"Il volto Nazareno della Chiesa" di Hervé J. ( priore 2008-2020)
12/01/2025
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Lettera di Hervé J. (priore 2018-2022 )
IL VOLTO NAZARENO DELLA CHIESA.
“Non fate caso se sono bruna, poiché mi ha abbronzatoil sole. I miei fratelli mi hanno abbronzato: mi hanno messo a capo delle vigne...” (Ct.1, 5-6). Oggi “bruno” è diventato per alcuni una sorta di insulto razzista! In molte culture, più la pelle è chiara, più si è belli! Questo era già il caso ai tempi dei re di Giuda e di Israele! Eppure, l'amata del Cantico dei Cantici non si vergogna di definirsi bella, nonostante la carnagione scura acquisita lavorando i campi; ed è così che la Sposa di Cristo, la Chiesa, non deve avere paura di sentirsi!
“A voi è dato di conoscere i misteri del regno dei cieli. Beati i vostri occhi, perché vedono, e le vostre orecchie, perché ascoltano” (Mt 13:11a, 16). È l'unica volta che Matteo usa l'espressione “i misteri del Regno”. Ai suoi discepoli, che non sono né sapienti né dotti, Gesù rivela che, poiché sono con lui, lo vedono e lo ascoltano, possono scoprire nel suo stesso modo di vivere, servire e amare la presenza di Dio in mezzo agli uomini! E questo modo di vivere è quello del Nazareno bruno, figlio del falegname di questo piccolo villaggio che non sembra avere una buona reputazione nemmeno in questa Galilea delle nazioni, multietnica, multiculturale e multiconfessionale...
Semplicemente, se l'Amata non è nazarena come il suo Amato, non può testimoniare, rivelare o irradiare i misteri del Regno, che è sua missione proclamare come la Buona Novella per eccellenza per tutti gli uomini e le donne di questo mondo, affinché abbiano la Vita e la Vita in abbondanza! Senza questo carattere “bruno”, si trova fuori strada, fallisce nella sua missione! “Chi chiamerò a far parte del volto nazareno della mia Amata?”, chiede lo sposo ai suoi amici...
Nel cuore della Chiesa, Nazareth!
Insieme, siamo chiamati a far risplendere il volto nazareno della Sposa. Siamo parte di questa missione che la Chiesa stessa affida ai suoi membri per l'autenticità della sua Persona e della missione affidatale dal suo Amato...”. La Chiesa non può né crescere né prosperare se le si permette di ignorare che le sue radici sono nascoste nell'atmosfera di Nazareth”, diceva Joseph Ratzinger, molto prima di diventare Papa, che notava[1] come ‘in un'epoca in cui fioriva il sentimentalismo su Nazareth, il vero mistero di Nazareth fu scoperto in modo nuovo, nel suo contenuto più profondo, senza che i contemporanei se ne accorgessero’ da Charles de Foucauld. Seguendo le orme dei “misteri della vita di Gesù”, entrando nell'esperienza di Nazareth, ha imparato più di tutti i teologi e gli studiosi messi insieme. "Si capisce così bene che cos'è un pezzo di pane quando si sa per esperienza che fatica si fa per produrlo... ”, scriveva Carlo alla sorella dal rifugio di Akbes.
E Ratzinger continua: “Lì, nella viva meditazione su Gesù, si è aperta una nuova strada per la Chiesa... È stata una riscoperta della povertà per la Chiesa. Nazareth ha un messaggio permanente per la Chiesa. La Nuova Alleanza non inizia nel Tempio, né sulla Montagna Santa, ma nella piccola casa della Vergine, nella casa dell'operaio, in uno dei luoghi dimenticati della “Galilea dei pagani”, da cui nessuno si aspettava nulla di buono. È solo da lì che la Chiesa può ripartire e guarire. Non potrà mai dare la vera risposta alla rivolta del nostro secolo contro il potere della ricchezza, se Nazareth non è una realtà viva dentro di lei"[2]...
Che meraviglioso programma di vita! Che meraviglioso progetto a cui Gesù ci invita a partecipare! “Questa è la nostra missione così come la Chiesa l'ha riconosciuta, autenticata e affidata a noi: partecipare al volto nazareno della Chiesa affinché la Buona Novella del Regno possa essere vissuta e irradiata in mezzo ai piccoli: “i poveri mangeranno e saranno saziati”. Sì, che i poveri siano saziati e gioiscano!
