Da Luigi Rosadoni “Charles de Foucauld, fratello universale.” Piero Gribaudi Ed. p. 355-357
Un amico scriverà: «La vita nascosta nella casa di Nazareth, quella grazia umile e modesta, alla portata di tutti, ha condotto lentamente, dolcemente e sicuramente il padre de Foucauld all’eroismo finale …»
«È morto per tutti», come un chicco di grano che muore per sfamare gli uomini d’ogni razza, faccia a faccia al Cristo eucaristico, vivendo lo spirito di Nazareth fino all’estrema conseguenza dei martirio. «Pensa che devi morire martire, spogliato di tutto, disteso a terra, nudo, irriconoscibile», si era detto. E ancora: «Vivere come se io dovessi morire oggi martire».
Si può affermare che da quando era stato la prima volta in Terra Santa e aveva scoperto il mistero dei Calvario, ha camminato a ritroso per tutta la vita sotto la lunga ombra della croce, diretto là verso il punto in cui essa è conficcata a terra, per salirci e distendervisi col Cristo. Ciò è avvenuto oggi, primo dicembre 1916: giorno del suo martirio e del suo trionfo.
Aveva scritto: «Se i discepoli di Gesù potessero scoraggiarsi, quale causa di scoraggiamento avrebbero avuto i cristiani di Roma, la sera del martirio di san Pietro e di san Paolo!
«Ho pensato spesso a quella sera: che tristezza, e come tutto sarebbe sembrato finito, se nei cuori non ci fosse stata la fede che c’era!
«Ci saranno sempre le lotte e sempre il trionfo reale della croce nella disfatta apparente».
«La disfatta apparente»: sotto all’espressione c’è, integrale, l’ideale di Nazareth, che Fratel Carlo consegna a noi con la sua morte «per tutti».
Disfatta apparente è I ‘Incarnazione del Dio della Gloria, e lo è la sua umiliazione operaia nella bottega di Giuseppe, come lo è la predicazione incompresa persino dai discepoli, e, soprattutto, il suo annientamento sulla croce. Ma soltanto la salita sulla croce permette al Cristo ii ritorno alla Gloria del Padre: non più da solo, bensì con la moltitudine dei fratelli riscattati dal suo Sangue. Sulla croce, dunque, c’è già il germe della resurrezione. L’appuntamento con la beatitudine riservata agli eletti è a quel crocicchio di dolore, non altrove. La missione di ciascun credente e dell’intera Chiesa è di presentarsi al mondo in questo stato di «disfatta apparente» – cioè di rinunzia alle varie forme del prestigio e della potenza umana -, affinché il mondo trovi non già la fame di possesso bensì l’amore di servizio.
Questa visione evangelica, totalmente scevra dal nefasto trionfalismo condannato poi dal Vaticano II, Fratel Carlo l’ha esposta in termini ineguagliabili:
«La via regale della Croce: è la sola per gli eletti, la sola per la Chiesa, la sola per qualsiasi fedele; è la legge sin alla fine del mondo: la Chiesa e le anime, spose dello Sposo crocifisso, dovranno condividere le sue spine e portare la croce insieme a lui. La legge dell’amore vuole che la sposa condivida la sorte dello Sposo».
Come dimenticare che, insieme all’Evangelo, anche il mondo ci chiede la fedeltà a questa legge, probabilmente perché ne conserva un’inconfessata nostalgia? Esso sta a scrutare l’ora in cui l’età costantiniana – caratterizzata dal connubio del pastorale con la spada e col denaro – sarà sepolta definitivamente dal ritorno all’epoca del martirio: martirio interiore nella povertà e nell’assunzione d’ogni pena e d’ogni faticosa speranza della terra, martirio del sangue se necessario per non tradire la vocazione evangelica. E in quest’attesa il mondo ci ripete, forse un po’ enfaticamente, ma certo sinceramente: «Se volete assomigliare a Gesù Cristo, siate martiri e non carnefici». [Voltaire Trattato sulla tolleranza, Ed. Riuniti, Roma 1966 p. 99]
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Last Updated: 19 Dicembre 2018 by Redazione
Primo dicembre – dal 1916 ad oggi
Da Luigi Rosadoni “Charles de Foucauld, fratello universale.” Piero Gribaudi Ed. p. 355-357
Un amico scriverà: «La vita nascosta nella casa di Nazareth, quella grazia umile e modesta, alla portata di tutti, ha condotto lentamente, dolcemente e sicuramente il padre de Foucauld all’eroismo finale …»
«È morto per tutti», come un chicco di grano che muore per sfamare gli uomini d’ogni razza, faccia a faccia al Cristo eucaristico, vivendo lo spirito di Nazareth fino all’estrema conseguenza dei martirio. «Pensa che devi morire martire, spogliato di tutto, disteso a terra, nudo, irriconoscibile», si era detto. E ancora: «Vivere come se io dovessi morire oggi martire».
