Lettera di René Page (priore 1966-1978)
11/01/2025
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Lettera di René Page
Marzo 1978
Ho sempre difficoltà a scrivervi.Non cerco neppure di sapere il perché; sempre il sentimento che ci sarebbe di più e di meglio da dire e che non ci si può permettere di scrivere qualunque cosa. Tuttavia avete perfettamente ragione di rimproverarmi per non farlo, non fosse altro che in nome di quel-la comunione fraterna che deve esistere tra noi. Durante tutti questi anni infatti, credo di aver visto e registrate non poche cose. La difficoltà è di farne la sintesi, poiché, ammettetelo, dalla fondazione della Fraternità nel 1933, e anche dalle prime fraternità di lavoro del 1947, con la pubblicazione di "Come loro", sono avvenute molte cose, sia nella vita del mondo che in quella della Chiesa.
Tutti questi cambiamenti non potevano non avere delle ripercussioni su di noi, non tanto per la nostra Vocazione come tale, ma sulla coscienza che ne prendiamo e sul modo di rispondervi nelle circostanze attuali. Quando parlo della 'vita del mondo', penso a tutte le trasformazioni di ordine politico ed economico che hanno avuto un rapido progresso in molti paesi, ma penso ancora di più alle mentalità nuove, alle recenti prese di coscienza che questi cambiamenti hanno provocato un po’ dappertutto, e che sono l'espressione di numerosi malesseri e di gravi problemi.
Similmente, quando parlo di Chiesa, penso non solo al Concilio come atto di Chiesa, ma come avvenimento che situa nel tempo la data di un profondo cambiamento in una mentalità cristiana forgiata da secoli di storia e non solo dal Vangelo. Si tratta di enormi sconvolgimenti sul piano umano, che sono una prova per tutti coloro che devono viverli, ma che bisognerebbe saper assumere con un certo coraggio e sangue freddo, perché non siano soltanto una catastrofe in più, ma perché preparino, anche se nel dolore, quel mondo più umano, più equilibrato, più giusto al quale tutti aspiriamo.
Non siamo più nell'epoca in cui il fatto che dei religiosi lavorassero in fabbrica o su dei cantieri poteva passare per una prodezza o un atto di eroismo. Non siamo più all'epoca in cui il fatto di vivere in civile o in piccole comunità di due o tre in appartamenti ordinari era qualcosa di spettacolare. Tutto ciò è oggi troppo abituale, troppo comune perché ci si presti attenzione… Non possiamo certamente rimpiangere di aver contribuito, a modo nostro, al fatto che la semplicità di vita o la necessità per un religioso di lavorare per guadagnarsi il suo pane, sia sempre ,meno considerata una anomalia. Ma nello stesso tempo è chiaro anche che non possiamo considerare il nostro genere di vita come la formula bell'e fatta che basta applicare per testimoniare il Vangelo.
L'importante per noi non è mai stato di fare uscire la vita religiosa dal chiostro o da un certo contesto a dominante clericale. Forse la nostra vita è stata considerata sotto quest'aspetto, ma è un punto di vista molto secondario. Ciò che positivamente abbiamo voluto è 'vivere il Vangelo' nel mondo e tra la gente, secondo un cammino nuovo che fratel Charles de Foucauld sembrava averci aperto e del quale "Come loro" di René Voillaume aveva tracciato i grandi orientamenti.
E' ciò che vogliamo ancora oggi, avendo maggior coscienza che l'essenziale non è aver trovato un cammino originale, l'essenziale è 'camminare' e andare avanti. Per fare questo non ci sono ricette, bisogna ricominciare ogni mattino e non sarà mai finito.
Essere "veri"…nella nostra fragilità !
Se ho voluto evocare subito la situazione d'insieme del mondo e della Chiesa, è per situare il contesto preciso nel quale la nostra Fraternità, ancora giovane, è stata sottomessa alla prova della vita. A questo proposito mi sembra leale riconoscere che non abbiamo esperimentato solo delle riuscite, abbiamo avuto anche la nostra parte di fallimenti, di errori, di sofferenze. E' inevitabile ! Checché ne sia della nostra vocazione, anche dopo un buon noviziato e ottimi studi, ci siamo accorti che non cessiamo di inciampare quotidianamente, come qualsiasi uomo, contro difficoltà spesso molto prosaiche, molto relative e che, teoricamente, non dovrebbero far problema, ma con le quali bisogna imparare a fare i conti, per non ritrovarsi un giorno per terra, più o meno disingannati, scoraggiati, disorientati.
Rievoco qui un'esperienza comune che ciascuno può illustrare con dei fatti che ha vissuto o di cui è stato testimone; difficoltà delle lingue che non si riesce ad imparare e che impediscono ogni comunicazione; difficoltà di temperamento, di sensibilità che non arriva ad adattarsi ad un paese che pertanto si ama; difficoltà di lavoro che non si riesce a trovare per mancanza di competenza o di qualifica adeguata, senza parlare degli innumerevoli imprevisti che vengono dalla salute, dagli avvenimenti e da tutti i conflitti sociali che toccano anche noi e che possono duramente provarci. Questa esperienza è una grande lezione di modestia.
La vita si incarica di ricordarci che noi non siamo un ideale ambulante, che la nostra vocazione di Piccoli Fratelli non ci fa sfuggire alla nostra condizione umana. Restiamo degli uomini, non dei super-uomini, che sono ciò che sono e che non sono capaci di qualsiasi cosa in qualsiasi condizione. Se c'è una cosa che abbiamo imparato durante questi anni, è che non c'è da sperare nessun contesto, nessun mezzo esteriore, nessuna soluzione-miracolo che possa dispensarci dal dover ciascuno reagire di fronte ad ogni sorta di difficoltà e di problemi che non possiamo prevedere in anticipo. Il solo aiuto efficace che possiamo darci in queste condizioni è di cercare insieme, fin dall'inizio, e di promuovere una vita a livello personale e comunitaria che sia sana e vera, cioè ben fondate sulla realtà sotto tutti gli aspetti, sia a livello della fede e della nostra vocazione che a livello del nostro comportamento pratico.
Se c'è stato un tempo in cui la vita religiosa poteva passare per essere un luogo di rifugio che pone al riparo dalle difficoltà della vita,non è più così oggi. So bene che in Fraternità abbiamo sempre insistito su questo bisogno di verità a livello della vita dello Spirito, cioè dal punto di vista spirituale ed intellettuale. E' capitale infatti, ma a condizione di non limitarci a questo campo solamente come se fossimo dei puri spiriti, forse abbiamo avuto la tendenza a fermarci troppo là sopra. Ora, questo non basta. E' tutto l'insieme di ciò che siamo, di ciò che fa la personalità propria di ciascuno e il nostro comportamento che dobbiamo prendere in considerazione, assumere insieme, per renderlo capace della vocazione che ci è stata data.
Siamo dunque modesti, ma impariamo ad essere veri, veri in ciò che siamo, veri con la nostra vocazione, veri con Dio e veri con la gente. Non cerchiamo di barare, di ripararci dietro giustificazioni o formalismi che rischiano soltanto di ingannare noi stessi.
