conoscere la sua popolazione. Ora, noi la conosciamo estremamente poco. Ciò dipende in parte dai costumi musulmani, ma è un ostacolo che si può vincere; resta questo fatto deplorevole che ignoriamo, a un grado spaventoso, la popolazione indigena della nostra Africa. Da trentadue anni, non ho quasi lasciato l’Africa del Nord (se non durante dieci anni, dal 1890 al 1900, tempo che ho passato in Turchia d’Asia, Armeni e Terrasanta); non vedo nessuno, né ufficiale, né missionario, né colono o altro che conosca sufficientemente gli indigeni; io stesso conosco passabilmente il mio angolino di tuareg, ma molto superficialmente il resto… C’è un vizio al quale bisognerebbe rimediare: ci vorrebbe per gli amministratori, gli ufficiali, i missionari, un contatto molto più stretto con le popolazioni, dei lunghi soggiorni negli stessi posti (con avanzamenti sul posto per gli amministratori e ufficiali), al fine che conoscano, possano informare esattamente i loro superiori, e che questi conoscano mediante loro 53…
A Henry de Castries – Tamanrasset, 8 gennaio 1913
Carissimo amico, mi chiedo dove si trova. Ha fatto in Marocco un breve soggiorno o un lungo viaggio? In qualunque luogo sia, Dio la guardi e le faccia fare del bene! – Santificare il Suo nome, lasciarLo regnare in noi, fare la Sua volontà, e lavorare al fine che gli altri facciano lo stesso, è tutta la vita: sia la vita di noi due!
Ho passato tutto il 1912 qui, in questa borgata di Tamanrasset. I Tuareg sono per me una consolante compagnia; non posso dire quanto siano bravi per me, quante anime rette trovi fra di loro; uno o due tra loro sono veri amici, cosa rara e così preziosa dappertutto.
Penso di venire in Francia quest’estate, e di arrivarci in maggio, prima della partenza per la campagna. Non c’è bisogno di dire che appena a Parigi verrò a trovarla. Può darsi che porti in Francia, per la sua istruzione, quello dei Tuareg che stimo di più e amo di più.
La mia vita è semplice e calma; eppure rimpiango la solitudine dell’Assekrem dove nessun rumore umano sale fino a me. Qui sono il confidente e spesso il consigliere dei miei vicini; so delle cose che fanno soffrire; si soffre di vedere le anime perdersi; si soffre di vedere che il bene non è fatto. Alla gioia della beatitudine infinita di Dio, al gratias agimus tibi propter magnam gloriam tuam, viene a mescolarsi la tristezza delle miserie della terra. Soffro anche come Francese di non vedere i nostri soggetti indigeni amministrati come dovrebbero essere, e di non vedere i cristiani di Francia sforzarsi, non con la forza né la seduzione, ma con la bontà e l’esempio delle virtù, di portare al Vangelo e alla salvezza gli infedeli delle loro colonie d’Africa, figli ignoranti di cui sono i genitori.
Il Nome di Dio dia santificato, venga il Suo Regno, sia fatta la Sua volontà in tutti gli umani!
Con tutto il cuore, lo sa, le sono affezionato e devoto nel Cuore di GESÙ. – fr. Charles de FOUCAULD54.
[Tra gli amici veri c’è il giovane Uksem, Ag Chikat che, dopo un’adeguata preparazione, nel 1913 Charles porta con sé nel terzo viaggio in Francia, per “istruirlo” e famigliarizzarlo con la realtà francese. Incontra quindi, ancora una volta, tutte le persone che possono interessarsi alla sua “Unione”.
Partiti da Tamanrasset il 28 aprile, vi rientrano il 22 novembre: “un lungo periodo trascorso lontano dalla mia parrocchia e dai miei parrocchiani; parrocchiani musulmani, ma dei quali ci si deve tanto più occupare quanto meno conoscono la verità”55. Charles ha in progetto un altro viaggio per il 1915, ma la guerra lo impedirà e non vedrà più la Francia.
