La strada della pace
Primo Mazzolari (1958)
Nel pomeriggio di ieri, dopo dieci giorni di pioggia, ci fu una schiarita anche al mio paese, uno dei tanti bambini che giocano sotto la mia .finestra è venuto dentro: «Don Primo, c’è il sole.’»
Sono andato a vederlo, prima di tutto perché il sole, dopo tanta caligine, è la speranza, la gioia; e poi perché all’invito di un bambino non ci si può sottrarre senza mancare a quella delicatezza che il bambino ha sempre diritto di avere specialmente da parte di un sacerdote.
E ho visto il sole.
Vorrei quasi dirvi che Charles de Foucauld è un po’ il sole.
E vorrei dirvi: guardiamolo insieme, avremo la certezza che nella Chiesa c’è quello che noi sentiamo anche quando non riusciamo a vederlo chiaramente.
Lo conoscevo anche prima, ma il doverne parlare m’ha dato un motivo di più per guardarlo più cordialmente (quando si guarda col cuore).
Voi pure lo conoscete.
E nato nel 1858. Veniva da una famiglia nobile. Era un ufficiale di cavalleria francese. Ha dimenticato una tradizione familiare, che era cattolica. Ha vissuto come ha potuto. Ad un certo momento ha persino rinunciato ad essere ufficiale dell’esercito, perché la strada che stava battendo non era conforme neppure alle tradizioni militari francesi.
- E poi c’è una ripresa. Diventa esploratore del Sahara. Si ritrova come uomo. Ha davanti l’adorazione semplice, spontanea di questi uomini del deserto. Gli fa quasi vergogna questo suo non credere, questo suo non aver niente da dare di fronte a questa gente.
E c’è il ritorno alla fede.
Io credo che la grazia si sia servita di questi poveri arabi del deserto per far sentire a quest’anima che cosa c’è di misterioso e di grande in ogni creatura umana, anche nell’ultima delle creature umane.
Questo ritornare, questo convertirci da strade che sono così lontane e anche tante volte così diverse, non vi dà l’impressione, miei cari amici, di una vitalità cristiana cui bisogna che noi poniamo, anche di passaggio, una breve attenzione?
Tutte le altre idee, quando le abbiamo buttate «dietro» le spalle, non ci infastidiscono più.
Solo l’idea, o meglio la realtà, di Cristo non è mai “dietro” abbastanza.
Io penso che Charles de Foucauld ha incontrato Cristo nel deserto. Lo ha visto attraverso creature che forse non avevano mai sentito parlare di lui,
Egli ritorna da un’esperienza di povera vita umana. Uno dei segni vitali della misericordia di Dio è questo ricomporre le nostre povere vite da qualsiasi dolorosa esperienza, è questo cavar fuori quello che giustamente Charles de Foucauld chiamava l’adorazione redentrice.»,
Il suo ritorno non è un ritorno, che si ferma. Dio aveva qualcosa da chiedere a questa creatura, e voleva da lui qualcosa che forse subito non fu visto e forse soltanto all’ultimo momento della sua vita Charles de Foucauld ha potuto piuttosto sentire che vedere.
Ci sono dei momenti che non sono e non saranno mai risolti dentro di noi come cristiani. Uno di questi momenti fondamentali è appunto questo: come si concilia il momento puro della fede con il momento puro dell’azione?
Noi siamo in continuo affanno. Non vi accorgete che facciamo così fatica a dire basta a questa nostra giornata, per cui questo camminare del mondo, questo andare del mondo finisce per toglierci il raccoglimento del nostro animo che la religione deve soprattutto disporre dentro di noi?
C’è un mondo che va e noi gli corriamo dietro; c’è un mondo che si perde e noi lo rincorriamo attraverso una strumentalità che non sappiamo più come adattare, come aggiornare, e tutto finisce per diventare una tremenda sofferenza.
Adesso guardiamo un momento Charles de Foucauld.
Egli era di un mondo che aveva perduto la fede, perché aveva avuto l’impressione che la fede fosse rimasta indietro al suo pensiero che camminava.
C’è di più: un’altra parte di quel povero mondo in cui egli viveva si allontanava dalla Chiesa, perché sentiva la Chiesa dall’altra parte. Il sacerdote si era staccato, gli altri lo sentivano lontano, i poveri lo sentivano di là.
De Foucauld ha avvertito queste due sofferenze: ha mantenuto il suo cuore vicino a quella categoria da cui era uscito; e ha cominciato a scendere, a scendere vicino a quelli che sentivano la Chiesa dall’altra parte.
Il mistero dell’Incarnazione è tutto qui. É Gesù che discende e si fa ultimo. Questo è il metodo che il santo ha sempre sentito in una maniera singolare e soprattutto in una maniera che non lo può più frenare.
