"La nostra fragilità" di Carlo F. (priore 1990-1996)
11/01/2025
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LA NOSTRA FRAGILITÀ
Lettera di Carlo Fries
28 Febbraio 1994
La riunione dei Regionali di Windsor è ormai appannaggio del passato. Come avete potuto leggere nel resoconto, la riunione ha messo l'accento sulle questioni pratiche del cammino della fraternità, in modo così netto da impedirci di sfuggire alla realtà in nome di idee geniali. Tuttavia questo colpo d'occhio allo specchio ci ha ricordato che una delle caratteristiche dell'insieme della sua vita è la fragilità.
E' inutile voler illustrare questo dato di fatto. Date uno sguardo a ciò che voi vivete, voi, le vostre fraternità, la vostra Regione ! Penso alla nostra estrema dispersione per il mondo, ai limiti di comunicazione tra di noi. Gli ultimi anni abbiamo avuto poche vocazioni, e abbiamo sempre di più delle fraternità il cui avvenire è incerto.
Durante il lavoro a Windsor per rispondere a queste sfide, la nostra stessa fede è stata interpellata seriamente da tutte queste realtà. Le poche piste di riflessione che vi propongo si iscrivono in questo contesto. Non mi interessa qui il lavoro concreto, ma lo spirito col quale ci mettiamo all'opera. Alla luce della fede, cerco ciò che ci viene detto attraverso questa nostra fragilità. Siamo abituati a guardare nella fede alle debolezze individuali, ma molto di meno alla nostra fragilità come gruppo. Questo vorrei fare proprio in questo piccolo epilogo di Windsor.
Una piccola osservazione prima di terminare questa introduzione! Il testo è assai lungo, un po’ troppo, senza dubbio… mentre nell'insieme voi aspettate delle lettere corte e più frequenti. Ve ne chiedo scusa. Eppure, voi ve ne siete già resi conto, è questo il mio modo di riflettere e di approfondire le cose che mi stanno a cuore nella vita della Fraternità. Vi comunico dunque questo testo tale quale sperando che non facciate troppa fatica a leggerlo.
Per cominciare, mi sembra che non abbiamo il diritto di drammatizzare la nostra situazione. Basta guardare alla situazione del mondo attorno a noi. Il giornale inglese "The Guardian", ha recentemente pubblicato col titolo di "Dietro il sipario della indifferenza" una lista di campi di battaglia nel mondo che lasciano dietro non solo dei morti senza numero, ma milioni di rifugiati, dispersi in tutto il globo. Popoli e famiglie rovinate, solitudini, cuori spezzati e miseria! Con che diritto noi piagnucoliamo sulla nostra dispersione e fragilità ? Davanti alla sorte crudele di innumerevoli donne, uomini e bambini, non siamo forse dei privilegiati ?
Ben più di questo ! Mi domando persino se Dio non si prepari, attraverso la nostra fragilità, a mettere il dito su un aspetto fondamentale della nostra vocazione: che un gruppo di religiosi impari ad accettare le proprie debolezza, la propria impotenza numerica, la sua dispersione e la sua lotta per sopravvivere come un atto di solidarietà con tutti i poveri ai quali questa sorte miserabile è imposta per forza. In questo, non vedo niente di eroico, giacché sta a noi imparare da questi sfortunati che portano, con il loro fardello molto più pesante del nostro, a relativizzare un pò la nostra situazione di fragilità e a diventare meno lagnosi e più modesti.
La riflessione riguardo alla nostra fragilità di gruppo si concentra sovente sul fatto del piccolo numero di nuovi fratelli. É vero, noi rappresentiamo nella Chiesa un gruppo infinitamente piccolo : 250 persone tra un milione di religiosi e religiose. E in più questo modestissimo pugno di vocazioni! Che effetto lasciano queste considerazioni nella nostra anima ? Permettetemi di entrare nel tema sotto questo aspetto, anche se potrei entrarvi per altre vie come per esempio le difficoltà della vita fraterna o la situazione dei fratelli che vivono soli!
Si sentono diverse spiegazioni sul nostro piccolo numero. Un giorno, un fratello affermava che la Fraternità aveva le vocazioni che si meritava. Questa osservazione contiene senza dubbio una buona dose di verità, poiché è prima di tutto l'autenticità palpabile della nostra vita che attira o respinge dei giovani in ricerca.