Impariamo ad essere veri con noi stessi, nella riconoscenza, nella scoperta forse delle capacità che ci sono proprie che possono e devono essere sviluppate in un campo o in un altro, perché niente è trascurabile; ma sappiamo anche riconoscere le nostre carenze, i nostri limiti provvisori e quelli definitivi e tenerne conto, per non vivere nell'illusione e lanciarci in imprese che già in partenza sono votate all'insuccesso e non rendono servizio a nessuno, né a noi, né agli altri.
Impariamo ad essere veri con Dio e con la gente cioè ad entrare con loro in rapporti di verità, tenendo conto di quello che siamo, certo, ma tenendo anche conto di quello che essi sono. Poiché Dio è Dio, il Vangelo è Vangelo, e gli uomini sono quello che sono, molto concretamente, nel contesto di un paese, di una cultura, di una loro storia.
E' Dio, quale Egli è, che dobbiamo imparare a conoscere e ad amare, e gli uomini quali essi sono che anche dobbiamo conoscere ed amare. Questo richiede da parte nostra una capacità di apertura, un'accoglienza ed un rispetto del reale che sono indispensabili se non vogliamo che la nostra vita poggi sul falso. C'è qui, mi sembra, una delle esigenze essenziali della nostra vita oggi che deve essere la nostra comune preoccupazione, poiché è ben evidente che per rispondere pienamente a questo bisogno di verità che si impone a noi, non possiamo farlo che con l'aiuto dei nostri fratelli. Ho voluto segnalarvi questo bisogno tale quale io personalmente lo sento.
Non stupitevi dunque se in questa lettera non vi do una nuova ricetta per la nostra vita di Piccoli Fratelli. Troverete forse che non parlo in modo abbastanza concreto; me ne scuso, ma se mi permettete, prima di venire alle questioni pratiche, vorrei parlarvi di quello che mi sembra fondamentale, cioè della nostra vita come tale e di ciò che la ispira. Lo farò riferendomi semplicemente a ciò che si è sempre più imposto a me lungo tutti questi anni.
Sulle tracce di fratel Charles di Gesú
La vita di fratel Charles de Foucauld mette in evidenza un fenomeno tipicamente evangelico, o se volete, tipicamente cristiano, di vitalità, di capacità di rinnovamento, di invenzione e di audacia che un uomo riscopre in sé attraverso una personale scoperta esperienziale di Gesú e del Vangelo. Si può dire che è lo stesso fenomeno vissuto da Teresa del Bambino Gesú con la sua scoperta dell'Amore misericordioso che dona alla sua vita di carmelitana un soffio di grandezza, che trasforma in amore tutte le piccole cose della vita. La differenza è che in fratel Carlo la volontà di offrirsi a Dio è accompagnata da una sete di realismo e di verità, da un bisogno imperioso di mettere concretamente i suoi passi nei passi di Cristo, che lo conduce nel mondo e tra la gente.
In un caso come nell'altro, la vita non è un semplice affare di generosità, in ogni caso non di generosità cieca e disposta a tutto indiscriminatamente. C'è una luce che li illumina dall'interno e li fa andare avanti. Per fratel Charles è la scoperta molto concreta e molto viva che egli fa di Dio e dell'umanità di Cristo e che prende per lui il nome di NAZARET. Non cammina nell'oscurità; c'è Qualcuno che vive in lui e che è "La via, la verità e la vita", ed egli vuole seguirlo. Tutta la sua vita deriva dalla sua contemplazione. Ne è la messa in pratica che a sua volta viene a sviluppare, ad approfondire, ad assodare la sua esperienza e darle il sigillo di autenticità.
C'è là, mi sembra, qualcosa di decisivo per noi e che non possiamo ignorare. La nostra vita non è un semplice affare di generosità. Che ce ne voglia è certo, però non una generosità cieca che non si preoccupa né dell'intelligenza né della verità. Tutta la nostra generosità, come per fratel Charles, deve rispondere ad un bisogno di verità, di conformità alla conoscenza vissuta di Gesú e del Vangelo che Dio dà oggi a ciascuno. Tutta la nostra vita nel mondo, con la sua propria fecondità, dipende da questa conoscenza. Non siamo solo noi ad essere in causa in questo affare, c'è la verità del Vangelo e la sua attualizzazione nella realtà del mondo di oggi. Non si tratta di ricercare la nostra piccola felicità o la nostra perfezione personale. Noi siamo al servizio di Dio e del disegno del suo Amore di verità e di vita che concerne tutti gli uomini.
Contemplativi tra la gente…nella clausura del quotidiano
Se dunque, fin dall'inizio della Fraternità, parliamo di contemplazione, non è per il gusto delle parole o delle definizioni; è per segnalare alla attenzione di ciascuno l'importanza di questa conoscenza personale e diretta di Dio che solo lo Spirito Santo può darci e che illumina ed orienta tutta la nostra vita. So bene che la parola 'contemplazione' non è perfetta e che suscita numerose allergie perché evoca un'attitudine platonica di passività e di immobilismo riservato a coloro che hanno il tempo o che vivono al riparo di una clausura. Non lasciamoci bloccare dalle parole; la realtà è altra; c'è un'esperienza vissuta di Dio che non è il privilegio riservato ad alcuni, che non è il risultato di una scienza, di una tecnica, che nessuna ha la qualità di darsi ma che viene dallo Spirito Santo e da Lui soltanto, perché solo lui può farci partecipare in verità alla conoscenza personale che Gesú aveva del Padre. Quando parliamo di 'contemplazione' è di questa conoscenza che vogliamo parlare e che Gesú chiama la 'luce della vita', la sola che possa dare forza e fecondità alla nostra vita, poiché essa ci apre alla realtà di Dio.
Niente Fraternità dunque senza una luce ricevuta dal Vangelo che ci guida ciascuno dall'interno e che sia abbastanza precisa, abbastanza forte per farci vivere nel 'mondo' alla sequela di Cristo. Monaco o no, non è questa la questione. Noi non lo siamo e non ne abbiamo una cattiva coscienza. Poco importa essere ricchi o poveri, molto colti o poco istruiti. Ciò che importa è che abbiamo qualche cosa nel cuore, voglio dire, una forza di impegno che nasce dal fondo dell'essere, da quell'intimo di noi stessi, dove non ci sono più 36 attori che recitano ma Dio solo e noi, e dove si gioca la nostra libertà. Quello che bisogna trovare sono degli uomini che abbiano una esperienza della vita ed una maturità sufficiente per poter disporre di se stessi, essere capaci di scelte (che ne escludono fatalmente altre), ma degli uomini che abbiano anche una esperienza di Dio e una sete del Vangelo sufficientemente personali e vere per essere decisive della loro vita. E' un dato fondamentale sul quale non si può saltare a piè pari. Non basta avere un bel ideale, delle buone intenzioni, l'attrattiva per un genere di vita che ci pare interessante; bisogna provarne la verità cioè la forza che prende effettivamente in noi la volontà di offrirci pienamente a Dio e alla Saggezza del Vangelo. Bisogna, come dice la parabola, prendere il tempo di sedersi prima di costruire la torre, per sapere se si ha la possibilità di arrivare fino in fondo. Andare 'fino in fondo' non significa per noi di avere il coraggio di andare fino in capo al mondo, ma 'fino in fondo' al Vangelo, in ogni circostanza in cui dovremo viverlo e che non sono prevedibili in anticipo.