Tre icone nazarene:
Vorrei condividere con voi, tra le tante, tre icone che potrebbero aiutarci a far luce sul volto nazareno della Chiesa e che, credo, molti di noi vorrebbero contemplare come perle preziose per la nostra vita di piccoli fratelli di Gesù:
La Visitazione, tanto cara a Charles de Foucauld: con Maria, siamo in cammino verso l'incontro con l'altro: fare un passo indietro, condividere gioie e dolori, metterci al servizio degli altri, vivere la relazione con gli altri con le sue conseguenze, che possono turbarci e farci uscire dalle nostre piccole abitudini, perché siamo legati a loro, e questi legami di solidarietà e corresponsabilità intessuti tra noi ci fanno “vedere” l'altro come nostro fratello e sorella...
La Natività, anch'essa tanto cara a frère Charles: la Buona Novella di un “piccolo neonato” in una mangiatoia, annunciata ai più semplici e agli esclusi: “È nato per voi un Salvatore”... Sta a noi saper accogliere un bambino impotente, rivelazione del Volto di Dio che si fa tutto a tutti, debole e fragile nelle nostre mani, offerto a noi in piena fiducia...
La lavanda dei piedi: il servizio più umile, reso agli schiavi, segno dell'amore più grande! Seguendo le orme di San Giovanni e di San Giovanni Crisostomo, anche Carlo fu profondamente segnato da questo amore per il fratello, che trova un parallelo nel sacramento dell'Eucaristia: “Li amò sino alla fine” (Gv 13,1), fino a dare la vita per noi! Il sacramento del fratello e il sacramento dell'Eucaristia sono segni di questa stessa realtà, l'uno richiama l'altro. Come scrive Charles, “è lo stesso Gesù che ha detto: ‘Quello che fate a uno di questi piccoli che sono miei fratelli, lo fate a me’” e “Questo è il mio corpo”! Siamo invitati a viverlo con gioia, con la passione per Gesù e per tutti coloro con cui ci fa condividere la sua sorte che ha caratterizzato Carlo! “L'Abbé Huvelin ha detto di lui: “Ha trasformato la religione in amore!
Tre icone della Buona Novella annunciata ai piccoli nella gioia, nella discrezione e nella semplicità, nell'umiltà, nel servizio e nel dono di sé; ci invitano, in Gesù servo, in Gesù bambino, alla presenza di Gesù, anche se invisibile, nel cuore della sua relazione intima e amorosa con il Padre e con gli uomini! Il cuore della nostra fede non è forse quello di “credere all'amore attraverso il volto e la voce di quell'amore, Gesù Cristo”[3]. Ora che il Nazareno è risorto, continua a vivere, attraverso il suo Spirito d'amore, in ciascuno di noi che crediamo nel cuore del mondo che Dio ama (cfr. Sal. 84).
La missione della Chiesa: vivere il mistero di Gesù di Nazareth.
Tre icone che tratteggiano i tratti del volto nazareno dell'Amato, al quale l'Amato desidera tanto assomigliare! Affinché “la luce di Cristo, che risplende sul volto della Chiesa, si diffonda su tutti gli uomini” (Lumen Gentium n. 1)... La prima missione della Chiesa non è forse quella di accogliere il suo Signore e di mostrare la sua presenza alla nostra umanità, come ci ha ricordato Mons. Dagens, vescovo di Angoulême, in una conferenza[4] in occasione del 50° anniversario del Concilio Vaticano II. Egli ricorda anche che una settimana prima dell'apertura del Concilio, Giovanni XXIII lasciò Roma per un pellegrinaggio in Italia, a Loreto e ad Assisi, e osserva: Come “Francesco, che in un momento di grande metamorfosi politica e religiosa, ha incontrato Cristo Gesù, è stato afferrato da Lui attraverso la persona di un lebbroso, e si è impegnato a seguirlo, praticando il Vangelo della povertà e della gioia, fino a farsi segnare nel corpo dai segni della sua Passione”, così Giovanni XXIII voleva “chiamare tutta la Chiesa a vivere il mistero di Cristo povero e portatore di pace, sulla scia di Francesco”. Così il Concilio ha definito la prima missione della Chiesa: “Rivelare fedelmente in mezzo al mondo il mistero del Signore, ancora avvolto nell'ombra, fino al giorno in cui finalmente irromperà in piena luce” (L.G. N°8). Come spiega l'arcivescovo Dagens, il termine mistero “non designa un regno di realtà irraggiungibili, ma piuttosto l'atto stesso con cui Dio si apre all'umanità, impegnandosi nella storia fino a giungere al cuore della nostra umanità per rinnovarla dall'interno, attraverso l'incarnazione e la Pasqua di Cristo”. La Chiesa, Sposa e Corpo di Cristo (lo sposo e la sposa diventeranno una sola carne!), è dunque interamente al servizio della Rivelazione di Dio in Gesù di Nazareth: è invitata a decrescere costantemente per comunicare sempre meglio al mondo ciò che riceve da Dio, nel suo Amato. Questa Luce di Cristo, alla quale dobbiamo essere trasparenti con tutta la Chiesa, non è una luce abbagliante; “è quella di una presenza fraterna e trasformante, come per i discepoli di Emmaus”. “Discepoli del Signore e membra del suo Corpo, siamo incaricati, come lui e nel suo nome, di camminare con coloro che fanno fatica a sperare”...