Il 30 giugno incontra a Lione con p. Crozier. Joseph Hours56, presente al colloquio, commenta: “Fondamentalmente il Sig. de Foucauld mi sembra aver perduto l’abitudine della parola, della conversazione e della discussione. È diventato un meditativo del tutto silenzioso”57. Il 2 settembre Charles manca un appuntamento con Massignon e questi vi scorge il segno che le loro sorti divergeranno58. Nel corso di un nuovo incontro a Lione, p. Crozier dà a Charles una lista di ventisei persone che aderiscono all’associazione59. A questo punto Massignon gli scrive che ha deciso di fidanzarsi (con la cugina Marcelle Dansaert), acconsentendo ai desideri della famiglia e d’accordo col direttore spirituale. Charles prende atto con serenità del progetto.]
Carissimo fratello in GESÙ, ricevo la sua lettera. Anch’io le consiglio di prospettare molto seriamente questo matrimonio… L’unica cosa necessaria, l’unica cosa perfetta per noi, è di fare la volontà di Dio qualunque essa sia… Bisogna cercare quel che Dio vuole e farlo… Dio vuole che molti vivano nel matrimonio. Vuole che vi si santifichino, vi si congiungano e si uniscano intimamente a Lui, come Santa Monica, San Luigi, Santa Elisabetta, Santa Francesca Romana, … lo stato più santo, il più bello, il più perfetto, il più desiderabile per noi, è quello che Dio vuole per noi qualunque esso sia. Se Dio la vuole sposato, è che è in questo stato che potrà santificarsi meglio, glorificare meglio il Suo Nome, far venire il Suo Regno in lei e negli altri, compiere la Sua Volontà, quaggiù come gli angeli la compiono in cielo… Com’è grande e bella la vocazione degli sposi che aiutano la loro sposa a camminare nella via verso la beata eternità, che cooperano alla nascita di figlioli dotati d’anima immortale che saranno loro stessi padri di altre anime immortali e che li educano per Dio e per il cielo: questa folla di eletti che sorgono nel susseguirsi dei secoli da un matrimonio cristiano, cittadini non della terra ma del cielo dove adorano eternamente lo Sposo celeste, m’ha spesso rapito d’ammirazione… Le ripugnanze fisiche, le debolezza spariranno. Il Sacramento del matrimonio le darà forze nuove.
Faccia quello che le dirà il suo direttore. Per me, la credo fatto per il matrimonio. Credo che è là che troverà la vita più pura e più unita a Dio – pura della purezza di colei che sposerà, pia della sua pietà, subendo l’influenza purificatrice di un’anima bella, pura e pia – ed è in questa vita che potrà fare il maggior bene agli altri: la sua santificazione e il bene degli altri, è la gloria di Dio, il fine di noi tutti.
Suo fratello che l’ama nel CUORE di GESÙ – fr. Ch. de Foucauld61.
[Durante il cammino di ritorno verso Tamanrasset, Uksem non può fare a meno di constatare la durezza del deserto nei confronti della Francia …]
Al cugino Louis de Foucauld – Dal deserto, 13 ottobre 1913
…Fa caldissimo, il viaggio è duro per la gente e per i cammelli. Uksem esprime benissimo la situazione ripetendo ogni tanto: “Molto sole, molto mosche, molto sabbia, molto pietre, non molto bella strada”. Lo colpiscono il contrasto tra questa desolazione e l’ambiente ombreggiato e le praterie di Francia 62…
…C’è sempre da fare con l’esempio, la bontà, la preghiera, stringendo relazioni più strette con delle anime tiepide o lontane dalla fede per condurle, a poco a poco, a forza di pazienza, di dolcezza, di bontà attraverso l’influenza della virtù più che con dei consigli, ad una vita più cristiana o alla fede, entrando in relazione amichevole, con persone del tutto contrarie alla religione, per fare con la bontà e la virtù, cadere le loro prevenzioni e condurle inclusivamente a Dio…
Bisogna estendere le nostre relazioni con i buoni cristiani, per sostenerci nell’amore ardente di Dio, e con i non praticanti, cercando di avere con loro, non dei rapporti mondani, ma dei rapporti d’affetto cordiale, portandoli ad avere per noi stima e fiducia, e, di lì, a riconciliarsi con la nostra fede. Bisogna essere, in Francia, missionari, come lo siamo in paesi musulmani e questa è opera di noi tutti, ecclesiastici e laici, uomini e donne63…
Alla cugina Marie de Bondy – Tamanrasset, 20 luglio 1914
… Non posso dire di desiderare la morte; una volta la desideravo, ma ora vedo che c’è tanto bene da fare, tante anime senza pastore, che vorrei soprattutto fare un po’ di bene e lavorare un poco per la salvezza di queste povere anime. Ma il buon Dio le ama più di me e non ha bisogno di me. Sia fatta la sua volontà 64…
Carissimo fratello in GESÙ, grazie della sua lettera del 27 maggio e delle buone notizie sue e della signora Massignon. Sono felice della sua felicità, felice della vita dolce, calma, pia, benefica che fa per l’amatissimo Signore Gesù.