Mi sembra che bisognerebbe conoscere un po’ meglio ciò che il nostro impegno nella Fraternità implica di intimamente personale tra Dio e noi, poiché si capisce che ciò che dico non è valido solo all'inizio, nel momento in cui si vuol rispondere all'appello di Dio. E' bensì durante tutti i nostri giorni che la nostra vita deve fruttificare in conoscenza ed in esperienza di Dio e del Vangelo, come crescerà nella conoscenza di noi stessi e degli uomini. Ciascuno si renda conto che non seguiamo un'ispirazione che ci sarebbe dettata soltanto dall'esterno e di cui noi saremmo dei semplici esecutori. La Fraternità non sarà mai il potente organismo che potrebbe fare tutto, provvedere a tutto, decidere tutto per noi.
Ognuno di noi assume in essa la responsabilità di un'avventura personale al seguito di Cristo dove non c'è possibilità di supplenza e che è vitale tanto per noi che per la nostra vita d'insieme nella Chiesa e nel mondo. Al contrario, è tutti insieme che, fin dall'inizio assumiamo il dovere di aiutarci in questo genere di vita, che dobbiamo favorirla e svilupparla, promuoverla nella nostra vita comune se vogliamo andare avanti senza diventare insipidi o cadere nel convenzionale.
Se vi ho parlato di 'contemplazione' piuttosto che di 'preghiera' non è affatto per minimizzare l'importanza della preghiera.Non è neppure per disprezzare tutta l'importanza dei mezzi che dovremo mettere in opera nel campo degli studi, della riflessione, della lettura per accogliere la Parola di Dio. E' solamente per sottolineare l'essenziale, ciò che soggiace a tutta la nostra vita e alla preghiera stessa. E' perché ciascuno comprenda che ogni sforzo sarà vano, anche con i migliori studi teologici e biblici, se lo Spirito Santo non ci dà Lui la possibilità di metterci di fronte a Dio stesso e non soltanto di fronte ad un libro, ad un corso o ad un testo, fosse anche quello della Bibbia. E' per richiamare tutta la libertà di una esperienza che Dio ci dà di se stesso, quando e come a Lui piace e, alla quale tutto può servire, poiché Egli sa fare fuoco di ogni legna, sia dei nostri tempi di silenzio e di raccoglimento , sia degli imprevisti, degli avvenimenti, di tutto ciò che ci capita, al limite, anche dei nostri errori, purché il nostro spirito ed il nostro cuore siano sgombri dalle troppe cose e sempre disponibili a riceverlo. Infine, è per metterci in guardia contro un certo formalismo, quello che ci farebbe pensare che la vita de Piccolo Fratello potrebbe consistere in 'questo' o 'quello' oppure ridursi ad un comportamento, qualunque esso sia, sul quale tutti dovrebbero allinearsi. Ciò è vero per l'insieme della Fraternità; lo è anche per ogni Regione o continente. Non ci sarà mai e in alcuna parte, un 'modello standard' secondo il quale noi dovremmo vivere.
Non è l'esterno della coppa o del piatto che bisogna cambiare; è dall'interno che viene la vita. Per questo dobbiamo saper accogliere tutti coloro che vengono oggi alla Fraternità, con molto rispetto, non per insegnare loro un comportamento, ma per aiutarli a trovare Dio e il Vangelo nella Fraternità, se è là che Dio li chiama.
Gesú di NAZARET
Per rendere conto della nostra vita abbiamo l'abitudine di riferirci a ciò che chiamiamo 'NAZARET'. Forse però ci dobbiamo spiegare se non vogliamo restare in una certa rappresentazione o immagine che potrebbe falsare tutto. Di che cosa si tratta ?
Non posso fare meglio che riportarmi all'esperienza che fu quella di fratel Charles de Foucauld. Senza dubbio la interpreto in modo personale, ma perché non comunicarvela ? Non sono uno storico e come tanti altri sono un po’ sommerso dalla mole dei suoi scritto. Qualche volta un po’ disorientato nei dettagli delle sue reazioni, progetti e decisioni.
Al contrario, ciò che mi impressiona è la traiettoria della sua vita , la potenza di ispirazione che lo anima e lo fa sempre andare avanti e che finalmente lo conduce a Tamanrasset ad una vita sempre più semplice, sempre più libera, sempre più mescolata alla vita delle persone che abitano quella regione. Probabilmente è questa la vita alla quale ha sempre teso. E' libero da ogni preoccupazione di Statuto o di Regole riguardanti i futuri fratelli. Ciò che vive è, ad un tratto, molto diverso dalle 'piccole colombaie' o 'piccoli conventi' che aveva previsto per loro. Forse questa situazione è meno vera ? Ma allora, che ne è di Nazaret ? Come tradurlo ? Resta, mi sembra, qualcosa di luminoso, di infinitamente più ampio, più grande, più bello di tutte le formule nelle quali fratel Charles era stato tentato di rinchiuderlo, una ispirazione che anche noi dobbiamo accogliere.
Ciò che gli accade quando entra alla Trappa ha qualche cosa di sorprendente. Aveva la fede, e sufficientemente il senso di Dio e del suo Assoluto per vivere solo per Lui. Tutto sembrava chiaro, semplice, definitivo. Ma ecco che, al contrario, la sua lettura del Vangelo viene a rimettere ancora tutto in questione, a causa della povertà di Gesú, dell'umiltà, dell'oscurità della sua vita…in una parola di ciò che egli chiama 'Nazaret'. Se pertanto, come a volte sembra dire, Nazaret fosse stato per lui una semplice vita nascosta fatta di oscurità, di preghiera e di silenzio, avrebbe perfettamente potuto viverla alla Trappa. No, non lo credo, poiché intuisce qualche cosa di più importante, vi sospetta 'altre dimensioni' e 'altro senso' che vuole sco-prire e che gli fanno pensare che una tale vita non può essere vissuta al riparo di una clausura. L'incontro che un giorno fa ad Akbès con una famiglia povera in preda alle difficoltà della vita propria alla regione, gli dà la certezza che la vita di Gesú e di Maria e di Giuseppe, non era una vita protetta ed era simile a quella di questa famiglia povera di Akbès. E' una delle ragioni per le quali decide di lasciare la Trappa.
Ciò che dà all'intuizione di fratel Charles la sua importanza per noi dal punto di vista cristiano è che essa porta su una realtà centrale della nostra fede: quella del Dio-fatto-uomo.