Vorrei dirvi una parola intorno a quello che è lo stato d’animo di un uomo, il quale, avendo vissuto una certa vita e avendo fatto un’esperienza coloniale, si è ritrovato in una realtà nuova. Chi ha avuto occasione di avvicinare, durante la prima guerra, alcuni ufficiali coloniali francesi, ha avvertito una singolarità di preparazione umana. Furono i più cari ed anche i più utili incontri del mio servizio militare in Francia. Erano uomini di alta tempra, pieni di difetti se volete, militari fin che volete, ma il senso della responsabilità, che avevano ricevuto attraverso la vita della colonia, quel sentirsi responsabili di povere vite, che valevano così poco di fronte alla legge, ma che incominciavano a valere molto davanti alla loro coscienza, anche se non molto cristiana, certo profondamente umana, li aveva trasformati.
Questo itinerario, questa scoperta dell’uomo, prima che del figlio di Dio, voi l’avvertite soprattutto in Charles de Foucauld. Che cosa hanno detto questi poveri arabi, che cosa hanno rivelato a questo esploratore, a questo ufficiale coloniale. Le rivelazioni più grandi sono quelle che nascono da queste comunioni umane. Gli incontri che determinano le decisioni fondamentali il Signore li fa fare a questa maniera.
E allora io capisco che cosa diventa per Charles de Foucauld il momento di Nazareth. Questi trent’anni di vita di Cristo, senza parole, nella comune condizione, in un piccolo paese, dove niente, niente diceva del valore divino che egli portava.
Ecco perché Nazareth diventa il momento ideale del Vangelo che egli deve realizzare. E lo diventa attraverso l’accettazione dell’ultimo posto, che nessuno gli potrà portar via.
Perché l’importante è questo: l’amore all’ultimo si manifesta nell’essere come lui, non nell’avere pietà di lui. C’è qualcosa nella nostra maniera di voler bene al prossimo che ha bisogno di essere riveduta, perché altrimenti noi rimarremo sempre in una insufficienza di carità che non ci aprirà mai i cuori dei nostri fratelli. Ad un certo momento abbiamo l’impressione di poter proteggere qualcuno. Abbiamo un senso di pietà che nasce da una superiorità, anche inconsapevole, ma che è sempre una superiorità.
De Foucauld ha sentito che questa non è la maniera vera di voler bene ai figli di Dio. Egli è diventato come uno di loro. Niente di più. Ha accettato di pensare come loro, non soltanto di vestire come loro. Lo sforzo che fa per poter apprendere bene il loro linguaggio non è che un mezzo per potersi identificare con loro, cosicché nessuno potesse sentirlo diverso. La più grande carità è appunto questo nostro divenire come gli altri, in modo che essi non abbiano da far fatica, direi che non abbiano neanche da alzare gli occhi, per poter ritrovarci: basta allungare la mano, basta guardare l’orma dei nostri piedi, basta vedere come si vive.
E allora voi capite che cosa rappresenta la presenza di un cristiano nel deserto e in mezzo ai poveri abbandonati dell’Africa. Perché Charles de Foucauld non ha predicato il Vangelo a questi nostri poveri fratelli del deserto? Perché non è diventato un apostolo? Sono domande che è bene che noi ci poniamo, perché il problema dell’apostolato incomincia a diventare preoccupante per noi.
C’è una situazione di animi, non soltanto in quel mondo che è il mondo africano ed il mondo asiatico che non conosce ancora il Signore, ma anche nel nostro mondo, che ci mette davanti il modo di fare di Charles de Foucauld come qualcosa che può farci riflettere.
Vedete, bisogna dissodare certi terreni. Oggi c’è una tale indisposizione verso la religione, in certi ambienti, che non possiamo dire una parola senza che questa parola venga interpretata piuttosto male che bene. C’è qualcosa che va avvertito prima della parola. Se il Cristo di Nazareth non ha detto una parola per tanti anni, vuol dire che ci sono situazioni spirituali che non hanno bisogno di parole ed a cui forse anche una sola parola potrebbe essere piuttosto di allontanamento che di accostamento.
Charles de Foucauld era lì, vicino a quella gente. Non dico che volesse loro bene, perché è una parola che dice niente, tanto è abusata. Era con loro.
Forse non sentivano da lui parlare di Cristo, però ne vedevano il simbolo sul suo abito che era come il loro. Ad un certo momento, non potevano non avvertire che qualcuno era lì con loro. Prima di organizzare, prima di predicare bisogna che qualcuno si accorga che c’è Qualcuno. E io credo che per far accorgere quelli che sono lontani che c’è Qualcuno questa sia la strada migliore.