Gioia per me il completamento della sua tesi; gioia quest’articolo sui Padri Bianchi e le missioni cattoliche in terra d’Islam. Questo studio la mette in contatto con i nostri missionari, i loro lavori, e con la questione dell’evangelizzazione delle nostre colonie, che ho tanto a cuore.
Più che mai, nella mia solitudine, penso al nostro dovere di lavorare alla conversione delle nostre colonie; medito una piccola trasformazione della nostra unione di preghiere, senza cambiarne niente quanto al fondo, né in quello che è richiesto, consigliato ad ogni fratello o sorella, ma apportando delle grandi semplificazioni nell’organizzazione, abbreviando gli statuti, non essendo più il collegamento tra i fratelli fatto da preti “direttori locali”, troppo difficili da trovare soprattutto nella qualità voluta e che potrebbero avere la tendenza a sostituirsi al direttore spirituale che deve lui solo mantenere l’autorità, ma diventando un bollettino (mensile se possibile) che istruisca i fratelli sulle nostre colonie, il loro stato, i loro bisogni, i lavori apostolici che vi si fanno, le congregazioni che vi lavorano – bollettino serio, scritto in un tono sempre serio e moderato, che abbia lo scopo di dare ai cristiani seri e colti dei dati veri sulle nostre colonie, su quello che ci si fa e su quello che vi manca come apostolato; interessandoli a questi problemi, spero che si metteranno in relazione con alcuni degli stessi operai apostolici e formeranno un movimento cristiano indirizzato verso le colonie65.
…Capisco benissimo che non trovi, certi giorni, il tempo per 5 decine di rosario, non se ne tormenti, e sostituisca con un atto d’amore e uno sguardo volto all’Amatissimo gli istanti che non ha potuto, in seguito ad altri doveri imposti da Lui, consacrare a Lui nella preghiera… Ma cerchi di trovare il tempo d’una lettura di qualche rigo del Santi Vangeli, prendendone ogni giorno di seguito, in maniera tale che in un certo tempo, passino interamente sotto i suoi occhi e dopo la lettura (che non deve essere lunga, 10,15,20 righe, mezzo capitolo al massimo) mediti per qualche minuto mentalmente o per scritto, sugli insegnamenti contenuti nella sua lettura…. Bisogna cercare di lasciarsi impregnare dallo spirito di GESÙ leggendo e rileggendo, meditando e rimeditando continuamente le sue parole e i suoi esempi: passino nelle nostre anime come la goccia d’acqua che cade e ricade su una pietra, sempre allo stesso posto66.
La mia preghiera è davvero con lei e con la signora Massignon, lo sa. Spero di vedervi tutt’e due tra meno di un anno67. A Dio piacendo, andrò in Francia la primavera prossima e ci passerò tutta l’estate.; il motivo di questo viaggio, che farò solo, senza Tuareg, sarà di diffondere la piccola unione: sarò dunque occupatissimo e viaggerò molto durante questo soggiorno.