Sotto un altro punto di vista, questa analisi mi sembra eccessiva. Essa suppone di conoscere esattamente ciò che costituisce "l'ideale" della nostra vita, ma rischia di dimenticare che noi resteremo, nonostante tutto il nostro lavoro, sempre dei "servi inutili" (Lc. 17,10). Dio può lavorare con dei peccatori, se si mettono in cammino. E questo è il punto centrale della redenzione. Il fatto che Carlo de Foucauld è rimasto solo, non è una contro-testimonianza della sua autenticità, come le vocazioni numerose in una Congregazione qualsiasi non sono la prova della sua fedeltà al carisma. Questo genere di meccanismo tra autenticità di vita e vocazioni non va da sé automaticamente. Di fatto, noi non siamo degli angeli e questo rende il gruppo fragile. Dobbiamo continuamente ricominciare ogni giorno! Tuttavia non vedo nello sforzo prodotto al suo massimo una garanzia che il nostro numero crescerà.
Secondo un altro tentativo di spiegazione, noi saremmo stati negligenti, durante molti anni, sulla responsabilità di far conoscere la Fraternità. E' vero. Se agli inizi le vocazioni ci cascavano dal cielo in abbondanza, sono stati necessari degli anni di secca per risvegliarci dalla nostra negligenza. Così, da qualche tempo, diverse Regioni hanno investito in un grande sforzo a questo proposito. Era necessario poiché la vocazione di Nazaret non è nostra proprietà privata; essa appartiene alla Chiesa e noi non abbiamo il diritto di lasciare che le fraternità si 'spengano' per negligenza.
D'altronde, mi dico anche che questa urgente necessità non giustifica qualsiasi mezzo per farci conoscere. Di fatto, tali mezzi devono essere in sintonia con lo spirito tipico della vita di Nazaret. Così non possiamo parlare della 'vita nascosta' a suon di tromba, né divulgare la nostra vita ordinaria con una pubblicità straordinaria!
E' compito di ciascuna Regione verificare se essa investe sufficientemente per far conoscere il nostro carisma, ma anche se essa lo fa in uno stile di Nazaret. In fin dei conti, io non credo che il nostro avvenire dipenda principalmente dai nostri sforzi pubblicitari, per quanto siano necessari.
Un'altra interpretazione mette il dito sul nostro stile di vita che non dà sicurezza. I giovani di oggi avrebbero maggiormente bisogno di strutture, cosa che non trovano da noi. E, a partire da questo argomento, si propongono immediatamente delle piste più rassicuranti per rimediare. Tali piste richiedono una vita più strutturata che insista sull'importanza delle condizioni materiali di una 'fraternità di accoglienza', e invocando che le fraternità siano numerose, ecc.
La risposta a un tale argomento esige delle sfumature, l'insicurezza della nostra vita, infatti, dipende da cause diverse. Per cui, se non si vuole reagire in modo troppo istintivo, bisogna fare un discernimento. D'altronde, bisogna ammettere che ci sono delle grandi sfumature di sensibilità da una cultura ad un'altra, e conseguentemente ne derivano delle esigenze differenti.
L'insicurezza ha un aspetto che deriva direttamente proprio da ciò che vogliamo vivere. In una vita di solidarietà noi condividiamo la paura, l'angoscia, l'insicurezza di coloro che ci stanno intorno. Mt. 16,24 esprime bene la sua dimensione mistica : " Se qualcuno vuole seguirmi, che rinunci a se stesso, prenda la sua croce e mi segua". – Niente ci permette di dissimulare questo rischio esistenziale o di volerci proteggere. Anche l'accoglienza e la formazione devono avere questa caratteristica, è infatti in acqua che impariamo a nuotare. La preparazione ad una vita al fronte non può farsi in un ambiente familiare troppo protetto.
Per di più, l'iniziazione alla nostra vita esige certamente una pedagogia, giacché, umanamente, quelli che chiedono di entrare vengono sovente da molto lontano. E' vero, non serve a nessuno di buttarsi in acqua semplicemente per annegare. Una iniziazione buona richiede dei sostegni che aiutino la persona ad rafforzarsi e a crescere. Ma il fine di questa iniziazione sarà sempre determinato dalle condizioni poco rassicuranti di una vita sullo stile di Nazaret.
C'è tuttavia un altro aspetto dell'insicurezza che non si lascia sempre giustificare dalla referenza alla nostra vocazione. La storia ci ha portati ad uno stato di dispersione che, in certe Regioni, non permette più un minimo di comunicazione tra i fratelli, e a maggior ragione, di accogliere dei giovani. E' un campo di fragilità che risulterà mortale per la Fraternità se non troviamo dei rimedi strutturali e di persone, per giungere a situazioni in cui delle fraternità garantiscano un minimo di solidità.