Ciò che costituisce la sua originalità, il suo apporto del tutto personale è il modo che lui ha di abbordarla e che pone in un sorprendente risalto l'umanità di Gesú. Con il senso innato che egli ha dell'osservazione, del dettaglio e della precisione, niente gli sfugge, niente gli sembra insignificante, e soprattutto niente di ciò che in qualche maniera è accidentale in questa vita di Gesú e che avrebbe potuto benissimo essere diversa ma che fa che un uomo è ciò che è, per la sua nascita, per il lavoro, per il suo contesto familiare, la sua situazione sociale, ecc. ecc…. E' in questo modo tutt'altro che anonimo che egli impara a conoscere Gesú: Ed è così che, tra molte altre cose, scopre i tanti anni vissuti a Nazaret, sui quali non c'è nulla da dire e ai quali nessuno presta attenzione. Ma, per lui, non può trattarsi di una semplice parentesi, di un tempo morto nella breve esistenza di Gesú. Perché allora un tempo così lungo, perché questa durata che dona all'incognito della sua vita e alla sua banalità nel contesto più ordinario di un villaggio di Galilea, un carattere strano, che, a prima vista, contrasta con quello che sarà in seguito la sua vita pubblica. Che cosa vuol dire tutto questo ? Che cosa significa ?
Credo che fratel Charles non abbia mai voluto isolare questo periodo di Nazaret da tutto l'insieme della vita di Gesú, per quanto ne sia delle espressioni che usa quando vuol parlare della sua propria vocazione. Ma c'è là un elemento che incuriosisce, che lo fa ricercare con un ravvicinamento continuo, dalla meditazione alla riflessione e alla preghiera e finisce per farlo sfociare ad una visione che emana da tutto il Vangelo. Per lui si tratta di una immensa rivelazione dell'Amore di Dio, ma che è assai precisa, assai netta, per aprirgli ormai un cammino nuovo, fuori dai sentieri già battuti, nella vita del mondo per seguirvi Gesú tra gli uomini.
Come tutti, ascolta l'insegnamento di Gesú e il suo annuncio di un Regno che non può mancare di colpire gli spiriti, perché i beneficiari non sono per nulla coloro che si poteva pensare. Sono i poveri, i malati, tutti i disgraziati; ma sono anche i peccatori, tutte quelle persone di cattiva compagnia che andavano evitate e che, non solo sono perdonate, ma con loro Gesú si compromette condividendo la loro mensa. E' Matteo, Zaccheo, Maria Maddalena…. E' il cielo che si rallegra di più per un peccatore che si pente che per novantanove giusti che non hanno bisogno di perdono. E' il figlio prodigo che è accolto nella gioia di un banchetto che scandalizza al massimo il fratello maggiore. E' il Samaritano eretico che è citato come esempio, al contrario del prete e del levita. E' il bene delle persone che predomina sulle osservanze legali del Sabato. E fratel Charles, che conosce per esperienza le gioie di Zaccheo e di Maria Maddalena ne è toccato nel più profondo del suo essere.
Ma se il cuore degli uni si riempie di gioia e di speranza,ci sono altri che non si ritrovano più e per i quali la parola di Gesú fa scandalo. E' come se non ci fosse più né legge né giustizia né misura. E' il momento in cui si manifesta alla luce del sole quanto era nascosto della personalità divina di Gesú. Questi parla ad alta voce e chiaro e la sua parola sconvolge le Tradizioni degli Antichi e la Legge dell'Antica Alleanza. Tutto è nuovo, tutto è inatteso !
Ma ciò che colpisce fratel Charles più di tutto e ritiene la sua attenzione è l'atteggiamento stesso di Gesú, la maniera in cui lo vede prendere le sue responsabilità, assumere le conseguenze delle sue parole, far fronte alle reazioni diverse dei suoi uditori; ed è in questo contesto divenuto agitato, tumultuoso e pieno di rischi che egli vede risorgere, con evidenza e coraggio, l'uomo di Nazaret che Gesú è stato ed ha voluto essere. E allora che balza all'evidenza tutto quanto la così semplice, ordinaria e banale vita di Nazaret conteneva di verità umana, di autenticità e di realismo.
Poiché nella sua vita pubblica Gesú non vuole essere nient'altro che quello che è sempre stato, un uomo tra gli altri, che nessuno riesce a situare poiché non è né scriba, né sacerdote, né levita, né dottore della legge. Non ha alcun titolo e nessun privilegio dietro cui ripararsi o difendersi. E' in piena lucidità, con volontà libera ed in pieno consenso alla volontà del Padre che Gesú rifiuta ogni idea di interesse personale, ogni artificio, ogni espediente, ogni forma di pressione, di potere o di dominio. Ha coscienza di essere e vuole essere l'uomo che è sempre stato, dalla nascita in una stalla e durante tutta la sua vita a Nazaret, un uomo dalle mani nude.
Egli è il Figlio dell'uomo, figlio del popolo quanto altri mai e Figlio di Dio, in un'unione assolutamente ammirabile e che pareva inconcepibile, tra il divino e l'umano. Ed è così, da uomo di Nazaret, che egli affronta la sua vita pubblica, rifiutando tutto quello che potrebbe farlo deviare e sfuggendo alle folle che vogliono farlo re. Tutto avviene dunque, si potrebbe dire, da uomo a uomo, da eguale a eguale, nella totale verità ma anche nel più stretto rispetto della libertà di ciascuno; come egli stesso dice : "Non sono venuto per essere servito ma per servire…". Ciò che vuole è rendere testimonianza alla verità, a tutta la verità, rivelandoci ciò che Dio è, ciò che Egli è per noi, ciò che noi siamo per lui e ciò che noi dobbiamo essere gli uni per gli altri.
Per fare questo non vuole niente altro che la sola forza dell'Amore e della Verità che viene dalla sua Parola e dai suoi gesti. Non vuole altra prova che la testimonianza di Suo Padre e delle opere che compie.E' così che ci appare durante questi tre anni, ed è in questa maniera anche che egli progredisce in piena conoscenza di causa verso il dramma che sta intrecciandosi e che sarà quello della sua Passione. Pietro dovrà rimettere la sua spada nel fodero. Venuta l'ora Gesú andrà fino in fondo alla Verità e all'Amore, non da uomo che si annienta o si rassegna, ma da uomo pienamente lucido della situazione e delle conseguenze che saranno per lui il risultato della sua volontà di non aver voluto essere tra noi che un uomo-tra-gli-altri , un fratello nel senso più forte della parola..
E' nella sua carne e nel suo cuore di uomo che sono insieme la carne e il cuore di Dio, che Egli conoscerà per esperienza tutte le mostruosità di cui siamo capaci gli uni verso gli altri, non soltanto la sofferenza e i colpi, ma anche le umiliazioni e le ingiurie fino alla morte nella derisione di un re carnevalesco e nell'abiezione suprema di una condanna per 'bestemmia'. E' per questa via di un realismo umano inverosimile ma pungente che Gesú si è impegnato a dimostrarci il suo Amore e a salvarci.
Ciò che succede a fratel Charles attraverso la sua visione di Nazaret e dell'umanità di Gesú, è come la scoperta di un altro volto di Dio finora a lui sconosciuto. Non è più soltanto Dio e il suo Assoluto che egli scopre, come quando è entrato alla Trappa, è invece Dio nella sua Trascendenza cioè in questa proprietà che Egli ha di essere allo stesso tempo il 'Tutt'Altro' e il 'Tutto- Presente', che ci meraviglierà sempre, che non avremo mai finito di conoscere, e che sarà sempre capace di cose che oltrepassano l'immaginazione. fratel Charles lo tocca con mano nella vita di Gesú, nel modo che il Verbo Incarnato ha di entrare nel mondo per la porta stretta, completamente al contrario di quello che, in tutta buona fede, si poteva aspettare dal Messia e, a forziori, da Dio in persona. Chi avrebbe mai potuto credere che Dio stesso potesse un giorno venire tra di noi ?…Che potesse nascere bimbo in una stalla durante un viaggio ? Che non era incompatibile con la sua grandezza e la sua santità farsi uomo, lavorare con le sue mani, appartenere a quella categoria di uomini che in modo spontaneo sono considerati normali e insignificanti ? Che potesse essere simile a noi a tal punto da poterlo a mala pena riconoscere ? Che era capace di soffrire e di morire e…in quali condizioni …?