Non posso fare a meno di condividere con voi un piccolo estratto di padre de Lubac a proposito di questa realtà cristica della Chiesa: “Se Gesù Cristo non è la sua ricchezza, la Chiesa è miserabile. È sterile se lo Spirito di Gesù Cristo non fiorisce in essa. La sua costruzione è rovinosa se Gesù Cristo non è il suo Architetto e se, delle pietre vive di cui è costruita, il suo Spirito non è il cemento. È senza bellezza se non riflette la bellezza unica del Volto di Gesù Cristo... Tutta la sua dottrina è una menzogna se non proclama la Verità che è Gesù Cristo. Tutta la sua gloria è vana, se non la colloca nell'umiltà di Gesù Cristo. Il suo stesso nome ci è estraneo, se non ci evoca immediatamente l'unico bene dato agli uomini per la loro salvezza. Non ci dice nulla se non è per noi il sacramento, il segno efficace di Gesù Cristo... Gesù Cristo deve continuare a risplendere attraverso di noi. Questo è più di un obbligo. È una necessità organica. I fatti rispondono sempre a questo? Attraverso il nostro ministero, la Chiesa annuncia davvero Gesù Cristo? 5]...
Già nel 1937, Yves Congar scriveva che “è realizzandosi come universale che la Chiesa ha preso coscienza della sua universalità”[6], sottolineando così lo “stretto legame tra la sua esperienza storica e la consapevolezza (autocomprensione) che ha acquisito di sé”. Se seguiamo il ragionamento di padre Congar, “le realtà o le verità che appartengono realmente alla tradizione cristiana e che rimangono latenti, velate o potenziali, diventano attuali ed efficaci solo sulla base di un'esperienza storica particolare. È allora che la Chiesa prende pieno possesso, nella sua vita, di ciò che già aveva, ma che non aveva ancora pienamente scoperto, o di ciò che era nascosto o represso"[7]. Sarei quindi tentato di parafrasare padre Congar dicendo: “È realizzandosi come Nazareno che la Chiesa prende coscienza della sua nazarenità! Non è forse questo il “Kairos” che le viene offerto oggi, quando sta per perdere ogni potere nella società? Jacques Loew lo aveva già previsto, non senza una certa ironia: “Stiamo perdendo tutto! Che peccato! Tutto ciò che ci resta da dare alla gente è Gesù Cristo"[8]...
Il tesoro e la bellezza della Chiesa.