…Il nostro giovane amico Uksem ha lasciato Tamanrasset 20 giorni dopo esserci arrivato per andare a sorvegliare a 1.000 km a sud di qui, in pieno Sudan68, le mandrie di cammelle della sua tribù, dato che la siccità non ha lasciato pascoli più vicini (sono 4 anni e 8 mesi che non piove più!); non è ancora di ritorno. In 2 anni, ha passato 2 mesi in famiglia; è sposato da 16 mesi… L’esistenza dei nostri Tuareg assomiglia a quella dei marinai di Francia.
M’impegno sempre con tutte le mie forze ai piccoli lavori di lingua tuareg, avendo fretta di finirli per dare più tempo alla nostra piccola unione e ai Tuareg, ma la fine è lontana69…
[La Germania dichiara guerra alla Francia, il 3 agosto 1914. Il 20 agosto 1914 le truppe tedesche invadono il Belgio neutrale. Quello stesso giorno muore papa Pio X e il nuovo papa, Benedetto XV, viene aletto il giorno in cui, il 3 settembre, la notizia della guerra arriva a Tamanrasset.]
1 “In angustia temporum”, parole di Dn 9, 25 che abbiamo visto già.
2 CS, p. 623-25.
3 Louis Massignon (1883-1962), appassionato del mondo arabo, si era messo in contatto con fr. Charles nel 1906, avendone utilizzato Reconnaissance au Maroc per una sua tesi. Senza fede, dopo anni burrascosi e amori più o meno costanti, sia femminili sia maschili, si era convertito in un momento drammatico, durante una ricerca archeologica in Mesopotamia. Riconoscendo, nella preghiera offerta per lui dal fratello del deserto, un contributo decisivo alla sua conversione, aveva iniziato a corrispondere con lui. Per qualche anno fr. Charles intravide in Massignon il compagno desiderato, il “prete per l’Islam”, e cercò di convincerlo interessandolo alle ricerche sulla storia e cultura Tuareg precedente agli Arabi. Massignon, profondamente inquieto, rimase a lungo incerto sul futuro, finché si decise, come si vedrà, per il matrimonio. La relazione con fr. Charles fu di tale importanza per Massignon, che egli si sentì investito di un ruolo speciale dopo la sua morte, fece di tutto per trasmetterne il messaggio, affidando a René Bazin l’impegno della prima biografia (pubblicata il 14 settembre 1921).
5 Frase citata a memoria da San Giovanni della Croce, ripetuta con qualche variante in diverse occasioni.
6 Lettres et carnets, Seuil, Paris 1966, p. 205-209.
7 Con l’amico islamista ama usare espressioni arabe tipiche, come questa “se Dio vuole” o “come vuole Dio”. Si ricordi l’importante corrispondenza intrattenuta con Henry de Castries, a partire dal 1901.
8 Lo ritiene necessario, cf. CS, 919.
9 LHC, p. 182-183.
10 LMB, p. 154 e 155.
11 CS, p. 689-90.
12 Questa e le lettere successive alle Clarisse sono tradotte dall’originale in possesso alle Clarisse di Nazareth.
13 Mt 7, 7.
14 Cf. LMB, p. 157; CS, p. 693.
15 Cf. AAD, p. 61-65.
16 Cf. CS, p. 702.
17 Cf. CS, p. 705.
18 Non avrà lo stesso rapporto privilegiato col successore, p. Bardou.
20 LMB, p. 160-161
21 Padre Voillard (1860-1946), maestro dei novizi e poi consigliere generale, conosciuto nel 1901, diventerà direttore spirituale di fr. Charles dal marzo 1911, dopo la morte di don Huvelin.
22 CS, p. 842-844.
23 LMB, p. 163. Scriverà a Massignon che don Huvelin è stato cosciente sino alla fine e che le sue ultime parole sono state: “Amabo nunquam satis”, non amerò mai abbastanza (AAD, p. 83). Le stesse parole riecheggeranno nell’ultima lettera alla cugina il 1° dicembre 1916.
24 Cf. B, p. 333.
25 Nel 1908 aveva ottenuto il permesso di celebrare la messa da solo, ma, come si è visto, non quella di conservare l’Eucarestia., che gli venne concessa solo nel 1914, mentre non ebbe mai il permesso di esporla.