Chi avrebbe mai potuto credere ad una tale unificazione tra l'umano ed il divino in una unità e verità di vita così totale, da rompere in un colpo tutte le barriere che separavano l'uomo da Dio come un ostacolo insormontabile ? Che, dopo aver fatto l'uomo a sua immagine, Dio venga ora nella sua crea-zione per riprenderla dalla base, senza temere di assumere Lui stesso i bassifondi, affinché niente impedisca all'uomo, a nessun uomo, di diventare simile a Lui ? Che Egli potesse mettere la sua vita così a portata d'uomo per essere lievito e fermento su questa terra di una vita nuova, di una umanità rinnovata, trasformata, sopraelevata in grandezza e dignità ?
Nell'umanità di Gesú, ciò che fratel Charles abbraccia d'un solo sguardo è da un lato la vulnerabilità dell'uomo (questa è inscritta nella vita di Gesú fin dalla sua nascita) e dall'altra parte un ardore, una grandezza che portano il marchio di Dio. San Paolo parlerà di Cristo "Potenza e Saggezza di Dio". Fin dall'inizio della sua vita pubblica, Gesú si porta troppo risolutamente verso i poveri e i peccatori, c'è troppo fervore nelle Beatitudini, un tono troppo categorico nel Discorso della Montagna…; sono troppo vivi i suoi discorsi riguardo al denaro, ai Farisei, a tutti coloro che mettono sulle spalle degli uomini dei pesi che loro stessi sono incapaci di portare, la sua indignazione verso i mercanti del Tempio è troppo grande per non rievocare l'Onnipotente, il Dio tenero e misericordioso, lento alla collera e ricco in bontà, il difensore del povero e dell'oppresso, della vedova e dell'orfano, con l'amore appassionato del suo popolo, il suo vigore nel denunciare tutte le false grandezze a mano forte e a braccio steso. C'è troppa forza in Gesú per non costituire un pericolo per certuni, una minaccia, per non suscitare delle reazioni, opposizioni e contraddizioni. D'altra parte è troppo vulnerabile per non trovarsi nello stesso tempo esposto alla disgrazia. Tutto avviene come se Dio volesse positivamente associare la fragilità, la vulnerabilità della nostra condizione con la sua propria grandezza per farle concorrere insieme all'opera personale che Egli viene a compiere in Gesú e che è quella della nostra salvezza.
Tutto questo fratel Charles non sa bene come esprimerlo. Lo fa in termini che ci sembrano eccessivi, quando parla degli abbassamenti di Gesú, della sua abiezione, quando dichiara : "per tutta la sua vita non ha fatto che abbassarsi", o ancora : "Non è con le sue parole né con i suoi miracoli né con i suoi favori che Gesú salva il mondo, è con la sua Croce: l'Ora più fruttuosa della sua vita è quella dei più grandi abbassamenti e delle più grandi umiliazioni".
Il fatto è che egli vede troppo bene che la volontà esplicita di Gesú non è solo di guarire dei malati, di perdonare ai peccatori, di risuscitare i morti, vuole molto di più di tutto questo. Non siamo più al tempo della schiavitù dell'Egitto o delle altre schiavitù del popolo di Israele, quando Dio si serviva di intermediari per liberare il suo popolo. Gesú non si presenta come il liberatore dall'oppressione romana. Nei riguardi delle liberazioni politiche e sociali che sono le nostre preoccupazioni attuali, si potrebbe dire che Dio ormai ci fa fiducia, che lascia a noi la responsabilità di attuarle e di trarne i frutti e le applicazioni di quello che Lui si riserva di operare, di quella che è la sua opera propria e personale e che Lui solo poteva compiere. Ciò che Gesú chiama "L'Opera del Padre mio" e che comanda tutta la sua volontà, ha una portata che ci sovrasta.
Non solo Egli non si sottrae alla sventura, ma cammina e va incontro ad essa. E' per questo che Egli è venuto, per questa ora che Egli ha vissuto. Ciò che vuole, condividendo la sofferenza e la morte che sono il nostro destino ineluttabile sulla terra, è far sì che il male si rimangi se stesso, costringendolo a produrre per noi e contro voglia e in rivincita del torto che esso ci causa, più gloria, più felicità, più gioia per l'umanità di quanto sofferenze e morte da sole avrebbero certo mai potuto ottenere se il male non fosse mai esistito. Ciò che Gesú positivamente vuole, condividendo quello che ci opprime, è darci la sua vita , la sua propria vita di Figlio di Dio
E' il fuoco che Egli è venuto ad accendere sulla terra e che desidera che si accenda presto. Nella sua morte, ciò che Gesú vuole, non è soltanto la sua propria Resurrezione, è anche la Pentecoste, il dono del suo Spirito e della sua Vita. Sono queste le sue ultime parole agli Apostoli al momento della Cena. Ciò che Egli vuole è di essere il primogenito di una moltitudine di fratelli, è rinnovare la faccia della terra quale sorgente per noi di una vita nuova, che sgorga in permanenza in tutto l'arco del cammino dell'umanità e che trasforma la nostra vita sulla terra come il nostro destino.
Credo che non comprenderemo mai niente del Vangelo, delle Beatitudini, di tante Parole di Gesú che sono dure ad intendere, se non arriviamo a percepire come fratel Charles questo ardore appassionato di Dio per noi, il suo folle zelo per tutto quanto concerne la nostra vita e la sua rivolta contro qualsiasi male che ci colpisce.
Il Regno di Dio è già tra di noi. Nessuno ci costringe a crederlo, ma se lo si crede, se lo si è visto, nulla dopo può rimanere come prima. E' questo che dà a fratel Charles la sua forza di iniziativa e di intraprendenza. Egli dice di non sentirsi fatto per annunciare il Vangelo, ma si sente chiamato a viverlo, a gridarlo con la sua vita, come egli stesso scrive, poiché c'è una verità, una giustizia nuova da vivere nel mondo, non fuori dalla vita ma nella vita stessa, e che ci spinge gli uni verso gli altri perché il Regno di Dio divenga una realtà della nostra vita su questa terra.
E' in questa luce del Vangelo e della vita di Gesú che dobbiamo vedere la nostra propria vita. In questa prospettiva, chiunque noi siamo e dovunque ci troviamo e qualunque siano i problemi particolari che dovremo affrontare, ci saranno sempre, mi sembra, tre grandi domande che ci saranno poste e riguardo alle quali dovremo prendere posizione perché esse toccano ciò che dà forza e soffio vitale alla nostra vita.
La prima è la FEDE.