Voi mi domanderete quando si arriverà a far sentire per questa strada il senso del Cristo.
A noi non importa il tempo, come a noi non importa vedere quali possano essere le conseguenze di queste maniere di vivere vicino alla povera gente che non conosce ancora il Signore.
Da questa maniera di comportarsi di Charles de Foucauld noi incominciamo a intravvedere un’indicazione di grande importanza. Che cosa dobbiamo fare per questi nostri fratelli d’Africa e d’Asia? Charles de Foucauld che cosa porta laggiù di questa religione che ha dentro? Porta l’amore senza limiti di queste creature.
Incomincia a diventare il fratello di tutti, il fratello universale. E badate che non si stacca dal suo mondo, perché ogni distacco dal cuore di un fratello è una diminuzione della carità Egli non si dimentica di essere francese, ha le sue relazioni con gli ufficiali, mantiene i contatti. Ma nel medesimo tempo è uno che è andato di là, è andato di là con tutto il suo cuore di fratello; ed è rimasto qui con tutto il suo cuore di fratello.
La cosa più difficile è appunto questa: non distaccarsi da nessuno. Se io vado di là, con i poveri, e mi dimentico che qua ho dei fratelli, c’è qualcosa della mia carità che viene diminuita Se ad un certo momento il mio grido diventa un grido e: parte, naturalmente m’impedisce di allargare le braccia, di spalancare il cuore dove più c’è bisogno.
I vincoli di questa carità, che voi vedete attraverso la manifestazione così semplice ma anche così concreta di Charles de Foucauld, sono quelli che finiscono per farci capire come tutti; deve arrivare a questo momento di unione. I francesi e i tuareg gli volevano bene. Egli era diventato il fratello di tutti. Era diventato il fratello di tutti, perché aveva rinunciato ad avere quello che avrebbe potuto facilmente avere Ha accettato il niente degli altri, e lo ha rivissuto attraverso questa espressione di totale dedizione, per cui nessuno sentiva di non aver posto nel suo cuore.
Quando voi avvertite l’incapacità del mondo cristiano di ritrovare fiducia presso la gente africana, quando voi vedete questa nostra povera Europa cristiana che non sa neanche trovare il rispetto fondamentale di quella gente, voi capite bene come abbiamo bisogno di guardare a Charles de Foucauld come all’unico modo di congiungere quella gente a noi, di mantenere quello che non deve essere distrutto e che purtroppo stiamo distruggendo, perché non abbiamo la fede fondamentale in quello che è l’offerta e soprattutto il dono della nostra fraternità cristiana. Charles de Foucauld non ha fatto qualcosa di tangibile, non ha avuto successo, voi sapete com’è finito.
Quando è scoppiata la guerra, nel 1916, lo hanno tradito, ed è morto nel suo eremo, che all’ultimo momento era diventato un fortino. Strana situazione, e che grossa pena per una anima come la sua veder trasformare la sua piccola casa di eremita e di marabutto in un fortino! Però, vedete, le casse con le munizioni e i fucili sono rimaste chiuse: nessuno ha sparato, nessuno si è difeso.
Voi mi domanderete se questa è una maniera d’incontrare dei poveri.
E allora io vi domando un’altra cosa: che ne pensate voi, del Calvario? Perché, in fondo, quando vedete un de Foucauld che muore a quella maniera, voi non potete non metterlo vicino al Calvario.
Vi faccio un’altra domanda: sapete voi trovare un altro modo per poter fare la pace tra questi due mondi? E guardate che quando dico di fare la pace tra questi due mondi io vi posso parlare di altri mondi. Qual è il linguaggio che può essere capito? Qual è la parola che la religione, la nostra religione, ha in questo momento per avvicinare questa povera umanità, che altrimenti non ha più la maniera d’intendersi?
Non si può non vederla attraverso questa manifestazione, che a un certo momento pare la più assurda di tutte.
Eppure io mi domando se non è questa la strada della pace. Io non ne vedo un’altra.
Voi potete contare su tante altre maniere, voi potete presentarmele come volete, ma ad un certo momento non rimane che questa espressione: una croce distesa e un povero uomo il quale viene legato con le mani e i piedi e viene ucciso in quella maniera barbara che voi conoscete.
Miei cari amici, forse l’aspetto più misterioso della nostra religione, e il più conturbante per molti di noi, è proprio questo:
- dire a dei cristiani, che pare abbiano qualche cosa da difendere,
- dire: non c’è nulla da difendere;
- dire a dei cristiani, che credono di avere qualche cosa da portare di là attraverso una superiorità che si serve spesse volte della forza: questa non è la strada.