26 Non era corrente all’epoca attribuirle a tutti i cristiani.
27 Charles non conosceva di persona questo trappista di Notre-Dame des Neiges, che però gli aveva fatto sapere il suo interesse.
28 CCDP, p. 379-381. Comincia a scrivere nome e cognome anche con i Trappisti.
29 Cf. LMB, p. 167. Vedi anche FD, p. 272.
30 Si era fatto mandare questo libretto, con un’introduzione di don Huvelin, da sua cugina, mentre era ancora trappista e studente di teologia a Roma (CPRD, p. 9). Charles aveva fatto conoscere a Massignon don Huvelin nel 1909, e questi in seguito, aveva consigliato al giovane, studioso di Al Hallaj, un’opera di Fr. von Hügel sulla mistica. Massignon, “molto a destra, come ogni neoconvertito” (ADD, p. 55), lo trovò però “modernista”. Effettivamente Huvelin, molto colto e intelligente, si trovò vicino, anche come confessore, a personalità considerate “moderniste”.
31 Lc 10, 42: una cosa sola è necessaria.
32 Cf. Gv 14, 15.21, citato a senso.
33 AAD, p. 115-116.
34 LHC, p. 192-193. Gli imrad erano una tribù vassalla di pastori.
35 VN, p. 203-207.
36 Cf. LMB, p. 173 e175; cf. CS, p. 859. In tutto ha passato all’Assekrem cinque mesi. In seguito, l’eremo non reggerà alle intemperie e già nel 1914 sarà in rovina.
37 Lo recitava tre volte al giorno, come del resto prescrivevano le Costituzioni dei Piccoli Fratelli e in particolare il Direttorio (art. XI).
38 Solo a partire dal 1905, per debellare i residui di rigore giansenistico, Pio X aveva raccomandato la comunione frequente per tutti, abbassando contemporaneamente l’età della prima comunione.
39 AAD, p. 117-118.
40 Mentre Charles confessava il suo passato solo per cantare le misericordie di Dio, in stile agostiniano, e consapevolmente si volgeva “soltanto a Colui che è tutto” (LMB, p. 92), Massignon era ancora ripiegato su di sé, tormentato dai sensi di colpa e dalle tentazioni, sentendosi incapace di amare “con purezza”. Cf. AAD, p. 123.
41 Ger 31, 3. Il v. completo della Vulgata è: Caritate perfecta dilexi te ideo adtraxi te miserans.
42 AAD, p. 124-125.
43 Questo tema della chiamata missionaria per tutti non era frequente all’epoca.
44 Cf. 1Co 9,22. Tema, quello del “farsi tutto a tutti”, molto caro a fr. Charles, e, in seguito, a p.s. Magdeleine di Gesù.
45 AAD, p. 127-128. In questi ultimi anni si comincia a firmare anche de Foucauld e nelle ultime lettere toglierà anche il fr. o fratel.
46 Questo commerciante di Lione (1851-1918), laico impegnato e interessato al problema dell’apostolato dei laici, si confessava da don Crozier (senza esserne discepolo) e questi nel 1911 lo mise in contatto con fr. Charles. Dal 1911 al 1916, intrecciarono una corrispondenza degna d’attenzione sul senso e la concretizzazione dell’apostolato alla “Priscilla e Aquila”. Le 24 lettere di Charles de Foucauld a Joseph Hours sono state pubblicate nei Cahiers Charles de Foucauld, n. 13-16 (1949), la presente nel n. 14.
47 Mt 23, 8-9.
48 Mt 10, 16.
49 1Cor 9, 22.
50 Lettera famosa, citata per vari brani, ripresa dai Cahiers Charles de Foucauld n. 14.
51 Il 7 gennaio 1913, presentando il bilancio del suo lavoro all’editore prof. Basset di Algeri, comunica che ha pronti da copiare: il lessico abbreviato, il lessico dei nomi propri, il dizionario tuareg-francese, i testi in prosa, i testi in versi e i proverbi. Ma aggiunge: “Quanto ho fatto, non fa altro che mostrare quanto ci sia da fare e che resta da fare tutto” (FD, p. 128).