Il tesoro della Chiesa, come diceva San Lorenzo, sono i poveri e i piccoli, la presenza di Cristo tra noi! Dove c'è il suo tesoro, c'è il suo cuore! La Chiesa, sposa di Cristo, ha ricevuto da Lui come anello di fidanzamento la perla di Nazareth, che porta come un sigillo sul cuore! È l'alleanza data e ricevuta, il segno e il pegno dell'amore e della fedeltà reciproca, nei momenti di gioia e in quelli di prova! Come la bambina abbandonata nuda sul ciglio della strada e accolta da Dio (cfr. Ezechiele 16,6-14), Cristo lava il corpo della sua sposa, la riveste di nuove vesti e la nutre con tenerezza. Da nessuna parte si suggerisce che questo corpo debba assomigliare alla Venere di Milo! Tutto ciò di cui ha bisogno è di essere lavato e rivestito con l'abito nuziale. Come il corpo del Risorto porta le ferite della sua passione, così il corpo della Chiesa non manca di ferite che il suo Amato non cessa di curare e guarire. È questo corpo fragile, pieno di cicatrici, alcune gloriose, altre molto meno, che chiama il mondo di oggi! Dio abita nella fragilità, come ci dice Albert Rouet, vescovo di Poitiers. Siamo quindi chiamati a “una conversione: lasciarci spogliare del volto della Chiesa, che era la nostra sicurezza grazie alla sua unità e autorità, per accogliere una Chiesa fragile, minacciata, meno sicura di sé, ma più aperta ai poveri e a chi cerca un senso”. Nel corso della storia, lo Spirito ha abbandonato le strutture consolidate per farsi trovare ai margini in iniziative umili e povere: fondazioni religiose nascenti, movimenti laici che cercano di far rivivere una Chiesa più evangelica. È in questo movimento che troveremo lo Spirito oggi: dove l'autorità diventa servizio; dove la verità diventa ascolto; dove la carità non conosce confini"[9]. La Chiesa stessa ci ha affidato la missione, come una madre per suo figlio, di vivere questa perla di Nazareth in tutta la sua autenticità, spalla a spalla con i piccoli, tesoro e cuore di Dio, tesoro e cuore della Chiesa...
Il volto di Nazareth: un dono di Dio e dei piccoli!
Non c'è nulla di volontario in questa partecipazione al volto di Nazareth. È una grazia del Signore, come quella concessa a Mosè, “l'uomo più umile che la terra abbia mai partorito” (Dt 12,3), il fuggitivo, il più grande, il più grande, il più grande, il più grande, il più grande, il più grande, il più grande. 12,3), il fuggiasco, il profugo, che non poteva parlare, l'amico del Signore che gli parlava intimamente, “faccia a faccia”, al quale è stato dato di poterlo vedere perché il suo modo di essere era forse già conforme a quello di Dio: “Saremo simili a lui, perché lo vedremo così com'è”, ci dice Giovanni (1Gv 3,2). È dunque una grazia di connaturalità che si può sperimentare solo nell'intimità d'amore con il fratello Gesù e la sua Parola...
Ma questa partecipazione nazarena è possibile anche grazie a tutti i piccoli tra i quali vogliamo vivere e che ci accolgono. Come Gesù, che è cresciuto in umanità alla scuola di vita dei nazareni, anche noi dobbiamo lasciarci plasmare da coloro che ci invitano a essere uno di loro. È il frutto della loro accoglienza e del loro aiuto che ci permette di riflettere questo Volto; ed è insieme, con loro, che partecipiamo a questo Volto e a questo scambio vitale - la Vita del Nazareno - e che, insieme, siamo salvati da Lui! È così che la Chiesa può far risplendere il Volto del suo Amato, grazie a tutti i piccoli che sono il suo Tesoro e con i quali, poiché ci invitano, abbiamo l'umile audacia di identificarci, in mezzo a tutti i meschini della Terra!
Tuttavia, non dobbiamo concludere da questo che il volto nazareno della Chiesa sia tutta Celle. Chi siamo noi per saperlo? “Ciascuno di noi ha ricevuto il dono della grazia come Cristo l'ha condiviso con noi” (Ef 4,7). Siamo chiamati, come dice San Paolo, a giungere insieme “alla pienezza della statura di Cristo”, vivendo nella verità dell'amore, crescendo in Cristo, per essere innalzati a Lui, perché Egli è il Capo”. E “per mezzo di Lui tutto il Corpo continua a crescere” e “viene edificato nell'amore” (cfr. Ef 4, 13-16). Ognuno è chiamato alla beatitudine di riflettere, nel suo modo unico, la bellezza dei molteplici tratti del Volto di Cristo: misericordioso, operatore di pace, affamato di giustizia, mite, umile, generoso, ma anche forse, in spirito di servizio a tutti, più “glorioso”, più “magistrale”, più “trasfigurato”; tutti devono contribuire alla splendente Bellezza del Signore della Gloria!... -Che dire di lui? - È questo il vostro mestiere? Ma voi, seguitemi” (cfr. Gv 21, 21-22). Perché, ci dice Gesù, il volto del mio Amato deve sempre mostrare i miei tratti di Nazareno, portatore della Buona Novella e della salvezza per tutti gli uomini, le donne e i bambini, tutti i piccoli della terra, tutti amati dal Padre!