Eppure, se la pace noi la vogliamo accostare cristianamente, se vogliamo disarmare i nostri animi, se vogliamo togliere da questo nostro povero mondo l’incubo che c’impedisce di respirare da uomini e da cristiani, bisogna che noi incominciamo a chiederci se certi assurdi del comandamento «tu non uccidere», assurdi del Vangelo, di cui voi conoscete bene le espressioni che non vanno toccate senza mancare all’intangibilità della parola divina, se non sono queste le strade su cui dobbiamo camminare.
E vedete che vi convergono gli spiriti anche attraverso esperienze che non sono esperienze religiose.
In fondo, o noi accettiamo una dichiarazione d’amore che va fatta senza restrizioni, senza misure, oppure dobbiamo diventare quella povera gente che ormai siamo. E non sappiamo neanche dove ci potremo fermare, e soprattutto quali saranno le conseguenze tremende di questa dimenticanza dell’espressione cristiana.
Perché la vitalità del cristianesimo, la sua prova più grande, in questo momento, è su questo piano della pace.
Noi continuiamo ad andare a prestito di composizioni dove lo spirito cristiano finisce per essere imprigionato in formule che sanno ancora di paganesimo o di razionalismo.
Abbiamo tradizioni che qualche volta c’impediscono di fare apertamente e decisamente certi distacchi. Crediamo di rinnegare qualche cosa di quella che è la civiltà cristiana. Abbiamo l’impressione di staccarci da maniere di vedere consacrate e da una storia che non è una storia cristiana da una maniera di vedere che non è una maniera di vedere cristiana.
E abbiamo assunto delle tremende responsabilità. Perché la più tremenda responsabilità è quella di non saper trovare all’infuori di un equilibrio di potenza una maniera di guardare in faccia i nostri fratelli.
Abbiamo bisogno di poterci distaccare da queste forme aggiunte alla maniera veramente originale cristiana che è il comandamento divino «tu non uccidere». Perché, prima ancora di una giustizia tra classe e classe, c’è da mettere una fraternità tra questi popoli, i quali hanno bisogno di toccare con mano che c’è qualcuno che ha accettato, come ha accettato Cristo, come ha accettato Charles de Foucauld di diventare anatema per qualche cosa che deve essere assolutamente e direi immediatamente guardato come la strada regia del cristiano in questo momento.
Quando Charles de Foucauld muore, l’ufficiale francese che per primo è entrato e ha visto lo spettacolo desolante, ha trovato vicino a Charles l’ostensorio: il martire e Cristo vicino. Forse non è a caso che queste due realtà, che questi due misteri di amore si siano congiunti nell’offerta suprema. La cattedrale nel deserto si costruisce a questa maniera, soltanto a questa maniera. Qui non è più questione di dire: noi urtiamo la civiltà! Io non so che cosa possiamo portare al mondo, miei cari fratelli, se non la speranza dell’amore.
E allora lasciate che su questa nuova cattedrale del mondo noi possiamo intravvedere come si congiungano le membra sparse di questa umanità, come attraverso un fratello universale si possano trovare le maniere di arrivare a queste povere sofferenze umane che sotto qualsiasi colore e sotto qualsiasi accento di lingua hanno l’espressione del Cristo sofferente. Nell’Africa sono tornati in questi ultimi anni i Piccoli Fratelli e le Piccole Sorelle di Charles de Foucauld.
Che cosa importa che il mondo europeo non abbia più la possibilità di dire: questa è la mia terra, questo è il mio impero! Un giorno, uno dei suoi figli più nobili, una di quelle creature che aveva nell’anima anche la forza di rendere testimonianza alla sua terra, alla Francia, attraverso una dedizione eroica, ha sentito che non è la forza, che non sono certi metodi di polizia ignobile, che hanno portato il disonore anche alla civiltà europea, quelli che possono affermare la superiorità di un mondo. C’è un impero che si afferma dove una croce dà un cuore, l’unico simbolo che egli portava, e dove due mani sono piegate nell’adorazione eterna.
E così, vedete, che si adora Iddio. Lo si adora in spirito e verità, attraverso una dichiarazione che, se non abbraccia tutti gli uomini, ricordatevi, miei cari amici, che noi dovremo accettare l’umiliazione profonda di sentire che una civiltà anche meno nobile della nostra ha trovato la maniera di resistere a una civiltà cristiana degradata.
Al di sopra di tutte le affermazioni, c’è questa fraternità che non è una donazione, che non è qualcosa che noi regaliamo, ma semplicemente il ritrovarci, ultimi anche noi, come fratelli degli ultimi. Soltanto in questa maniera noi potremo trovare la dichiarazione che non ammetterà dubbi, davanti a cui nessuno potrà chiudere gli occhi e soprattutto chiudere il cuore.