Riguardo al piccolo numero, vorrei aggiungere a questi tentativi di spiegazione, che comportano tutti un pezzo di verità ma che mi sembrano talvolta troppo unilaterali ed esclusivi, un altro elemento cercando di cogliere meglio la nostra situazione di fragilità. Io gli darei una importanza che a volte tendiamo di dimenticare. Già da uno sguardo rapido sulla storia della Fraternità appare che il numero delle entrate dei nuovi fratelli sembra dipendere dal clima generale di cui la vita sociale dei nostri paesi e la vita della Chiesa sono impregnati. Così il nostro primo periodo di grande prosperità numerica si inscriveva nel soffio potente di iniziative della Chiesa in Francia davanti alla cristianizzazione delle masse ("Missione di Francia", Preti operai, ecc), negli anni dopo la seconda guerra mondiale.
Era il terreno propizio che permetteva la stampa e l'impatto del libro di René Voillaume, "Come loro", e allo stesso tempo lo slancio della Fraternità in quel periodo. Questa corrente vitale si succedette fino a sfociare più tardi nel Vaticano II (1958-63), e per un altro verso negli avvenimenti del 1968.
In Europa occidentale, questa epoca era impregnata da visioni costruttive sia per la Chiesa che per le nostre società. Ne seguì poco dopo una fase di disillusione e di regresso. Oggi, per descrivere l'ambiente generale (Penso d'altronde che va ben oltre le frontiere dell'Europa), utilizzerei la parola 'paura'. La libertà di spirito lascia il posto alla Legge, le grandi visioni alla rassegnazione nascosta : fondamentalismi, nazionalismi e razzismi di ogni genere cercano di creare degli spazi di sicurezza. La "visibilità" è ricercata. La sicurezza diventa il grande idolo.
Per dirla con tutta onestà, la Fraternità naviga contro corrente! E' dunque così sconcertante che gli ultimi anni ci hanno dato poche vocazioni mentre certe Congregazioni che offrono più "sicurezza" constatano un afflusso considerevole ? Ma il clima, non può forse cambiare di nuovo ?
Questa fragilità della Fraternità guardata sotto la prospettiva del "piccolo numero" può senza dubbio dare adito ad altre interpretazioni. Ma vorrei riflettere ora su una questione che tutti i tentativi di spiegazione lasciano senza risposta : il reclutamento di vocazioni è il criterio determinante, o anche esclusivo per i nostri sforzi e per la "condotta generale" della Fraternità ? O non ci sono forse altri punti più importanti da rispettare ? Pongo la questione in modo così netto perché mi sembra che le nostre reazioni spontanee in merito manifestano qualche volta delle ambiguità che facciamo difficoltà ad ammettere esplicitamente.
C'è un criterio che mi sembra più importante per il cammino della Fraternità che la sua "semplice sopravvivenza fisica": è la sua obbedienza alla chiamata che essa ha ricevuto dal Signore ! Istintivamente siamo tentati di misurare la nostra autenticità secondo il successo esteriore. Eppure uno sguardo alla Sacra Scrittura e alla storia della Chiesa ci apre ad un'altra dimensione: fedeltà al carisma e sopravvivenza fisica possono persino entrare in conflitto doloroso o mortale!
Forse che i profeti hanno adattato il messaggio a ciò che il popolo voleva ascoltare ? Non hanno piuttosto rischiato la loro vita per l'obbedienza alla chiamata che Dio aveva loro indirizzato ? Il loro criterio decisivo è stata la fedeltà alla loro vocazione.
Il Vangelo ci descrive il suo conflitto interiore: che Regno doveva instaurare ? Egli non obbedì alle attese messianiche del popolo, e neppure a quelle dei suoi discepoli (!), ma alla volontà del Padre suo. Questo gli costò la vita. Ed è per quella morte che il mondo intero è stato salvato. Compiere questa volontà del Padre è stata la referenza ultima per Gesù.
E Charles de Foucauld ? A varie riprese, si é trovato nel dilemma: doveva mettersi a fondare una Congregazione, cosa che desiderava profondamente, o doveva dare seguito agli impulsi imprevisti e alle circostanze che esprimevano per lui la volontà di Dio, ma che compromettevano allo stesso tempo qualsiasi progetto di fondazione ? Egli scelse la seconda esigenza ! Questo chicco di grano è caduto nella terra – solo…ed è così che la storia della Fraternità é cominciata !