Voglio parlare della fiducia totale che noi abbiamo in Dio e nel Vangelo. Parlo di fede piuttosto che di amore per non compiacerci di parole e perché penso che non c'è miglior modo per esprimere il nostro Amore per Dio che facendogli piena fiducia, a Lui e alla Saggezza del Vangelo.
Ecco perché Gesú non smette mai di parlarci della fede : "Se aveste fede quanto un granellino di senape…" Lo sottolineo perché la nostra vita non ha nulla a che vedere con la ricerca di un certo perfezionismo morale o legale al quale vorremmo tendere in un modo o nell'altro. Gesú ci parla di tutta altra cosa, ci parla di rinascere ad una vita nuova conforme alla sua e di cui lo Spirito Santo è la sorgente. Se siamo nella Fraternità, è perché crediamo che Gesú è il Figlio di Dio e che noi siamo chiamati a diventare suoi fratelli, Figli dello stesso Padre. E' questa certezza, questa fiducia che noi vogliamo tradurre non in parole ma con degli atti che marcano la nostra vita, con dei segni che per molti sembreranno strani e bizzarri e che sono discutibili. Poiché Gesú è il Figlio di Dio e la sua vita rappresenta una ricchezza insostituibile per l'umanità, noi facciamo tutto ciò che possiamo per rivivere il più verosimilmente possibile quanto Lui stesso ha vissuto tra di noi.
Con i nostri Voti innanzitutto, che ci impegnano ad assimilare come da l'interno i valori della sua personalità, manifestataci su questa terra: la sua povertà, la sua castità, la sua attenzione permanente alla volontà del Padre.
Poi con il nostro modo di vivere nel mondo; per mettere semplicemente, modestamente ma in verità, i nostri passi su quelli di Gesú, per seguire un cammino di vita, sicuri che :"…colui che mi segue non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita". Sappiamo infatti che Gesú non si è incarnato in una umanità convenzionale o idealizzata; Egli è venuto nell'umanità del popolo del suo tempo, cioè nella umanità quotidiana, tale e quale è ancora oggi ai quattro angoli del mondo, e tale e quale noi la incrociamo quotidianamente sulla strada nelle persone che vanno e vengono dal lavoro e dalle loro occupazioni. E' così che ha vissuto Gesú, è in questo modo che ha annunciato il Vangelo ed ha compiuto la sua opera, è così che anche noi dobbiamo vivere, non tenendoci in disparte, un po’ o non troppo, ma sforzandoci di essere pienamente, semplicemente e in verità, in comunione reale tanto con Dio che con gli uomini, nella quale dovremmo verificare l'autenticità di ciò che abbiamo nel cuore, di ciò che vogliamo vivere e che potrà evitarci molte illusioni.
Voi capite bene che in tutto quanto sto dicendo, compresi i nostri voti, non c'è nulla che di colpo possa conferirci un brevetto di perfezione. Si può tendere alla perfezione cristiana per altre vie, specie quella del matrimonio. Ma noi facciamo nostre delle realtà che non sono affatto ovvie nella sola prospettiva di un compimento o di una perfezione umana. La povertà non è una virtù, essa può molto bene portarci alla meschineria, alla durezza e alla rivolta. La castità può condurci ad una vita castrata o a delle catastrofi; l'obbedienza alla meschinità servile o all'infantilismo; la vita nel mondo a lasciarci inghiottire e trasportare dalla corrente. Dobbiamo guardare tutte queste realtà in faccia sapendo che esse non hanno valore che in ragione di una fede personale, di un attaccamento libero ma vitale a Cristo, e attraverso di Lui al Padre.
Ciò significa che la realtà soggiacente al nostro comportamento è quella delle nostre relazioni affettive e attuali con Dio, all'infuori delle quali la nostra vita non ha senso. Da qui il problema di 'contemplazione' , di unione a Dio di cui parlavo sopra e si pone per ciascuno di noi e per ogni fraternità in termini molto concreti.
A che punto siamo nella nostra conoscenza di Dio, della sua Parola, del Vangelo ? Come si traduce positivamente la nostra fiducia in Dio - e il problema che gli è connesso - quello della nostra fede nella Chiesa ? A quali gesti essa ci conduce ? Come la viviamo ?
Di sfuggita vorrei fare un accenno all’intelligenza della fede, poiché essa è capitale affinché la nostra vita sia pienamente unificata (senza spaccature). Gesú ha compiuto per noi l'essenziale. Ci ha dato di condividere la sua vita, ma con un infinito rispetto di ciò che noi siamo e senza sostituirsi a noi in tutto ciò che dipende dalle nostre iniziative, dalle nostre competenze e dalla libertà che abbiamo di organizzare la nostra vita sulla terra a modo nostro. Non ha fermato né il tempo né la storia. Sul piano politico, per esempio, è stato di una discrezione totale, senza pertanto nasconderci ciò che in definitiva giudica il mondo e dunque la validità o la nocività delle nostre azioni.
Ciò significa che tra tutto quello che il Vangelo ci dice e l'atteggiamento che noi assumiamo in una situazione particolare, in un contesto sociale, economico, politico, c'è un varco da superare dove la fede e il senso evangelico devono dar prova di lucidità e di intelligenza. E spesso si tratta di uno scalino delicato da superare, dove ci si rompe facilmente il muso. Per quanto ci riguarda, credo che lo facciamo ancora male, a tentoni e timorosi, che non sempre ci lascia la coscienza tranquilla, per cui siamo più sovente in cerca di giustificazioni che di ragioni, così che, a mio avviso, il nostro problema non è di essere troppo mescolati alla vita, ma di mancare di audacia, di rigore e di lucidità per assumere pienamente le nostre responsabilità con un cuore in pace che, al limite, non ha paura di riconoscere i suoi errori.
La seconda questione che mi sembra intimamente legata alla prima per la crescita della Fede è quella della POVERTÁ. Non mi riferisco qui innanzitutto alla povertà sociale. Voglio parlare di quella del cuore e dello Spirito. Se la evoco, è perché essa è probabilmente la realtà evangelica che fa più fatica ad entrare nelle nostre teste di adulti : " Se non diventerete come dei bambini, non entrerete nel Regno dei Cieli".
Con la stessa spontaneità di Nicodemo a proposito della nuova nascita, ci domandiamo come sia possibile ritornare nel seno della propria madre. E…una quantità di obiezioni, di sospetti ci assalgono in nome di quella fiducia che si ha in se stessi e che ogni uomo rivendica come essenziale alla propria personalità. Non è questo un atteggiamento da deboli, un complesso di inferiorità, un invito ad una spontaneità facile ma un po’ stupida che dispensa dall'interrogarsi, dal riflettere e che svuota l'individuo di ogni responsabilità ?