Si può affermare che da quando era stato la prima volta in Terra Santa e aveva scoperto il mistero dei Calvario, ha camminato a ritroso per tutta la vita sotto la lunga ombra della croce, diretto là verso il punto in cui essa è conficcata a terra, per salirci e distendervisi col Cristo. Ciò è avvenuto oggi, primo dicembre 1916: giorno del suo martirio e del suo trionfo.
Aveva scritto: «Se i discepoli di Gesù potessero scoraggiarsi, quale causa di scoraggiamento avrebbero avuto i cristiani di Roma, la sera del martirio di san Pietro e di san Paolo!
«Ho pensato spesso a quella sera: che tristezza, e come tutto sarebbe sembrato finito, se nei cuori non ci fosse stata la fede che c’era!
«Ci saranno sempre le lotte e sempre il trionfo reale della croce nella disfatta apparente».
«La disfatta apparente»: sotto all’espressione c’è, integrale, l’ideale di Nazareth, che Fratel Carlo consegna a noi con la sua morte «per tutti».
Disfatta apparente è I ‘Incarnazione del Dio della Gloria, e lo è la sua umiliazione operaia nella bottega di Giuseppe, come lo è la predicazione incompresa persino dai discepoli, e, soprattutto, il suo annientamento sulla croce. Ma soltanto la salita sulla croce permette al Cristo ii ritorno alla Gloria del Padre: non più da solo, bensì con la moltitudine dei fratelli riscattati dal suo Sangue. Sulla croce, dunque, c’è già il germe della resurrezione. L’appuntamento con la beatitudine riservata agli eletti è a quel crocicchio di dolore, non altrove. La missione di ciascun credente e dell’intera Chiesa è di presentarsi al mondo in questo stato di «disfatta apparente» – cioè di rinunzia alle varie forme del prestigio e della potenza umana -, affinché il mondo trovi non già la fame di possesso bensì l’amore di servizio.
Questa visione evangelica, totalmente scevra dal nefasto trionfalismo condannato poi dal Vaticano II, Fratel Carlo l’ha esposta in termini ineguagliabili:
«La via regale della Croce: è la sola per gli eletti, la sola per la Chiesa, la sola per qualsiasi fedele; è la legge sin alla fine del mondo: la Chiesa e le anime, spose dello Sposo crocifisso, dovranno condividere le sue spine e portare la croce insieme a lui. La legge dell’amore vuole che la sposa condivida la sorte dello Sposo».
Come dimenticare che, insieme all’Evangelo, anche il mondo ci chiede la fedeltà a questa legge, probabilmente perché ne conserva un’inconfessata nostalgia? Esso sta a scrutare l’ora in cui l’età costantiniana – caratterizzata dal connubio del pastorale con la spada e col denaro – sarà sepolta definitivamente dal ritorno all’epoca del martirio: martirio interiore nella povertà e nell’assunzione d’ogni pena e d’ogni faticosa speranza della terra, martirio del sangue se necessario per non tradire la vocazione evangelica. E in quest’attesa il mondo ci ripete, forse un po’ enfaticamente, ma certo sinceramente: «Se volete assomigliare a Gesù Cristo, siate martiri e non carnefici». [Voltaire Trattato sulla tolleranza, Ed. Riuniti, Roma 1966 p. 99]
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