52 Amico di gioventù, collega del 4° Reggimento Ussari nel 1879 a Pont-à-Mousson, col quale ha ripreso contatto dopo venticinque anni, che rivedrà in Francia e sarà uno dei 49 iscritti all’Unione.
53 B, p. 349-350.
54 Cf. LHC, p. 196-197.
55 LMB, p. 179.
56 Cf. FD, p. 133.
57 Cf. FD, 133.
58 Cf. AAD, p. 147-149.
59 Cf. LMB, 26.
60 Si tratta della residenza estiva della cugina Marie de Bondy.
61 AAD, p. 150. Massignon invierà l’adesione all’Unione dei fratelli e sorelle del S. Cuore il 14 ottobre 1913. Si sposerà a Bruxelles il 27 gennaio 1914, cercando di andare in viaggio di nozze da fr. Charles, ma le autorità militari lo fermeranno a Tuggurt. Cf. AAD, p. 160-61.
62 G. Gorrée, Sur les traces du Père de Foucauld, La Colombe, Paris 1953, p. 258. Musa Ag Amastane aveva fatto un’osservazione ancora più forte a Charles nel 1910, dopo la visita ufficiale in Francia con Laperrine, confrontando le case e i giardini di sua sorella con Tamanrasset: “E tu, tu sei a Tamanrasset come el meskin”, ossia il povero per eccellenza, di cui si ha compassione (cf. B, p. 335).
63 Charles indica lo stesso stile di missione per chi parte e per chi resta nel paese d’origine, come Hours. Cf. Lettres et carnets, cit., p. 211.
64 LMB, p. 194.
65 Spiega in dettaglio il formato, il modo di iscriversi, ecc., senza fare in ogni caso né collette né questue, nel desiderio che se ne occupi lo stesso Massignon.
66 Massignon aveva citato questo paragrafo sulla meditazione del Vangelo nella presentazione della prima edizione del Directoire, il testo del 1909-1913, che Foucauld intendeva correggere e semplificare ulteriormente.
67 La guerra e poi la morte di fr. Charles lo impedirà.
68 Corrisponde all’attuale Mali e Niger.
69 AAD, 165-167. Per i lavori di lingua, ormai è al punto di “copiare in bella copia”, in vista della pubblicazione, le ricerche di anni.
Last Updated: 28 Novembre 2018 by Redazione Leave a Comment
Orientamenti
“Orientamenti”
Testi occasionali di René Voillaume.
È diventato un luogo comune affermare che nel nostro mondo attuale la fede è più difficile per gli uomini di quanto non lo sia mai stata. Alcuni arrivano a tirare la conclusione che non può più significare per noi quello che ha significato per quei cristiani che, nel corso della storia della Chiesa, sono stati i testimoni irrecusabili del dinamismo della fede — “forza divina” come dice San Paolo a proposito del Vangelo — e della trasfigurazione che una fede vivente può operare in una esistenza umana. Una tale trasformazione dell’uomo non è possibile senza che la fede lo raggiunga al cuore stesso del suo essere e che tutte le sue capacità di conoscere, di amare e di agire non ne siano rigenerate. Quale potrebbe essere il valore di una fede della quale dubitassimo che per sua natura possa introdurci in un supplemento di essere e di vita perché si tratta di una reale percezione del Dio Vivente e Vero e delle creazioni del quale Egli è l’autore. Se la fede non fosse che un certo linguaggio “da interpretare”, come si dice adesso, non saprebbe trasfigurare la vita degli uomini. La realtà del mondo affermata dalla sola fede non può fare l’oggetto di una dimostrazione razionale o di una sperimentazione scientifica. Ma nei nostri tempi, il suo semplice approccio umano si scontra con una difficoltà nuova che prende a volte i contorni di un ostacolo quasi insormontabile; difficoltà dovute a una certa mentalità che rifiuta ogni consistenza agli esseri puramente spirituali e alle realtà sulle quali i nostri sensi non hanno una presa immediata. Resta la forza, la grandezza e la bellezza irrecusabile dell’esistenza di testimoni che hanno pienamente vissuto la loro vita di uomini “come se ve-dessero l’invisibile”. Charles de Foucauld è, tra quelli che ci sono più vicini nel tempo, uno dei più grandi.