Da Discorsi, Dehoniane, Bologna, pp. 596-604. [riportato in Mariangela Maraviglia, Primo Mazzolari nella storia del Novecento – Edizioni Studium, Roma,2000, pp. 161-170.]
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Last Updated: 27 Novembre 2018 by Redazione
Primo Mazzolari – Charles de Foucauld
La strada della pace
Primo Mazzolari (1958)
Nel pomeriggio di ieri, dopo dieci giorni di pioggia, ci fu una schiarita anche al mio paese, uno dei tanti bambini che giocano sotto la mia .finestra è venuto dentro: «Don Primo, c’è il sole.’»
Sono andato a vederlo, prima di tutto perché il sole, dopo tanta caligine, è la speranza, la gioia; e poi perché all’invito di un bambino non ci si può sottrarre senza mancare a quella delicatezza che il bambino ha sempre diritto di avere specialmente da parte di un sacerdote.
E ho visto il sole.
Vorrei quasi dirvi che Charles de Foucauld è un po’ il sole.
E vorrei dirvi: guardiamolo insieme, avremo la certezza che nella Chiesa c’è quello che noi sentiamo anche quando non riusciamo a vederlo chiaramente.
Lo conoscevo anche prima, ma il doverne parlare m’ha dato un motivo di più per guardarlo più cordialmente (quando si guarda col cuore).
Voi pure lo conoscete.
E nato nel 1858. Veniva da una famiglia nobile. Era un ufficiale di cavalleria francese. Ha dimenticato una tradizione familiare, che era cattolica. Ha vissuto come ha potuto. Ad un certo momento ha persino rinunciato ad essere ufficiale dell’esercito, perché la strada che stava battendo non era conforme neppure alle tradizioni militari francesi.
E c’è il ritorno alla fede.
Io credo che la grazia si sia servita di questi poveri arabi del deserto per far sentire a quest’anima che cosa c’è di misterioso e di grande in ogni creatura umana, anche nell’ultima delle creature umane.
Questo ritornare, questo convertirci da strade che sono così lontane e anche tante volte così diverse, non vi dà l’impressione, miei cari amici, di una vitalità cristiana cui bisogna che noi poniamo, anche di passaggio, una breve attenzione?
Tutte le altre idee, quando le abbiamo buttate «dietro» le spalle, non ci infastidiscono più.
Solo l’idea, o meglio la realtà, di Cristo non è mai “dietro” abbastanza.
Io penso che Charles de Foucauld ha incontrato Cristo nel deserto. Lo ha visto attraverso creature che forse non avevano mai sentito parlare di lui,
Egli ritorna da un’esperienza di povera vita umana. Uno dei segni vitali della misericordia di Dio è questo ricomporre le nostre povere vite da qualsiasi dolorosa esperienza, è questo cavar fuori quello che giustamente Charles de Foucauld chiamava l’adorazione redentrice.»,
Il suo ritorno non è un ritorno, che si ferma. Dio aveva qualcosa da chiedere a questa creatura, e voleva da lui qualcosa che forse subito non fu visto e forse soltanto all’ultimo momento della sua vita Charles de Foucauld ha potuto piuttosto sentire che vedere.
Ci sono dei momenti che non sono e non saranno mai risolti dentro di noi come cristiani. Uno di questi momenti fondamentali è appunto questo: come si concilia il momento puro della fede con il momento puro dell’azione?
Noi siamo in continuo affanno. Non vi accorgete che facciamo così fatica a dire basta a questa nostra giornata, per cui questo camminare del mondo, questo andare del mondo finisce per toglierci il raccoglimento del nostro animo che la religione deve soprattutto disporre dentro di noi?
C’è un mondo che va e noi gli corriamo dietro; c’è un mondo che si perde e noi lo rincorriamo attraverso una strumentalità che non sappiamo più come adattare, come aggiornare, e tutto finisce per diventare una tremenda sofferenza.
Adesso guardiamo un momento Charles de Foucauld.
Egli era di un mondo che aveva perduto la fede, perché aveva avuto l’impressione che la fede fosse rimasta indietro al suo pensiero che camminava.
C’è di più: un’altra parte di quel povero mondo in cui egli viveva si allontanava dalla Chiesa, perché sentiva la Chiesa dall’altra parte. Il sacerdote si era staccato, gli altri lo sentivano lontano, i poveri lo sentivano di là.
De Foucauld ha avvertito queste due sofferenze: ha mantenuto il suo cuore vicino a quella categoria da cui era uscito; e ha cominciato a scendere, a scendere vicino a quelli che sentivano la Chiesa dall’altra parte.
Il mistero dell’Incarnazione è tutto qui. É Gesù che discende e si fa ultimo. Questo è il metodo che il santo ha sempre sentito in una maniera singolare e soprattutto in una maniera che non lo può più frenare.