Non crediate che io auspichi la morte della Fraternità ! Al contrario ! Gesù, i profeti, Carlo de Foucauld hanno lottato per la vita poiché Dio vuole la VITA, e l'esige per tutti, ma il suo cuore ha battiti di preferenza in primo luogo per gli esclusi, i bisognosi, i più semplici. Noi non possiamo presentargli la vita della Fraternità in sé. Egli la vuole "inserita tra la gente", la vuole assieme alla vita delle masse. Egli attende la nostra lotta e preghiera appassionata per la vita nei nostri cantieri di lavoro, nei nostri quartieri, nelle nostre amicizie, e chiede che noi perseveriamo e preghiamo malgrado tutte le forze che la impediscono; esse sono potenti in noi stessi, nelle ingiustizie delle strutture sociali, economiche e politiche. Vivere contro corren-te è pericoloso, rende vulnerabile e può costare la vita. Niente può garantirla, ma noi annunciamo la Buona Novella: è il cammino che conduce al fine, alla vita.
Tutto questo vale anche per la Fraternità come gruppo. Noi dobbiamo impegnarci per essa con tutti i nostri sforzi e a tutti i livelli, perché essa vuol essere al servizio della vita di quelli che ci stanno vicino. Eppure noi dobbiamo anche accettare la nostra fragilità, in quanto essa riflette la situazione precaria dei nostri amici. Quale sarà l'avvenire della Fraternità ? Che forma prenderà questa tensione continua tra l'impegno per la sua 'visibilità' e la fedeltà alla nostra chiamata ? Non ne so niente ! Tentiamo costantemente di conciliarle; ma laddove l'una esclude l'altra, è l'obbedienza al carisma che deve prevalere per la Fraternità.
Che cosa vuol dire obbedienza al carisma ? Non è questo il posto per parlarne, Però è necessario dire che essa non può essere un'interpretazione puramente individuale; essa si realizza piuttosto in una ricerca comunitaria viva attraverso tutti i mezzi di dialogo che sono a nostra disposizione.
E' poco probabile che la Fraternità diventi un giorno un gruppo importante. Sarebbe persino contraddittorio voler vivere la nostra vocazione partendo da una posizione di forza. Si può capire la parola di Michea (6,8) come se fosse indirizzata proprio a noi : " Ti è stato detto ciò che è bene, ciò che Yaveh vuole da te: nient'altro che di compiere la giustizia, di amare con tenerezza e di marciare umilmente con il tuo Dio"
Se la fragilità fa parte integrante della vita della Fraternità, io continuo ad interrogarmi sul messaggio che ci viene da essa.
Questa fragilità può ricordarci che la vocazione di Nazaret è più grande della Fraternità. "Nazaret", questa vita poco appariscente, ordinaria e semplice, che nondimeno diventa grande agli occhi di Dio, non è forse la nostra proprietà ? Essa va al cuore del Regno (Mt. 25,31…) verso il quale si orientano non solamente le nostre vite, non solo la Chiesa con tutti i suoi sforzi pastorali, ma anche l'insignificante marcia degli innumerevoli "piccoli" nel mondo intero. Su questo cammino, certamente, noi abbiamo un compito specifico, come una specie di "stimolatore cardiaco", ma non dimentichiamo la "piccolezza" della nostra importanza! I nostri limiti ci invitano ad accettare ciò che siamo : un piccolo strumento nelle mani del Signore, di cui Egli si serve, come vuole e per quanto vuole.
La fragilità della Fraternità, non risveglia forse la nostra attenzione alla vita e alla morte di Gesù stesso, alle quali Dio, in modo misterioso, a attribuito una fecondità salvatrice universale ?
Questo ci invita a camminare nella stessa speranza. Sulle orme di Gesù, il nostro minuscolo numero, i limiti comunitari e personali, delle situazioni senza avvenire, dei grandi sforzi "per niente", tutto questo ci appare sotto una luce nuova. Questo piccolo "niente" trova, nella sequela di Gesù, un senso nuovo e diventa importante nel suo progetto di salvezza. Questa è la realtà di cui l'Eucaristia è il segno per eccellenza. La speranza che noi auguriamo, sovente più facilmente per i nostri amici, è valida anche per il nostro gruppo!
I nostri limiti di gruppo non contengono quindi l'invito a fare un passo in avanti nella comprensione della nostra propria identità ?