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Vi sono giorni in cui percepiamo con acutezza sconcertante di condurre una doppia vita: quella che ci è imposta da tutto il nostro essere di carne, “la vita”, senza più. La sola che abbia un senso per la massa degli uomini. Questa vita quotidiana è fatta di tutte le sensazioni, i rapporti sociali, i sentimenti, i godimenti di ogni specie, che costituiscono la trama psicologica della nostra esistenza personale e colorano ogni nostra giornata con molte gioie o pene. E poi c’è l’altra, quella che ci imponiamo in nome della nostra fede nelle realtà invisibili, ed in nome della nostra coscienza morale.
Questa seconda vita, in certi momenti, ci pare quasi irreale, arbitraria, poiché in definitiva è sospesa ad una libera decisione della nostra volontà, così spesso ricoperta e soffocata dalla invadente foresta vergine delle impressioni e dei sentimenti spontanei!…Le rare ore di verità e di unità sembra siano quelle in cui la pace e la calma purificata dei sensi si armonizzano, in certo modo, con le esigenze vitali dello spirito e della fede…. Questo sentimento abituale di condurre una doppia vita non deve meravigliarci. Non è in nostro potere far sparire tale sentimento che pure ci mette a disagio e talvolta lascia in noi l’inquieta impressione di non aver saputo scegliere… La vera scelta è in ogni istante interiore e spirituale. Per il nostro equilibrio non solo religioso ma psicologico è essenziale mantenere in noi un giudizio di valore su questa duplice corrente di vita. Abbiamo scelto di vivere secondo lo spirito e la fede, ma tale scelta non è mai definitiva; essa dev’essere rinnovata, mantenuta mediante una certezza acquisita della superiorità della vita secondo Dio.
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Il vero cristiano, colui che crede a tutto il mistero del Cristo, deve guardare la sua vita terrena ben in faccia, per scoprirne il carattere precario, passeggero, per viverla da pellegrino che non si installa e aspira al termine del suo pellegrinaggio; ma deve anche scoprire in sé l’aspetto eterno della vita, l’aspetto già iniziato che la morte non interromperà e che è la carità divina. Quando amiamo il nostro fratello, siamo già su un piano di eternità se il nostro amore per lui è un riflesso di quello di Dio, è se l’amiamo come un essere destinato, come noi, all’eternità….Il modo miserabile doloroso e mortale della vita umana sulla terra è qualcosa di relativo, ma l’uomo in se stesso è già un assoluto, ed è più grande della condizione che gli è riservata; attraverso l’amore che dobbiamo avere per il più piccolo dei nostri fratelli umani, dobbiamo già vivere nell’assoluto del Regno eterno, iniziato così sulla terra e che non avrà fine. Si, quando si tratta di amare non possiamo vivere nell’attesa, perché la sola realtà che non cambierà, la sola realtà che è già eterna, è quella dell’amore datoci dal Cristo Gesù.