Vorrei dirvi una parola intorno a quello che è lo stato d’animo di un uomo, il quale, avendo vissuto una certa vita e avendo fatto un’esperienza coloniale, si è ritrovato in una realtà nuova. Chi ha avuto occasione di avvicinare, durante la prima guerra, alcuni ufficiali coloniali francesi, ha avvertito una singolarità di preparazione umana. Furono i più cari ed anche i più utili incontri del mio servizio militare in Francia. Erano uomini di alta tempra, pieni di difetti se volete, militari fin che volete, ma il senso della responsabilità, che avevano ricevuto attraverso la vita della colonia, quel sentirsi responsabili di povere vite, che valevano così poco di fronte alla legge, ma che incominciavano a valere molto davanti alla loro coscienza, anche se non molto cristiana, certo profondamente umana, li aveva trasformati.
Questo itinerario, questa scoperta dell’uomo, prima che del figlio di Dio, voi l’avvertite soprattutto in Charles de Foucauld. Che cosa hanno detto questi poveri arabi, che cosa hanno rivelato a questo esploratore, a questo ufficiale coloniale. Le rivelazioni più grandi sono quelle che nascono da queste comunioni umane. Gli incontri che determinano le decisioni fondamentali il Signore li fa fare a questa maniera.
E allora io capisco che cosa diventa per Charles de Foucauld il momento di Nazareth. Questi trent’anni di vita di Cristo, senza parole, nella comune condizione, in un piccolo paese, dove niente, niente diceva del valore divino che egli portava.
Ecco perché Nazareth diventa il momento ideale del Vangelo che egli deve realizzare. E lo diventa attraverso l’accettazione dell’ultimo posto, che nessuno gli potrà portar via.
Perché l’importante è questo: l’amore all’ultimo si manifesta nell’essere come lui, non nell’avere pietà di lui. C’è qualcosa nella nostra maniera di voler bene al prossimo che ha bisogno di essere riveduta, perché altrimenti noi rimarremo sempre in una insufficienza di carità che non ci aprirà mai i cuori dei nostri fratelli. Ad un certo momento abbiamo l’impressione di poter proteggere qualcuno. Abbiamo un senso di pietà che nasce da una superiorità, anche inconsapevole, ma che è sempre una superiorità.
De Foucauld ha sentito che questa non è la maniera vera di voler bene ai figli di Dio. Egli è diventato come uno di loro. Niente di più. Ha accettato di pensare come loro, non soltanto di vestire come loro. Lo sforzo che fa per poter apprendere bene il loro linguaggio non è che un mezzo per potersi identificare con loro, cosicché nessuno potesse sentirlo diverso. La più grande carità è appunto questo nostro divenire come gli altri, in modo che essi non abbiano da far fatica, direi che non abbiano neanche da alzare gli occhi, per poter ritrovarci: basta allungare la mano, basta guardare l’orma dei nostri piedi, basta vedere come si vive.
E allora voi capite che cosa rappresenta la presenza di un cristiano nel deserto e in mezzo ai poveri abbandonati dell’Africa. Perché Charles de Foucauld non ha predicato il Vangelo a questi nostri poveri fratelli del deserto? Perché non è diventato un apostolo? Sono domande che è bene che noi ci poniamo, perché il problema dell’apostolato incomincia a diventare preoccupante per noi.
C’è una situazione di animi, non soltanto in quel mondo che è il mondo africano ed il mondo asiatico che non conosce ancora il Signore, ma anche nel nostro mondo, che ci mette davanti il modo di fare di Charles de Foucauld come qualcosa che può farci riflettere.
Vedete, bisogna dissodare certi terreni. Oggi c’è una tale indisposizione verso la religione, in certi ambienti, che non possiamo dire una parola senza che questa parola venga interpretata piuttosto male che bene. C’è qualcosa che va avvertito prima della parola. Se il Cristo di Nazareth non ha detto una parola per tanti anni, vuol dire che ci sono situazioni spirituali che non hanno bisogno di parole ed a cui forse anche una sola parola potrebbe essere piuttosto di allontanamento che di accostamento.
Charles de Foucauld era lì, vicino a quella gente. Non dico che volesse loro bene, perché è una parola che dice niente, tanto è abusata. Era con loro.
Forse non sentivano da lui parlare di Cristo, però ne vedevano il simbolo sul suo abito che era come il loro. Ad un certo momento, non potevano non avvertire che qualcuno era lì con loro. Prima di organizzare, prima di predicare bisogna che qualcuno si accorga che c’è Qualcuno. E io credo che per far accorgere quelli che sono lontani che c’è Qualcuno questa sia la strada migliore.