La storia della Fraternità ha conosciuto delle tappe, nelle quali noi eravamo molto fieri della nostra vita modesta; oggi, una grande modestia ci viene imposta per vivere una vocazione così preziosa. Per quanto mi riguarda, io reputo questo una crescita. Perché non riconoscervi la mano del Signore che ci guida dolcemente verso ciò che tentiamo di vivere ? La fragilità riavvicina la Fraternità ai gruppi, popoli e famiglie nell'angoscia o rovinate; ma le insegna anche che essa riceve la vita dalle mani del Signore, e che deve chiedergliela. Finalmente, il nostro sforzo per l'avvenire della Fraternità dovrà sfociare nella preghiera. "Far conoscere la Fraternità" deve nutrirsi della fiducia in Colui che - se vuole - "invia degli operai". Fa un'enorme differenza di fatto se, in fin dei conti, noi aspettiamo le nostre vocazioni dalla potenza dei 'media' o persino da quella delle nostre 'riuscite', o piuttosto da Colui che "può suscitare dei figli di Abramo anche dalle pietre" (Mt. 3,9).
Vi indico ancora un'altra cosa a cui la nostra fragilità mi rinvia e che non è meno significativa. Dio, incarnandosi in Gesù di Nazaret, ha scelto in modo coerente, per salvare il mondo, il cammino di mezzi poveri, cioè attraverso l'amore, la tenerezza, la pazienza e non per i mezzi del potere.
Nella lunga storia della Chiesa e in quella profana, dove per raggiungere "la Verità" o un "ideale", raramente si è manifestato imbarazzo nell'uso del potere o della forza sotto diverse forme, il nostro cammino di "mezzi poveri", non potrebbe avere, anche se esso ci viene imposto, se lo accettiamo in modo positivo, un senso profetico per la Chiesa e per il mondo ? Non ci ricorda infatti che Gesù ha legato la conoscenza della "Verità" a questo umile "essere in cammino" dell'amore, senza ricorrere al potere politico o alla violenza ? Questo cammino umile, non mette forse il dito su una realtà così attuale e scottante, ma repressa quasi costantemente da qualsiasi ecclesiologia : rimettere in questione il potere come mezzo della propagazione della Buona Novella ? L'esigenza dell'umiltà, non sola-mente come virtù individuale, ma anche come marchio della vita e delle strutture ecclesiali ?
Parlando del messaggio della nostra fragilità, permettetemi un'ultima osservazione, che è piuttosto un invito a continuare la riflessione sul soggetto : "fragilità – bisogno di sicurezza". Bisognerebbe fare un passo avanti nell'analisi di questa atmosfera generale di paura che marca le nostre società di cui ho parlato sopra. Mi sembra che essa abbia molto a che fare con l'ordine economico mondiale, pianificato e voluto, e che è sul punto di trasformare il nostro pianeta (soppressione del lavoro, impoverimento, migrazioni di rifugia-ti…ecc.). Non fa meraviglia che gli uomini, dappertutto, siano sovrastati dall'angoscia. E' umano e si comprende, ed io mi rendo ben conto come sia difficile far fronte alla paura ! Ma come reagire, come rispondere in quanto cristiani ? Unire le nostre voci a tutte queste melodie di "sicurezza" ? A queste voci che, finalmente, con-fermano implicitamente quest'ordine ingiusto che non unifica che il denaro, ma che stabilisce divisione tra gli uomini ?
Che l'impegno della Fraternità si situi altrove ! Che il suo modo di vivere smascheri le vere sorgenti della paura e della di-visione; che essa non combatta la paura, quella dei nostri amici e la nostra, facendo un salto "al riparo", ma attraverso il suo impegno per più giustizia nei luoghi concreti dove noi lavoriamo e viviamo! Che essa si orienti sulla persona di Gesù per capire che cos'è la radice di una vera comunione umana!.
Alla riunione di Windsor noi abbiamo parlato della nostra fragilità come di un ostacolo, ma noi abbiamo riconosciuto in essa anche "una opportunità". E' evidente che noi dobbiamo impegnarci con molta energia affinché essa non diventi distruttrice. D'altronde, se non scampiamo alla nostra situazione attraverso una "porta di sicurezza", essa ci rimprovera su tutti quei "piccoli" tanto amati da Dio, con i quali lottiamo, lavorando e pregando per la vita; è là che la Fraternità trova la sua identità. Sono loro che ci insegnano a mettere tutta la nostra fiducia nel Signore: è Lui, e niente altro, che dà alla Fraternità la vita.
Non dimentichiamo che il Vangelo è una storia vissuta e raccontata da un gruppo di uomini e donne che umanamente avevano fallito. Essi hanno imparato tuttavia a leggere questo fallimento sotto una nuova luce, poiché Lui, Gesù, era "Vivente". Bisogna che anche noi, distribuiamo il nostro 'niente', come i discepoli, i nostri cinque pani e i nostri due pesci, e ciò basterà, perché è Gesù che ce lo ha detto ! Che impariamo come la nostra sicurezza si fonda là ! Fiducia e coraggio !