Lo Spirito di Gesù presente in mezzo ai più poveri!
Una cosa è certa: questa preghiera di Mosè, che sgorgava dal suo cuore come un desiderio folle che a stento osava esprimere: “Oh, se il Signore mettesse il suo Spirito in tutto il suo popolo” (cfr. Numeri 11,29), secoli dopo Dio l'ha finalmente esaudita in pieno, in un modo che Mosè non avrebbe nemmeno potuto sognare - a riprova del fatto che ogni vera preghiera viene esaudita al centuplo, a tempo debito! - La sera in cui Gesù, sulla croce, consegnò il suo spirito al Padre perché tutti ne fossero riempiti! Allora la cortina del Tempio si squarciò, mostrando che non esisteva più un rito sacro vietato ai comuni mortali, che solo una casta di gerarchi poteva osare penetrare. D'ora in poi, ogni spazio profano è un luogo di presenza dello Spirito, “che non sappiamo né da dove viene né dove va! Così è per tutti coloro che nascono dal soffio dello Spirito” (Gv 3,8). D'ora in poi, non c'è luogo, uomo, donna o bambino che non sia sacro, perché almeno loro sono chiamati a essere portatori dello Spirito. Tutti i “Nazareth” del mondo, tutti quei luoghi da cui si dice che non può venire nulla di buono, sono ora luoghi della presenza dello Spirito, fino al più sudicio dei carbonai, nero di sudore polveroso, sulla collina dei rifiuti fumante di sporcizia in decomposizione, nel più oscuro “luogo Chouk-Tchouk”[10] della Terra! Tutti sono chiamati a scoprire, nel cuore della loro notte, il volto umile del Nazareno che li ama e restituisce loro la speranza e la gioia della loro dignità di figli amati del Padre!...
Concludo con questo bellissimo inno (Venerdì III, Ufficio delle Letture):
“Dio nascosto, non hai altra Parola che questo frutto appena nato nella notte che ti genera alla terra; dici solo il nome di un bambino: il luogo dove seppellisci il tuo seme.
Dio senza voce, non hai altra Parola che questo segno innalzato, costruito sulla tua pietra angolare! Tu dici solo: il mio popolo è vivo, è in piedi, significa la mia presenza.
Lascia che lo Spirito parli al nostro spirito in silenzio!”
Mi scuso per questo lungo elenco di citazioni. Mi è sembrato che in un momento in cui stiamo celebrando il 50° anniversario dell'apertura del Concilio Vaticano II, e in cui la Chiesa ha appena iniziato a riflettere sulla “Nuova Evangelizzazione” e ci invita a un Anno della Fede, fosse importante per noi fermarci a riflettere sul nostro posto e sulla nostra missione nella Chiesa: felici di vivere del Volto Nazareno di Gesù come beviamo alla fonte della Vita; felici di partecipare, al nostro posto, al Volto Nazareno della Chiesa la cui missione, come la definisce Yves Congar, è quella di rivelare il mistero di Cristo, esso stesso rivelazione perfetta del mistero di Dio e del mistero dell'uomo... È questo percorso, mi sembra, che dovremmo approfondire quando vogliamo riflettere sul nostro rapporto con la Chiesa locale e rendere conto della nostra appartenenza alla Chiesa...
Hervé.
[1] Joseph Ratzinger: “Il Dio di Gesù Cristo”. Communio-Fayard, 1977. p.77-80.
[2] Ibidem.
[3] Instrumentum Laboris : Nuova Evangelizzazione N°23.
[4] Conferenza di Mons. Claude Dagens: “Le Christ, lumière du monde”; Documentation Catholique N°2480.
[5]Padre de Lubac: “Meditazione sulla Chiesa”, Parigi, 1985, p 188-190.
[6] Yves Congar: “Vie de l'Eglise et conscience de la catholicité” in Esquisse du Mystère de l'Eglise, Paris, Cerf, 1953, p. 121.
[7] Conferenza di padre Gilles Routhier: “Cinquante ans après Vatican II, que reste-til à mettre en œuvre? D.C. N. 2480.
[8] Jacques Loew: “Come se vedesse l'invisibile”.
[9] Michel Rondet, “L'Esprit, espérance d'une Eglise en crise”, p. 56.
[10] Espressione pidgin: luogo pieno di spine. Si riferisce a un terreno incoltivabile, come un'inutile terra desolata da cui non può venire nulla di buono!