Voi mi domanderete quando si arriverà a far sentire per questa strada il senso del Cristo.
A noi non importa il tempo, come a noi non importa vedere quali possano essere le conseguenze di queste maniere di vivere vicino alla povera gente che non conosce ancora il Signore.
Da questa maniera di comportarsi di Charles de Foucauld noi incominciamo a intravvedere un’indicazione di grande importanza. Che cosa dobbiamo fare per questi nostri fratelli d’Africa e d’Asia? Charles de Foucauld che cosa porta laggiù di questa religione che ha dentro? Porta l’amore senza limiti di queste creature.
Incomincia a diventare il fratello di tutti, il fratello universale. E badate che non si stacca dal suo mondo, perché ogni distacco dal cuore di un fratello è una diminuzione della carità Egli non si dimentica di essere francese, ha le sue relazioni con gli ufficiali, mantiene i contatti. Ma nel medesimo tempo è uno che è andato di là, è andato di là con tutto il suo cuore di fratello; ed è rimasto qui con tutto il suo cuore di fratello.
La cosa più difficile è appunto questa: non distaccarsi da nessuno. Se io vado di là, con i poveri, e mi dimentico che qua ho dei fratelli, c’è qualcosa della mia carità che viene diminuita Se ad un certo momento il mio grido diventa un grido e: parte, naturalmente m’impedisce di allargare le braccia, di spalancare il cuore dove più c’è bisogno.
I vincoli di questa carità, che voi vedete attraverso la manifestazione così semplice ma anche così concreta di Charles de Foucauld, sono quelli che finiscono per farci capire come tutti; deve arrivare a questo momento di unione. I francesi e i tuareg gli volevano bene. Egli era diventato il fratello di tutti. Era diventato il fratello di tutti, perché aveva rinunciato ad avere quello che avrebbe potuto facilmente avere Ha accettato il niente degli altri, e lo ha rivissuto attraverso questa espressione di totale dedizione, per cui nessuno sentiva di non aver posto nel suo cuore.
Quando voi avvertite l’incapacità del mondo cristiano di ritrovare fiducia presso la gente africana, quando voi vedete questa nostra povera Europa cristiana che non sa neanche trovare il rispetto fondamentale di quella gente, voi capite bene come abbiamo bisogno di guardare a Charles de Foucauld come all’unico modo di congiungere quella gente a noi, di mantenere quello che non deve essere distrutto e che purtroppo stiamo distruggendo, perché non abbiamo la fede fondamentale in quello che è l’offerta e soprattutto il dono della nostra fraternità cristiana. Charles de Foucauld non ha fatto qualcosa di tangibile, non ha avuto successo, voi sapete com’è finito.
Quando è scoppiata la guerra, nel 1916, lo hanno tradito, ed è morto nel suo eremo, che all’ultimo momento era diventato un fortino. Strana situazione, e che grossa pena per una anima come la sua veder trasformare la sua piccola casa di eremita e di marabutto in un fortino! Però, vedete, le casse con le munizioni e i fucili sono rimaste chiuse: nessuno ha sparato, nessuno si è difeso.
Voi mi domanderete se questa è una maniera d’incontrare dei poveri.
E allora io vi domando un’altra cosa: che ne pensate voi, del Calvario? Perché, in fondo, quando vedete un de Foucauld che muore a quella maniera, voi non potete non metterlo vicino al Calvario.
Vi faccio un’altra domanda: sapete voi trovare un altro modo per poter fare la pace tra questi due mondi? E guardate che quando dico di fare la pace tra questi due mondi io vi posso parlare di altri mondi. Qual è il linguaggio che può essere capito? Qual è la parola che la religione, la nostra religione, ha in questo momento per avvicinare questa povera umanità, che altrimenti non ha più la maniera d’intendersi?
Non si può non vederla attraverso questa manifestazione, che a un certo momento pare la più assurda di tutte.
Eppure io mi domando se non è questa la strada della pace. Io non ne vedo un’altra.
Voi potete contare su tante altre maniere, voi potete presentarmele come volete, ma ad un certo momento non rimane che questa espressione: una croce distesa e un povero uomo il quale viene legato con le mani e i piedi e viene ucciso in quella maniera barbara che voi conoscete.
Miei cari amici, forse l’aspetto più misterioso della nostra religione, e il più conturbante per molti di noi, è proprio questo:
Eppure, se la pace noi la vogliamo accostare cristianamente, se vogliamo disarmare i nostri animi, se vogliamo togliere da questo nostro povero mondo l’incubo che c’impedisce di respirare da uomini e da cristiani, bisogna che noi incominciamo a chiederci se certi assurdi del comandamento «tu non uccidere», assurdi del Vangelo, di cui voi conoscete bene le espressioni che non vanno toccate senza mancare all’intangibilità della parola divina, se non sono queste le strade su cui dobbiamo camminare.