Tutto questo è fuori luogo. Ciò che Gesú vuol farci comprendere è tutt'altra cosa. Ciò che Egli denuncia in noi non è la nostra personalità, è la nostra sufficienza, la nostra tendenza a farci il centro del mondo, a vedere tutto, a giudicare tutto e spesso a condannare tutto attraverso i nostri punti di vista. No, non siamo il centro del mondo. Questo è già evidente sul piano ordinario della vita sociale, ma lo è ancora di più se vogliamo situarci in verità davanti a Dio. Ed è qui che Gesú ci insegna qualcosa di veramente nuovo, di fronte a questa situazione in cui noi potremmo sentirci superati, schiacciati, oppressi. Gesú ci insegna che non abbiamo nulla da temere, che al contrario dobbiamo riprendere fiducia, perché in realtà siamo Figli di un Padre che non ignora niente di noi e che ci ama, sul quale possiamo contare dovunque siamo e chiunque siamo.
Gesú va così lontano che sembra dirci che non dobbiamo più preoccuparci di nulla, perché se Dio si occupa dei gigli del campo e degli uccelli del cielo, a maggior ragione penserà a noi. Quello che vuol dirci non è certamente di prendere le cose alla leggera e di lasciarci andare, ma neppure di lasciarci abbattere, come se Egli non esistesse, di dimenticare che Egli è nostro Padre e che conosce tutto ciò che ci fa soffrire e di cui abbiamo bisogno. E' questa una realtà che ci dovrebbe rasserenare, aiutarci a guardare con più semplicità a noi stesi, ad amarci come Dio ci ama, a vivere nella pace, nella fiducia e nella gioia perché siamo in buone mani.
E' questo che ci apre le porte del Regno dei Cieli; ed è questo pure che si trova in sostanza nella preghiera dei poveri, che non sono capaci di una preghiera geniale, ma che sanno di non essere più soli perché hanno un Padre.
La terza questione è quella della CARITÁ, cioè della NUOVA GIUSTIZIA che Gesú ci ha insegnato e secondo la quale dobbiamo vivere nel mondo insieme a tutti gli uomini. E' la finalità indiscutibile della nostra vita, il 'test' inconfutabile della verità dei nostri rapporti con Dio.
La modalità dei nostri rapporti col Padre, sarà la misura dei nostri rapporti con i fratelli; "Chi dice di amare Dio che non vede, e non ama il fratello, è un mentitore. Questi non conosce Dio" ( 1 Giov. 4,20 e 2,4).
E' dunque qui, nel realismo della nostra carità che si gioca la nostra vita. Ora mi sembra che in questo campo manchiamo di decisione, di lucidità, di fermezza per mettere in pratica ciò che Gesú ci ha comandato – e dove, a volte, ci domanda l'eroismo – tanto più che dobbiamo farlo, non soltanto tra di noi, ma in mezzo ai conflitti che straziano oggi il mondo, e nel bel mezzo dei quali ci troviamo in un modo o in un altro coinvolti anche noi.
E' proprio in questo contesto che abbiamo le nostre maggiori res-ponsabilità. Gli insegnamenti di Gesú sono chiari. Leggiamo e rileggiamo il Discorso della Montagna : "…Se al momento di presentare la tua offerta, ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia la tua offerta, va prima a riconciliarti con lui…". "…Vi è stato detto…..; ma io vi dico…."
Certo nella Fraternità abbiamo parlato del rispetto dovuto ad ogni uomo e a tutti gli uomini. Ma qui non si tratta di parole, e ricordiamoci che non è neppure quando siamo rispettati ed amati che siamo credibili, sarebbe troppo facile…: "…Se amate coloro che vi amano, che merito ne avete, i pagani non fanno forse lo stesso ?" E' invece quando siamo feriti, umiliati, toccati nel nostro amor proprio che dobbiamo dar prova che siamo ancora capaci di rispetto e di amicizia, altrimenti sono solo parole.
" Ma io vi dico…: amate i vostri nemici, pregate per i vostri persecutori, perché siete Figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti….siate dunque perfetti com'è perfetto il Dare vostro celeste"(Mt. 5,44-48).
Ciò che voglio far notare, sono le motivazioni a cui Gesú si richiama. Non ci dice di assumere un comportamento, di aggiustare capra e cavolo, di trovare che dopo tutto i torti sono condivisi, o che la gente è meno cattiva di quanto si pensi….ecc, ecc. Tutto questo non c'entra con un comportamento veramente evangelico. Gesú ha sempre parlato chiaramente, apertamente, e ad ognuno ha detto ciò che aveva da dire.
A proposito della castità, del perdono delle ingiurie, dell'amore per i nemici, di tutti questi comportamenti che non ci sono connaturali e che possono essere delle vere croci, Egli ci dice una sola cosa: ricordarci di Lui e di ciò che ha fatto per noi, per attestare che veramente siamo Figli del Padre e i suoi propri fratelli. E' sotto questa luce che dobbiamo prendere in considerazione le situazioni in cui siamo oggi impegnati in un modo o nell'altro, quelle che subiamo come quelle che assumiamo o provochiamo. A tale proposito, mi sembra che il Vangelo ci domanda di andare più lontano, più in profondità, nell'analisi di queste situazioni, di quanto non lo facciamo abitualmente.
Non possiamo limitarci alla sola prospettiva di una giustizia sociale, economica o politica da ristabilire e nulla più. E' un dovere primordiale ed elementare, ma il Vangelo da parte sua denuncia una gravità ancora più pesante e che abbiamo difficoltà, mi sembra, a prendere in dovuta considerazione. La gravità di questa situazione non sta solo nel fatto che essa si oppone alla giustizia ma più ancora alla carità, cioè alla legge vitale di relazione, di amicizia e di Amore che è la sola degna degli esseri umani quali noi siamo. Non è dunque soltanto la giustizia nel senso comune del termine che è lesa, negata, è invece l'amicizia tra gli uomini, la Legge stessa del regno di Dio che viene disprezzata, annientata e rifiutata.
Non a caso Gesú ha voluto che la sua sorte fosse legata a quella dei dannati sulla terra. Non è per caso che il Vangelo ci avverte che saremmo tutti giudicati davanti a coloro che sono nudi, che hanno fame; che sono prigionieri, stranieri…ecc, come se fossero Dio in persona. Tutto questo ci fa riflettere, perché se è vero che abbiamo il nostro contributo personale da portare alla vita di questa terra, è con la testimonianza del Vangelo che lo portiamo e rendendo vivo ed operante in noi l'Amore che Dio ha per gli uomini.
Noi abbiamo la nostra responsabilità in riguardo, quella di non mettere il Vangelo sotto il moggio. Ci vorrà del coraggio perché, come Gesú, siamo uomini dalle mani nude, che non hanno nulla dietro cui ripararsi, e che sanno che il mondo non può essere salvato senza che se ne paghi il prezzo. A questo riguardo mi piacerebbe che non ci fossero equivoci; siamo certo più sensibilizzati che in passato alla dimensione sociale e pubblica della nostra vita. E' normale. Ma dobbiamo assumere questo, lucidamente, chiaramente e alla luce del Vangelo. Mi è impossibile in una lettera comunitaria dire a ciascuno quello che deve fare nella situazione in cui si trova e tenendo conto della personalità di ciascuno. Che siate portati a prendere su di voi le vostre responsabilità sul lavoro, nel quartiere è normale. Che i nostri atti abbiano delle ripercussioni politiche e sociali è inevitabile. D'altra parte, in tutti questi campi non possiamo agire alla leggera. Nessun impegno sindacale o politico potrebbe bastare a rendere conto di ciò che dobbiamo vivere. E i nostri criteri di giudizio non possono essere quelli di un'ideologia o di un programma di un partito. Dobbiamo ricordarci inoltre, che in materia politica abbiamo delle priorità da rispettare. Non spetta a noi innanzitutto ma ai laici, intendo coloro che sono sposati ed hanno famiglia a carico, di decidere sulla società che vogliono per loro e per i loro figli, e in quale maniere intendono pervenirvi. In questo campo non possiamo avere la precedenza su di loro, né imporre loro le nostre scelte.