II nostro amore non deve essere umile e rispettoso degli uomini? Forse abbiamo donato il nostro tempo, la nostra vita, ma senza pensare abbastanza a donarci noi stessi in una autentica e umile amicizia? L’amore di amicizia fa tacere ogni facile critica, ispira un pregiudizio di simpatia, evita in primo luogo l’ironia sull’argomento “razza”. Non siamo stati spesso vittime, inconsciamente di un pregiudizio di razza o di classe? Mi sembra che a volte ci sia una vera illusione che snatura lo sguardo che portiamo sugli uomini e ci impedisce di percepire le esigenze della vera carità. Allora ci sono della mancanze gravi alla carità e anche alla giustizia, e ci sono degli atteggiamenti che scoraggiano. Mettetevi al posto di un povero che è colmato di benefici, ma che sente in colui che glieli offre la coscienza della sua superiorità: non credete che in questo povero ci sarà una ferita che nulla potrà guarire? Credo che questa sia un questione estremamente grave, perché, se ci si può correggere di un difetto del quale si ha coscienza, al contrario non c’è nessun rimedio, per raddrizzare una deviazione della quale non si ha coscienza. Perché, appunto questo male è incosciente. L’orgoglio di razza è incosciente, e così l’orgoglio di cultura, il pregiudizio di classe è incosciente perché vi si respira la propria natura. Siamo noi stessi la nostra famiglia. Siamo la nostra nazione e la nostra razza, e non possiamo giudicarci in verità come dal di fuori: ed è per questo, forse, che Dio sarà misericordioso per questo tipo di colpe, nella misura nella quale non siamo coscienti del nostro orgoglio, e conserviamo una buona volontà. (Per terminare) vorrei ricordare quella frase che è stata prestata a San Vincenzo di Paoli nel film che voi conoscete, al momento nel quale dà le ultime istruzioni a una piccola sorella che doveva andare per la prima volta dai poveri: “Non dimenticare che dovrai farti perdonare il pane che stai regalando”. Abbiamo di sicuro di che donare, ma anche in noi dovrebbe esserci una umiltà vera e profonda. Per possedere questa umiltà, è indispensabile essere arrivati a un grado di povertà interiore che ci permette di essere coscientemente distaccati dai nostri propri valori di cultura e di ogni superiorità umana: e ciò è difficile, molto difficile. Comunque, non possiamo amare come il Cristo senza arrivare a questo grado di umiltà e di povertà interiore. Lui, più di qualsiasi altro, avrebbe, forse, avuto il diritto di giudicarsi superiore, anche umanamente nella sua perfezione umana. Malgrado ciò non troverete in lui un solo gesto di condiscendenza. II giorno nel quale noi oseremo intrattenerci con un criminale, qualcuno sul quale si ironizza, il giorno nel quale saremo capaci di rispettarlo come qualsiasi altro uomo e di considerarlo un nostro possibile amico, quel giorno avremo compreso qualcosa del precetto del Signore.
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Ecco la gioia di Pasqua. La gioia di Dio ci è data nel Cristo, ma, per il momento, noi possiamo solo gioirne imperfettamente e saltuariamente. Ma siamo certi che questa gioia c’è ed è a misura dell’umanità, poiché è stata trasformata e posta a portata dell’uomo nel cuore del Cristo risuscitato, senza per questo cessare di essere pienamente divina. Questa gioia attende noi, l’umanità intera, ognuno dei nostri fratelli. Tutti sono in cammino verso questa gioia, assai spesso come altrettanti ciechi; e più spesso ancora, non avendo la pazienza di sperare, si attaccano per via a piaceri incapaci di trattenerli per sempre, pur logorando il loro desiderio di felicita. La nostra storia intima non è forse anche quella della nostra lotta quotidiana;….nelle ore di noia e di stanchezza, quando ci sembra più semplice contentarci di facili gioie non incluse nell’ambito doloroso della Croce, ci sia possibile ricordare che ogni sofferenza e ogni attesa di quaggiù sono un accostarsi certo della felicità che ci verrà nell’ora ineluttabile in cui, senza testimoni né intermediari, il nostro spirito si unirà con quello del nostro diletto Salvatore…. La nostra felicità sarà aumentata da quella dei nostri fratelli. La moltitudine non sarà più un mostro anonimo che schiaccia, ma una fraternità di amici. E la mirabile varietà che fa di ognuna di queste miriadi di esseri umani una persona unica, illuminerà la nostra gioia e dilaterà la nostra apertura fraterna, poiché potremo amare ormai senza che il numero degli amici ostacoli un amore impaziente di comunicarsi interamente a ognuno. La nostra felicità sarà fatta della piena apertura del nostro cuore agli altri e della totale limpidezza dei nostri sguardi. Avremo l’immensa gioia di essere perfettamente conosciuti, conosciuti dagli altri, poiché non avremo più né male, né sotterfugi, né brutture da nascondere; e questa piena trasparenza abolirà ogni egoismo, ogni tensione, ogni gelosia, ogni sofferenza d’essere dimenticati o incompresi. Ognuno sarà il centro dell’ammirazione, della lode e della tenerezza fraterna di quest’immensa moltitudine di cuori e di spiriti trasfigurati.