E vedete che vi convergono gli spiriti anche attraverso esperienze che non sono esperienze religiose.
In fondo, o noi accettiamo una dichiarazione d’amore che va fatta senza restrizioni, senza misure, oppure dobbiamo diventare quella povera gente che ormai siamo. E non sappiamo neanche dove ci potremo fermare, e soprattutto quali saranno le conseguenze tremende di questa dimenticanza dell’espressione cristiana.
Perché la vitalità del cristianesimo, la sua prova più grande, in questo momento, è su questo piano della pace.
Noi continuiamo ad andare a prestito di composizioni dove lo spirito cristiano finisce per essere imprigionato in formule che sanno ancora di paganesimo o di razionalismo.
Abbiamo tradizioni che qualche volta c’impediscono di fare apertamente e decisamente certi distacchi. Crediamo di rinnegare qualche cosa di quella che è la civiltà cristiana. Abbiamo l’impressione di staccarci da maniere di vedere consacrate e da una storia che non è una storia cristiana da una maniera di vedere che non è una maniera di vedere cristiana.
E abbiamo assunto delle tremende responsabilità. Perché la più tremenda responsabilità è quella di non saper trovare all’infuori di un equilibrio di potenza una maniera di guardare in faccia i nostri fratelli.
Abbiamo bisogno di poterci distaccare da queste forme aggiunte alla maniera veramente originale cristiana che è il comandamento divino «tu non uccidere». Perché, prima ancora di una giustizia tra classe e classe, c’è da mettere una fraternità tra questi popoli, i quali hanno bisogno di toccare con mano che c’è qualcuno che ha accettato, come ha accettato Cristo, come ha accettato Charles de Foucauld di diventare anatema per qualche cosa che deve essere assolutamente e direi immediatamente guardato come la strada regia del cristiano in questo momento.
Quando Charles de Foucauld muore, l’ufficiale francese che per primo è entrato e ha visto lo spettacolo desolante, ha trovato vicino a Charles l’ostensorio: il martire e Cristo vicino. Forse non è a caso che queste due realtà, che questi due misteri di amore si siano congiunti nell’offerta suprema. La cattedrale nel deserto si costruisce a questa maniera, soltanto a questa maniera. Qui non è più questione di dire: noi urtiamo la civiltà! Io non so che cosa possiamo portare al mondo, miei cari fratelli, se non la speranza dell’amore.
E allora lasciate che su questa nuova cattedrale del mondo noi possiamo intravvedere come si congiungano le membra sparse di questa umanità, come attraverso un fratello universale si possano trovare le maniere di arrivare a queste povere sofferenze umane che sotto qualsiasi colore e sotto qualsiasi accento di lingua hanno l’espressione del Cristo sofferente. Nell’Africa sono tornati in questi ultimi anni i Piccoli Fratelli e le Piccole Sorelle di Charles de Foucauld.
Che cosa importa che il mondo europeo non abbia più la possibilità di dire: questa è la mia terra, questo è il mio impero! Un giorno, uno dei suoi figli più nobili, una di quelle creature che aveva nell’anima anche la forza di rendere testimonianza alla sua terra, alla Francia, attraverso una dedizione eroica, ha sentito che non è la forza, che non sono certi metodi di polizia ignobile, che hanno portato il disonore anche alla civiltà europea, quelli che possono affermare la superiorità di un mondo. C’è un impero che si afferma dove una croce dà un cuore, l’unico simbolo che egli portava, e dove due mani sono piegate nell’adorazione eterna.
E così, vedete, che si adora Iddio. Lo si adora in spirito e verità, attraverso una dichiarazione che, se non abbraccia tutti gli uomini, ricordatevi, miei cari amici, che noi dovremo accettare l’umiliazione profonda di sentire che una civiltà anche meno nobile della nostra ha trovato la maniera di resistere a una civiltà cristiana degradata.
Al di sopra di tutte le affermazioni, c’è questa fraternità che non è una donazione, che non è qualcosa che noi regaliamo, ma semplicemente il ritrovarci, ultimi anche noi, come fratelli degli ultimi. Soltanto in questa maniera noi potremo trovare la dichiarazione che non ammetterà dubbi, davanti a cui nessuno potrà chiudere gli occhi e soprattutto chiudere il cuore.
Da Discorsi, Dehoniane, Bologna, pp. 596-604. [riportato in Mariangela Maraviglia, Primo Mazzolari nella storia del Novecento – Edizioni Studium, Roma,2000, pp. 161-170.]
Category: Testi su Charles de Foucauld
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