Detto questo bisogna però dire che anche noi abbiamo le nostre responsabilità che dobbiamo assumere secondo le motivazioni profonde che ci dà il Vangelo. Lo facciamo ? Lo facciamo bene ? Penso che abbiamo di che interrogarci !
Da parte mia, penso che non arriveremo mai a farlo con chiarezza, con il coraggio e la determinazione necessarie, se il Vangelo non diventa la realtà primaria della nostra vita e se non ci aiutiamo gli uni gli altri. Ecco ciò che vorrei richiamare : NAZARET ha l'aspetto di niente !
Facciamo dunque attenzione: Nazaret non ha l'aspetto di niente, ma questo tipo di vita sì, questa vita di tutti, porta ormai in sé, per disegno di Dio, un tesoro di grandezza e di dignità ineguagliabili; dopo che Gesú è venuto tra di noi, la nostra vita umana sulla terra è capace di Dio : dove trovare grandezza e dignità più sicure e più stabili su questa terra ? E non dobbiamo aspettare qualche rivoluzione particolare perché queste realtà diventino il motore del cambiamento più radicale, più positivo e più straordinario pos-sibile per la trasformazione dell'uomo e della società, come si dice oggi. Un cambiamento che non si basa né sul denaro, né sulla potenza economico-politica, né sulla forza fisica o la violenza. E' un cambiamento che può prendere corpo immediatamente in qualsiasi uomo, e del quale abbiamo la responsabilità di testimoniare sulla terra non a parole ma con la vita.
Tale è infine la nostra esistenza, la nostra ragion d'essere, e qui non ci poniamo in concorrenza con nessuno. Non dobbiamo né giudicare né condannare nessuno. I problemi che oggi si pongono al mondo sono considerevoli. Non vogliamo né negarli, né minimizzarne l'importanza. Non possiamo che incoraggiare e rispettare gli sforzi iniziati per instaurare quel mondo più umano al quale tanti aspirano, nel modo più legittimo e comprensibile possibile.
Questa è la vocazione naturale dell'uomo: di interrogarsi sempre, di cercare costantemente e di tendere sempre al meglio, di vivere più pienamente e di dare un senso alla propria vita, di aspirare alla felicità. Siamo però seri; non siamo noi che risolveremo tutti questi problemi che richiedono altre competenze che le nostre e la collaborazione di tutti. Tuttavia non possiamo lasciar insipidire il sale che la vita di Gesú contiene, né il lievito che Egli ha portato per lievitare ogni pasta umana. Come e in qual modo potremo apportare il nostro contributo a questa umanizzazione integrale dell'umanità laddove viviamo ? Non lo so. Tutto è nelle mani di Dio, dobbiamo metterci ognuno nelle sue mani; e questo implica due cose:
- Perché la nostra vita sia vera, essa deve, come quella di Gesú, veni-re dall'interno, essere cioè fondata principalmente, come la sua, sui nostri rapporti personali con il Padre. E' in Lui, per Lui e da Lui che la nostra vita deve ricevere la forza e la fecondità. Noi diciamo di non avere né le condizioni né i mezzi. Tale vita è promessa a coloro che giustamente non hanno niente : "Ti rendo grazie, Padre, del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai saggi e le hai rivelate ai piccoli…"
- Perché la nostra vita sia vera deve anche essere testimonianza effettiva dell'amore che Dio ha per noi. Questo amore ci provoca inesorabilmente, non alla ricerca del nostro interesse, del nostro piacere, dei nostri vantaggi o delle nostre fantasie, neppure alla gloria che viene dagli uomini, ma all'Amore, al Servizio di coloro che sono più poveri e più infelici di noi, nell'abnegazione di noi stessi e per il bene di tutti, secondo tutte le iniziative che saranno a nostra portata e che l'amicizia e l'amore vero sono capaci di ispirarci. "Ciascuno di noi cerchi di compiacere il prossimo nel bene, per edificarlo. Cristo infatti non cercò di piacere a se stesso" (Rom. 15,2)
Ascoltiamo le parole che ci dice Gesù. Egli non ci attira a sé con delle promesse fallaci che lusingano il nostro interesse. Ci dice di lasciar tutto, anche noi stessi, seguendo l'esempio che Lui ci ha dato. Vuole che lo amiamo per quello che è e per Lui solo. E' questo amore che testimonia del realismo dei nostri Voti, ma è anche perché Gesù vuole che siamo capaci di amare i nostri fratelli, tutti i nostri fratelli, non per noi o per nostro interesse, ma per loro stessi, come Gesù li ha amati,….che anche noi siamo dunque capaci di dare la nostra vita per loro. Questo ci esporrà a dei sacrifici, a delle difficoltà e a degli affronti, poiché il Vangelo proietta una luce positiva e critica sulla nostra vita e sul mondo.
Gesù ha smascherato le false grandezze che parassitano la nostra vita e i nuovi idoli (denaro, potere, interessi…) che pervadono il mondo sotto svariate forme di sfruttamento e di schiavitù degli uomini. Per quanto ci riguarda, la base di ricostruzione e di restaurazione dell'umanità, non può essere che là: fondata su Dio, su ciò che Egli è, su questa vita che ci ha comunicato. Nazaret è l'Emanuele – Dio-con-noi: " Ed ecco, Io sono con voi fino alla fine del mondo". "Non vi lascerò orfani…"
Siamo coscienti di tutto ciò che questo rappresenta come possibilità di vita nuova per l'umanità ?…del servizio gli uni per gli altri che ci volge in primo luogo verso tutto ciò che impedisce all'uomo di essere pienamente quello per cui Dio lo ha fatto
Riflettete bene a tutto ciò che vi dico. Nella semplicità della vita di Nazaret ci sono grandi cose che devono capitare. La nostra vita non si fonda sul vuoto: è Dio la nostra roccia e il nostro baluardo, la nostra luce e la nostra salvezza.
La nostra vita è in apparenza tutta semplice e tutta banale, ma vi lascio sul commento migliore e il più autorevole che sia mai stato fatto, quello dell'umile e chiaroveggente Maria di Nazaret :
" L'anima mia magnifica il Signore
esulta il mio spirito in Dio, mio Salvatore,
perché ha guardato l'umiltà della sua Serva.
D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno Beata.
Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente
E Santo è il Suo Nome.
Di generazione in generazione la Sua Misericordia
Si stende su quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del Suo braccio
Ha disperso i superbi
Nei pensieri del loro cuore.
Ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili.
Ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele suo servo,
ricordandosi della sua Misericordia.
Come aveva promesso ai nostri Padri,
ad Abramo ed alla sua discendenza per sempre"
Lettera di René Page